IL VOLTO DELLA REPUBBLICA – DI GIUSEPPE BATTARINO

Pubblichiamo l’ intervento del magistrato Giuseppe Battarino al convegno dell’ anpi Seprio di sabato 12 marzo.

Il volto della Repubblica

Il riconoscimento dei diritti dell’uomo nei lavori dell’Assemblea Costituente

I lavori dell’Assemblea Costituente sono una fonte pressoché inesauribile di spunti e suggestioni per la difesa dei principi della Costituzione, per la lettura del presente, per la costruzione di un futuro possibile per il nostro ordinamento democratico.

Un rapido sguardo sui passi che hanno portato al testo vigente dell’articolo 2 della Costituzione offre queste opportunità.

Nella riunione del 9 settembre 1946 la Prima Sottocommissione, a conclusione di una lunga discussione, dà incarico a Giorgio La Pira (DC) e Lelio Basso (PSIUP, eletto nel collegio di Como) di concretare in due articoli il risultato acquisito nella discussione.

Nella seduta dell’11 settembre 1946 vengono presentati i due articoli:

«Art. 1. — La presente Costituzione, al fine di assicurare l’autonomia e la dignità della persona umana e di promuovere ad un tempo la necessaria solidarietà sociale, economica e spirituale, in cui le persone debbono completarsi a vicenda, riconosce e garantisce i diritti inalienabili e sacri all’uomo, sia come singolo sia come appartenente alle forme sociali, nelle quali esso organicamente e progressivamente si integra e si perfeziona».

«Art. 2. — Gli uomini, a prescindere dalla diversità di attitudini, di sesso, di razza, di classe, di opinione politica e di religione, sono uguali di fronte alla legge ed hanno diritto ad uguale trattamento sociale. È compito della società e dello stato eliminare gli ostacoli di ordine economico-sociale che, limitando la libertà e l’uguaglianza di fatto degli individui, impediscono il raggiungimento della piena dignità della persona umana ed il completo sviluppo fisico, economico e spirituale di essa».

Interviene nella discussione Concetto Marchesi (PCI), affermando che “l’uomo, cioè l’uomo politico, l’uomo civile, è un essere sociale il quale va acquistando, di fronte all’instabilità delle leggi scritte, una certa coscienza del diritto naturale universale e nello stesso tempo l’idea di una suprema giustizia primitiva, sacra ed eterna”.

E’ dunque l’”uomo politico” il collante necessario della civiltà e della società. Era chiaro ai costituenti, e deve essere chiaro a noi, che senza politica – chiamata così, con il suo nome, senza ipocrite sostituzioni dettate dalla cosiddetta antipolitica – non c’è ordinamento democratico.

Nella seduta di Sottocommissione del 19 dicembre 1946 viene presentato il testo uscito dalle discussioni e coordinato: «La presente Costituzione, al fine di assicurare l’autonomia, la libertà e la dignità della persona umana e di promuovere ad un tempo la necessaria solidarietà sociale, economica, spirituale, riconosce e garantisce i diritti inalienabili e sacri dell’uomo sia come singolo, sia nelle forme sociali nelle quali esso organicamente e progressivamente si integra e si perfeziona».

Si consolidano due idee forti.

I Costituenti rifiutano la scelta semplice di limitarsi a riconoscere i diritti “inalienabili e sacri dell’uomo” ma chiedono ai cittadini della Repubblica di esercitare ciascuno la propria solidarietà nei confronti degli altri.

Il termine “solidarietà”, apparentemente frutto di sintesi a noi contemporanea, appartiene invece, splendidamente, alla storia della Costituzione.

I Costituenti intuiscono poi che non vi può essere realizzazione della persona se non “nelle forme sociali”.

E’ solo la socialità che può dare la felicità.

La conquista della felicità: quel termine “scandaloso” che fu grande intuizione della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti del 1776, ma che, va ricordato, pervenne a Benjamin Franklin dalle riflessioni del giurista napoletano Gaetano Filangieri.

Il 24 gennaio 1947, in seduta plenaria di Commissione per la Costituzione viene presentato un testo più avanzato:

«Per tutelare i principî sacri ed inviolabili di autonomia e dignità della persona, e di umanità e giustizia fra gli uomini, la Repubblica italiana garantisce ai singoli ed alle formazioni sociali ove si svolge la loro personalità i diritti di libertà e richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale».

Si legge nella relazione del Presidente della Commissione per la Costituzione, Meuccio Ruini (Democrazia del lavoro), che accompagna il Progetto di Costituzione della Repubblica italiana: “Preliminare ad ogni altra esigenza è il rispetto della personalità umana; qui è la radice delle libertà, anzi della libertà, cui fanno capo tutti i diritti che ne prendono il nome. Libertà vuol dire responsabilità. Né i diritti di libertà si possono scompagnare dai doveri di solidarietà di cui sono l’altro ed inscindibile aspetto. Dopo che si è scatenata nel mondo tanta efferatezza e bestialità, si sente veramente il bisogno di riaffermare che i rapporti fra gli uomini devono essere umani. […] Col giusto risalto dato alla personalità dell’uomo non vengono meno i compiti dello Stato. Se le prime enunciazioni dei diritti dell’uomo erano avvolte da un’aureola d’individualismo, si è poi sviluppato, attraverso le stesse lotte sociali, il senso della solidarietà umana. […] Caduta la deformazione totalitaria del «tutto dallo Stato, tutto allo Stato, tutto per lo Stato», rimane pur sempre allo Stato, nel rispetto delle libertà individuali, la suprema potestà regolatrice della vita in comune. «Lo Stato — diceva Mazzini — non è arbitrio di tutti, ma libertà operante per tutti, in un mondo il quale, checché da altri si dica, ha sete di autorità». Spetta ai cittadini di partecipare attivamente alla gestione della cosa pubblica, rendendo effettiva e piena la sovranità popolare. Spetta alla Repubblica di stabilire e difendere, con l’autorità e con la forza che costituzionalmente le sono riconosciute, le condizioni di ordine e di sicurezza necessarie perché gli uomini siano liberati dal timore e le libertà di tutti coesistano nel comune progresso.”

La libertà è, dunque, anche frutto delle sue precondizioni: liberazione dal timore, sicurezza, progresso sociale, esercizio dell’autorità dello Stato.

Ancora oggi a queste condizioni bisogna guardare. Con realismo, e con la consapevolezza che viviamo in una società in cui la “sete di autorità” può prendere le forme inquietanti di una voglia primitiva di semplificazione e assumere, nel nostro Paese e altrove, le forme del populismo vendicativo e livoroso.

Sotto questo profilo, pur condividendo nella sua quasi totalità il Documento politico per il XVI Congresso nazionale ANPI, non concordo con i passaggi in cui, a proposito delle riforme costituzionali e della legge elettorale, si parla di “stravolgere le linee portanti, i valori, i principi della Costituzione”.

Vero che, come si legge nel Documento, “il sistema costituzionale è costruito sulla base di poteri e contropoteri e di organi di garanzia”, non si può negare che lo spettacolo di mercanteggiamenti infiniti e imboscate parlamentari che il bicameralismo perfetto consente e quello, altrettanto inquietante, del mercato delle preferenze in molte zone d’Italia, necessitano di correttivi. Senza entrare ulteriormente nel merito dello stato attuale delle riforme, credo vada riconosciuta la necessità di dare alla parte dinamica della nostra Costituzione una veste che corrisponda all’esigenza dei cittadini di riconoscersi in una Carta che garantisca, come gli stessi Costituenti sapevano, un esercizio produttivo e chiaro dell’autorità della Repubblica. Una Repubblica attiva, non contemplativa e solo contemplata: per evitare che la “sete di autorità” assuma nel corpo sociale forme francamente fasciste.

Non si può dimenticare che fu Togliatti, nella seduta dell’Assemblea Costituente dell’11 marzo 1947, a criticare fortemente definendolo “pesante e farraginoso” il procedimento legislativo e ad opporsi al sistema bicamerale; in un passaggio che seguiva quelli sulla nobiltà del compromesso politico in sede costituente e sull’esigenza di rinnovamento delle classi dirigenti.

Fondamentale è l’esigenza, bene espressa nei progetti che il Documento prefigura, di una “iniziativa politica sulla rigenerazione della politica e sul ruolo dei partiti”. Rigenerare i partiti politici e la partecipazione politica dei cittadini: senza in alcun modo negare la legittimazione e la funzione costituzionale essenziale dei partiti, che si esprime, anche, nella fondamentale possibilità per essi di selezionare le classi dirigenti e la rappresentanza politica, non in completa sostituzione, ma in concorso con l’espressione del voto nelle elezioni.

Grande era allora, e deve essere oggi, l’attenzione dovuta a tutto ciò che disegna, nella sua effettività, il volto della Repubblica.

Nella seduta dell’Assemblea Costituente dell’11 marzo 1947, Aldo Moro, parlando di quello che sarebbe diventato il testo dell’articolo 2 della Costituzione afferma: “occorre definire il volto del nuovo Stato in senso politico, in senso sociale, in senso largamente umano […] Uno Stato non è veramente democratico se non è al servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali essa integra la propria personalità […] quando noi parliamo di autonomia della persona umana, evidentemente non pensiamo alla persona isolata nel suo egoismo e chiusa nel suo mondo […] non intendiamo di attribuire ad esse un’autonomia che rappresenti uno splendido isolamento. Vogliamo dei collegamenti, vogliamo che queste realtà convergano, pur nel reciproco rispetto, nella necessaria solidarietà sociale”.

Nella successiva seduta del 15 marzo 1947 sarà Riccardo Ravagnan (PCI) ad aggiungere il dato di contenuto che allora e oggi lega il riconoscimento dei diritti umani al principio di eguaglianza espresso nell’articolo 3 della Costituzione, richiamando tre principi essenziali contenuti in quei testi:

“1°) Essi riconoscono e riaffermano quelli che si conviene di chiamare i diritti di libertà, già sanciti nelle varie Costituzioni dell’800, aggiungendo a questi il riconoscimento di quelli che conveniamo di chiamare i diritti economici e sociali;

2°) Questi diritti di libertà e diritti economici e sociali non sono soltanto riconosciuti al singolo, ma anche alle formazioni sociali nelle quali gli individui sviluppano e perfezionano la loro personalità;

3°) Non solo è dato questo riconoscimento, ma è data la garanzia dell’effettivo godimento di questi diritti, cioè la garanzia della rimozione degli ostacoli che si frappongono al libero godimento dei diritti di libertà e dei diritti economici e sociali. […]

se vogliamo che la nostra Costituzione abbia un carattere effettivamente moderno, aderente alla realtà attuale, se vogliamo che la democrazia non sia soltanto una democrazia formale, ma che sia effettiva, dobbiamo integrare il riconoscimento dei diritti di libertà con i diritti economici e sociali. Ne viene, come corollario, che non si tratta soltanto del riconoscimento, ma che è necessaria anche la garanzia”.

Due giorni dopo, il 17 marzo 1947, Lodovico Benvenuti (DC) ritorna sulla portata universale dei diritti dell’uomo: “non esitiamo, onorevoli colleghi, ad introdurre nella nostra Costituzione delle norme giuridiche nuove rispetto alle altre Costituzioni. Permettete che vi rammenti quanto scriveva cinque o sei anni fa un grande maestro di diritto, il professore Francesco Carnelutti. Egli osservava che noi ci preoccupiamo, e giustamente, di estendere le nostre esportazioni: e rilevava in proposito che c’è una cosa che possiamo sempre esportare e che trova rispondenza nella nostra migliore tradizione: il diritto». Onorevoli colleghi, affermiamo dunque i diritti dell’uomo, riconosciamoli, muniamoli di una tutela sempre più intensa ed efficace. Proclamiamo, coi nostri testi costituzionali e soprattutto coll’esempio, dinanzi al mondo, i principî del vivere libero. Con questo non soltanto avrà la nostra giovane Repubblica restituita la persona umana al posto che le compete, cioè al più alto gradino nella scala dei valori, ma avrà reso un nobilissimo servigio alla causa sacra dell’umana libertà”.

L’applauso unanime dell’Aula prelude al passaggio successivo: nelle sedute del 22 e 24 marzo 1947 si propone e poi stabilisce di trasferire la materia degli articoli 6 e 7 – in cui è contenuta la proclamazione dei diritti dell’uomo, della solidarietà, della socialità, dell’uguaglianza – immediatamente dopo l’articolo 1, cosicché diventino articoli 2 e 3.

Chiarisce Ruini: “la Commissione non ha nulla da opporre a questa proposta che tende a fissare subito, nei suoi lineamenti costitutivi ed essenziali, il volto della Repubblica”.

Nella seduta pomeridiana del 24 marzo 1947 viene accolto un emendamento comune di DC, PCI e PSIUP che porta l’articolo 2 pressoché alla sua attuale formulazione.

Come dice Aldo Moro illustrando il nuovo testo “esso ha un netto significato giuridico e contribuisce a definire un aspetto essenziale dei fini caratteristici, del volto storico dello Stato italiano”.

Il volto della Repubblica è questo. E ancora oggi esso deve essere reso visibile, in primo luogo ai giovani.

Pier Paolo Pasolini, l’8 febbraio 1948, rievocando la vicenda politica e umana del fratello partigiano Guido, scrive della “turpe ignoranza in cui il fascismo immergeva i suoi giovani”.

La semplificazione ipocrita, l’invettiva becera, la turpe ignoranza, sono ancora oggi un veleno quotidiano: la risposta è il volto vivo, attivo,

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