Dichiarazione del Presidente
nazionale ANPI, Gianfranco Pagliarulo. “Attendiamo com’è doveroso di
leggere la sentenza. È però evidente che la condanna abnorme contraddice
radicalmente la vicenda di un uomo che ha sempre aiutato gli ultimi e
non si è mai arricchito”
Siamo sconvolti per la notizia della
condanna a Mimmo Lucano cui inviamo solidarietà e vicinanza. Un Sindaco
che per sensibilità personale e dovere costituzionale ha fatto
dell’accoglienza e dell’integrazione la marca del suo impegno.
Attendiamo com’è doveroso di leggere la sentenza. È però evidente che la
condanna abnorme contraddice radicalmente la vicenda di un uomo che ha
sempre aiutato gli ultimi e non si è mai arricchito. Ribadendo la
fiducia nella magistratura e sottolineando la presunzione di innocenza
fino alla sentenza definitiva, l’ANPI tutta confida nei successivi gradi
di giudizio, in una positiva risoluzione di questa dolorosissima
vicenda giudiziaria
Nel territorio comunale di Sormano, nella nostra provincia, è andata a fuoco una pineta che, si è scoperto, nel 1932 era stata intitolata ad Arnaldo Mussolini, fratello del duce.
Immediata la reazione di contrarietà dell’ ANPI provinciale di Como, con una dichiarazione al Corriere della Sera a cui seguiranno, nella giornata di oggi, altre dichiarazioni rilasciate alle reti mediaset.
In collaborazione con la sezione Anpi Monguzzo, appartenente al territorio, si sta preparando una lettera da inviare al sindaco Giuseppe Sormani perchè si ponga fine a questo obbrobrio della storia.
Articolo di Gianfranco Pagliarulo sul quotidiano Domani del 12 marzo
Sono gli storici a dover scrivere
la storia. E non serve alla comprensione dei fatti spegnere ogni luce
sulla drammatica scena del confine orientale negli anni 40, e illuminare
solo le tragedie delle foibe e dell’esodo.
Bene sarebbe che
nell’anniversario dell’invasione italiana della Jugoslavia dalle
istituzioni italiane giungesse un inequivocabile messaggio di
distensione e di riconoscimento delle pesanti responsabilità che gravano
ancora sul nostro Paese.
Il cosiddetto confine orientale
andrebbe finalmente osservato con uno sguardo altro e alto: una
frontiera di secolare convivenza fra culture, lingue, religioni, stili
di vita differenti. Non un muro, ma un ponte che consenta di guardare ad
un futuro pacifico.
Si avvicina l’80esimo anniversario dell’invasione italiana della
Jugoslavia. Quell’evento – 6 aprile 1941 – rappresentò l’inizio di
un’oppressione e poi di una repressione sanguinosa. Le vittime jugoslave
dell’occupazione, della contestuale aggressione nazista e dei crimini
dei collaborazionisti si contano nella cifra di oltre un milione di
morti.
La legge 92 del 2004 recita, all’art. 1, che «la Repubblica riconosce il
10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e
rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime
delle foibe,
dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel
secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».
In questi diciassette anni, ben lungi da un lavoro di costruzione di
una memoria, se non condivisa, quantomeno complessiva, si è sviluppata
un’azione a largo raggio delle destre, in particolare le destre estreme,
tesa a imporre il dramma delle foibe e dell’esodo come una sorta di una
narrazione alternativa e contrapposta alla storia della Resistenza.
Tale azione politica e culturale a tutt’oggi in corso ha come
presupposto necessario l’estrapolazione delle drammatiche vicende dal
contesto e perciò la consapevole rimozione delle finalità della legge in
merito alla “complessa vicenda del confine orientale”. Ferma rimanendo –
questo sia assolutamente chiaro – la condanna e la riprovazione per
l’orribile vicenda delle foibe, come più volte ribadito dall’Anpi
nazionale, e assieme la drammatica memoria dell’esodo, va sottolineato
che l’obiettivo reale delle destre estreme è la costruzione di un mito
vittimario fascista. Dietro questa complessa operazione si cela un
paradossale capovolgimento della storia, per cui il fascismo italiano,
responsabile dell’aggressione alla Jugoslavia, sarebbe stato in realtà
vittima dell’aggressione jugoslava in una realtà ucronica in cui sono
state radicalmente rimosse l’invasione, le violenze, l’impunità dei
criminali di guerra, le complicità con il Terzo Reich.
L’operazione di illusionismo consiste nello spegnere ogni luce sulla
drammatica scena del confine orientale, mentre i fari si illuminano
soltanto per le tragedie delle foibe e dell’esodo.
Tutto qui per
gli illusionisti? No. Rimane da disinnescare il pericolo rappresentato
dalle fonti della conoscenza della verità sui fatti, cioè la ricerca
storica, ove questa non confermi la vulgata della destra, e rivestire di
autorità istituzionale la versione illusionista attribuendo alle
medesime istituzioni il compito inquietante di stabilire una volta per
tutte un’unica verità, negando la quale ci si pone in automatico al
fuori di qualsiasi legittimità. Detto in breve, non sono gli storici che
scrivono la storia, ma lo Stato.
La mozione di Fratelli d’Italia
L’incarnazione di questo disegno si trova nella mozione proposta dal
gruppo di Fratelli d’Italia, approvata il 23 febbraio dal Consiglio
regionale del Veneto e preceduta da un’analoga mozione del 2019 del
Consiglio del Friuli-Venezia Giulia.
Nel documento si premette che «tra il 1943 ed il 1947 sono stati
assassinati e infoibati dal regime comunista jugoslavo oltre 12.000
italiani». Ma il regime inizia alla fine del 1945; nel periodo
precedente si è in presenza di un movimento di resistenza contro
l’occupazione nazifascista. Eppure questa grottesca svista proclama la
vacuità, la vanità e la presunzione di sostituire alla ricerca storica
una artefatta verità politico-istituzionale.
Né va meglio con le
vittime delle foibe, dichiarate nel numero di 12.000 – ovviamente senza
citare alcuna fonte –, per cui qualsiasi altro calcolo formulato in
base agli elementi di ricerca si rivela “riduzionista”. È il caso del
“Vademecum per il giorno del ricordo”, esplicitamente attaccato come
“riduzionista” dalla mozione. Il testo, davvero equilibrato, a cura di
un gruppo di autorevoli storici, stima un numero di vittime inferiori di
circa la metà rispetto a quello dichiarato dalla mozione.
Tra
tali storici c’è da segnalare la presenza di Raoul Pupo, uno dei massimi
studiosi dell’argomento, già relatore ufficiale al Quirinale nel Giorno
del ricordo. Sia chiaro che il dramma delle foibe rimane esecrabile sia
che le vittime siano state 12.000, sia che siano state un numero
inferiore. Ma che le 12.000 vittime diventino verità assoluta e
inconfutabile per decisione del Consiglio regionale del Veneto pena
l’incorrere nella sua scomunica, è francamente imbarazzante per un Paese
civile.
L’esegesi del testo della mozione potrebbe continuare a lungo,
smontando omissioni e veri e propri falsi di cui è costellata. Conviene
però soffermarsi su qualche punto ulteriore, ove si afferma che ci si
impegna «a sospendere ogni tipo di contributo finanziario e di qualsiasi
altra natura (…) a beneficio di soggetti pubblici e privati che,
direttamente o indirettamente, concorrano con qualsiasi mezzo o in
qualsiasi modo a diffondere azioni volte a macchiarsi di riduzionismo,
giustificazionismo e/o di negazionismo
nei confronti delle vicende drammatiche quali le foibe e l’esodo,
sminuendone la portata e negando la valenza storica e politica di questa
enorme tragedia».
Ma con chi ce l’hanno gli estensori della
mozione? Lo si scopre in una delle premesse: «in occasione delle
celebrazioni del Giorno del Ricordo ogni anno vengono organizzati
numerosi convegni di natura negazionista o riduzionista con la presenza
di presunti storici, a cura principalmente dell’Anpi, con il sostegno
talvolta di amministrazioni locali compiacenti e di partiti politici
presenti in Parlamento, con il solo fine di sminuire o addirittura
negare il dramma delle foibe e delle drammatiche vicende correlate». In
sostanza coloro che propongono una visione difforme da quella imposta
nella mozione sarebbero sanzionabili: l’Anpi, gli storici («presunti»),
le amministrazioni locali («compiacenti»), i partiti politici.
Lettera a Mattarella
Nella gabbia – invero zoppicante – della mozione è imprigionata, in
sostanza, la libertà di ricerca e le libere iniziative promosse in
questa direzione dalle forze sociali e politiche. Quanto basta perché un
rilevantissimo numero di storici e di istituti di ricerca abbia inviato
una lettera aperta al Presidente della Repubblica in cui si denuncia
«un rischio gravissimo per la libertà di ricerca, il libero dibattito
scientifico, e più in generale per la libertà di espressione del nostro
Paese». In sostanza, la mozione di Fratelli d’Italia è in violenta rotta
di collisione – un riflesso pavloviano? – con l’art. 21 della
Costituzione che recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente
il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione».
E ancora: nella mozione si richiama la legge 115
del 2016 «con la quale si attribuisce rilevanza penale alle affermazioni
negazioniste della Shoah» con l’evidente intenzione di estenderne
l’ambito anche versus i “negazionisti” e “riduzionisti” delle foibe,
nella cieca ignoranza del disposto della legge che considera la norma
sulla negazione della Shoah come una circostanza aggravante dei delitti
di natura tipicamente neofascista di propaganda razzista.
Finito? Neanche per idea. Nella mozione si denuncia, in breve, la non
sufficiente presenza del dramma delle foibe e dell’esodo nei programmi
di formazione. Come se nei programma di formazione ci si soffermasse,
viceversa, sulle «complesse vicende del confine orientale». Ma quando
mai si parla nelle scuole dell’invasione della Jugoslavia? Gli italiani
in Jugoslavia si resero responsabili di incendi, fucilazioni, stragi,
rappresaglie di ogni genere. E del fascismo di confine?
Fu
proprio in quei territori che i fascisti presentarono il loro volto più
violento per un lungo periodo che prese avvio dall’inizio degli anni
Venti: una sistematica politica di oppressione e snazionalizzazione
delle minoranze slovene e croate e di persecuzione degli antifascisti.
Il 20 settembre 1920 a Pola Benito Mussolini affermò fra l’altro: «Di
fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve
seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone». E
dell’occupazione tedesca del Trentino Alto Adige e del Friuli Venezia
Giulia? Dopo l’8 settembre il Friuli Venezia Giulia fu occupato e
amministrato dal Terzo Reich, collaborazionisti cosacchi compresi, in
armonia con i fascisti locali ovviamente subalterni e fu luogo di
ulteriori atrocità che videro protagonisti non solo i tedeschi, ma anche
i fascisti italiani, fra cui quelli della X Mas. E dei criminali di
guerra italiani rimasti a tutt’oggi impuniti?
Questo fu il
contesto in cui si consumò il dramma delle foibe e successivamente
dell’esodo istriano, fiumano e dalmata e, assieme, prese corpo la
questione dell’espansionismo jugoslavo a fronte di una guerra che
l’Italia, fra gli altri, aveva dichiarato, uscendone sconfitta l’8
settembre 1943 e redenta per quanto possibile dalla Resistenza. Andò
molto peggio alla Germania e al Giappone.
La foglia di fico dell’ultranazionalismo
Le foibe e l’esodo sono tragedie sconvolgenti che richiedono la massima
serietà nella ricerca storica, nell’attribuzione delle responsabilità, e
nell’approccio politico affinché non diventino la bandiera di una
fazione e la foglia di fico di un ultranazionalismo irredentistico di
tipo novecentesco. E questo è il cuore del problema che abbiamo davanti:
dietro il racconto di una storia riscritta, cancellata, inventata,
semplicemente violentata si nasconde una ruggine vendicativa e
sciovinista che costituisce un pericolo per il nostro Paese e per i
Paesi confinanti. Per i firmatari della mozione e per quella
rilevantissima parte delle destre che condivide la sostanza di quelle
tesi il Novecento non è stato il secolo breve ma è invece un secolo così
lungo che continua tutt’oggi, nell’anno del Signore 2021.
Il
cosiddetto confine orientale andrebbe finalmente osservato con uno
sguardo altro e alto: una frontiera di secolare convivenza fra culture,
lingue, religioni, stili di vita differenti. Non un muro, ma un ponte
che consenta di guardare ad un futuro pacifico e di progresso di
civiltà, mettendo a valore le straordinarie ricchezze culturali di
quella terra.
Bene sarebbe che proprio in questa prospettiva,
nella circostanza dell’anniversario dell’invasione italiana della
Jugoslavia proprio dalle istituzioni italiane giungesse un
inequivocabile messaggio di distensione e di riconoscimento delle
pesanti responsabilità che gravano ancora sul nostro Paese.
I giardini di piazza del Popolo intitolati a Norma Cossetto
Comunicato
stampa
Apprendiamo dai giornali che oggi 8 marzo verrà intitolato il giardino di Piazza del Popolo a Norma Cossetto, studentessa istriana martire delle foibe. Certamente le foibe sono una brutta pagina della storia che ha vissuto il nostro paese, conseguenza di un comportamento verso gli slavi di italianizzazione forzata con centinaia di migliaia di episodi di violenze, abusi, stupri, incendi e assassinii da parte dei fascisti italiani. Certamente, e non da oggi, l’ANPI condanna le foibe come atto crudele fatto dai partigiani Jugoslavi consapevoli che le vendette comportano vittime innocenti, e la studentessa Norma Cossetto fu una di questi. Ci piacerebbe che con i morti delle foibe venga celebrato il ricordo delle migliaia di slavi, i così detti “allogeni” (1) e degli italiani antifascisti morti di fame, di stenti e di torture nei numerosi campi di concentramento italiani in territorio slavo (ben 5 ufficiali e di grandi dimensioni, fino a 10.000/15,000 internati come in quello più noto di Arbe) o i 36 stanziati in Italia e riservati in prevalenza a cittadini italiani di origine slava, tra cui il famigerato lager della Risiera di San Sabba a Trieste, unico campo in Italia a essere fornito anche di forno crematorio. Campo gestito dalle truppe tedesche in territorio controllato dalla famigerata Repubblica Sociale di Salò, e destinato agli oppositori politici (vittime stimate tra le tremila e le cinquemila). Non si dica che è l’ANPI a voler nascondere certe verità, si provi a chiedere ragione a chi, al governo per tre interi decenni con le forze di centro destra, non ha mai sentito il dovere o l’obbligo di chiedere spiegazioni al Governo Jugoslavo, o quelle forze politiche della destra nazionale che per anni, in particolar modo dal 1956 per tutti gli anni sessanta l’unica rivendicazione che portarono avanti fu quella revanscista sui territori italiani, eppure quanto successo nelle foibe era di pubblico dominio già da allora. Forse una chiave di lettura la indichiamo noi, non è che se il Governo Italiano avesse chiesto ragione dei fatti relativi alle foibe il Governo Jugoslavo avrebbe chiesto di processare i responsabili dei campi di concentramento slavi e tutti quelli che amministrarono le terre occupate dagli italiani? L’ANPI comasca è stata l’unica in questi anni ad aver organizzato non manifestazioni demagogiche, ma più di un convegno sul tema del Fronte Orientale, foibe comprese. L’ultimo giusto quattro anni fa in Biblioteca Comunale con la partecipazione di due storici, Eric Gobetti, ricercatore di Storia Contemporanea presso l’università di Torino (ci verrà fatto rilevare che si tratta di uno storico di sinistra, ebbene sì, ne siamo consapevoli) e il prof. Giorgio Conetti (di lui però non si può dire), per anni docente di Diritto Internazionale e Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Dell’Insubria di Como e presidente di quella Commissione Storico-culturale Italo-Slovena (2) che dopo ben sette anni di lavori produsse un corposo dossier, reso pubblico su sollecitazione di molti organismi fra cui l’ANPI e il Governo Sloveno dopo ben otto mesi. Un’ultima cosa, la scelta dei giardini di Piazza del Popolo è casuale o il fatto di essere di fronte alla ex Casa del fascio è una scelta di coerenza politica?
Grazie per l’attenzione.
La
segreteria del Com. Prov. di Como
(1)
quei cittadini che, in uno stato nazionale, sono di stirpe, ed
eventualmente di lingua e di tradizioni culturali e religiose diverse
da quelle della maggioranza, e che conservano una propria identità
culturale e spesso anche politica.
(2)
Nell’ottobre
1993 i Ministri degli esteri dell’Italia e della Slovenia
istituirono una Commissione storicoculturale italo-slovena con lo
scopo di fare il punto sui risultati della ricerca storica realizzata
nei due Paesi sul tema dei reciproci rapporti. La Commissione era
formata da parte italiana da Giorgio Conetti, docente di diritto
internazionale e preside della facoltà di giurisprudenza di Como che
la presiedeva, e dagli storici Angelo Ara (Università di Pavia),
Marina Cattaruzza (Università di Berna), Fulvio Salimbeni
(Università di Udine), Raoul Pupo (Università di Trieste),
Maria Paola Pagnini, ordinario di geografia dell’Università di
Trieste e dal sen. Lucio Toth, dell’Associazione Nazionale Venezia
Giulia e Dalmazia. La parte slovena, presieduta dalla dott.ssa Milica
Kacin Wohinz era composta dagli storici France Dolinar, Branko
Marusˇicˇ, Boris Mlakar, Nevenka Troha, Andrej Vovko e Aleksander
Vuga. Inizialmente fecero parte della Commissione anche il
costituzionalista Sergio Bartole, lo scrittore Fulvio Tomizza, lo
storico Elio Apih e Boris Gombacˇ che, per vari motivi, non poterono
proseguire nell’incarico. Dopo 7 anni di lavoro e ripetuti incontri
la relazione conclusiva della Commissione fu approvata all’unanimità
dai suoi 14 componenti il 25 luglio 2000 e consegnata ai rispettivi
Ministeri degli esteri, ma inspiegabilmente per 8 mesi non fu resa
pubblica. Benché la pubblicazione fosse stata sollecitata da più
parti, tra le quali l’ANPI, e da un voto unanime della Camera dei
Deputati, la relazione fu resa pubblica nel testo integrale soltanto
il 4 aprile 2001 dal quotidiano “Il Piccolo” e – lo stesso
giorno – anche dal Ministero degli esteri.
Nota del Presidente nazionale
ANPI: “Occorre aprire una pagina nuova che, senza nulla togliere alla
gravità degli eventi delle foibe e dell’esodo, restituisca nella sua
interezza il dramma delle terre di confine e del più ampio territorio
slavo”
Oggi è il Giorno del ricordo,
istituito “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia
degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro
terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della
più complessa vicenda del confine orientale”.
Ricordiamo perciò in primo luogo e senza alcuna reticenza l’orrore
delle foibe e le sue vittime e, assieme, il dramma dell’esodo di tanti
italiani. Guardiamo con compassione e rispetto a tutti gli innocenti
colpiti da questa immane tragedia.
Ma perdura l’assordante silenzio verso “la più complessa vicenda del confine orientale”.
Stigmatizziamo il silenzio verso l’aggressione dell’Italia fascista
nei confronti della Jugoslavia (parte della Slovenia, della Croazia,
compresa la Dalmazia, e della Bosnia ed il Montenegro), di cui
quest’anno ricorre l’80° anniversario, gli innumerevoli, efferati
massacri che ne seguirono, le impunite responsabilità dei criminali di
guerra italiani.
Stigmatizziamo il silenzio verso le violenze, gli incendi e gli
omicidi del “fascismo di confine” in Venezia Giulia dal 1920 in poi, che
colpì le minoranze slovene e croate e gli oppositori politici italiani.
Stigmatizziamo il silenzio verso la risiera di San Sabba, campo di
sterminio dove furono assassinati dall’inizio del 1944 migliaia di
ebrei, partigiani, detenuti politici ed ostaggi.
Stigmatizziamo il silenzio verso i crimini nella Zona d’operazioni
del litorale adriatico, che comprendeva l’attuale Friuli-Venezia Giulia e
la Zona d’operazioni delle Prealpi, cioè l’attuale Trentino Alto Adige,
occupati dai nazisti all’indomani dell’8 settembre, con la piena
collaborazione dei fascisti italiani, complici o responsabili – a
cominciare dalla X MAS – di innumerevoli delitti.
A 17 anni dall’approvazione della legge prevale una memoria vera e
drammatica, ma che è parte di una memoria molto più grande, volutamente e
colpevolmente rimossa. Così operando si sollecita soltanto un nuovo
nazionalismo che ci riporta al 900 e non sanerà mai le ferite del
passato. Occorre aprire una pagina nuova che, senza nulla togliere alla
gravità degli eventi delle foibe e dell’esodo, restituisca nella sua
interezza il dramma delle terre di confine e del più ampio territorio
slavo e le incancellabili e criminali responsabilità del fascismo.
Occorre infine restituire alla ricerca storica la sua funzione oggi
indebitamente occupata dalla politica che, in questa misura, distorce la
verità storica e la presenta a vantaggio di questa o quella parte.
Gianfranco Pagliarulo – Presidente nazionale ANPI
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