TURCHIA

Una forte condanna di quanto sta accadendo in Turchia e un monito severo all’Unione europea perché faccia quanto occorre per la difesa della democrazia – e della sicurezza – in Europa e nel mondo

 

Ciò che è avvenuto e sta avvenendo in Turchia è di una gravità inaudita. Sono state sospese le garanzie offerte dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e di fatto ne era già in atto la violazione.

Per la verità, non da ora poiché è da tempo che viene tolto ogni spazio al dissenso ed all’opposizione, vengono incarcerati personaggi “scomodi”, viene limitata la libertà di stampa e la manifestazione e la diffusione del pensiero. Ma ora, dopo il cosiddetto “tentativo di golpe” che ha assunto forme così assurde di preparazione e di impostazione da far dubitare molta parte della stampa mondiale che sia stato davvero un tentativo di scalzare Erdogan e non di una operazione che comunque, da chiunque pensata, ha fatto molto comodo proprio al dittatore; che ha colto l’occasione (se “occasione” c’è stata, perché – ripeto – non pochi ne dubitano) per arrogarsi poteri personali illimitati, rafforzando i legami con la parte più islamica” e religiosa del Paese, sempre nell’intento di rafforzare se stesso e quel tipo di Stato che ha nella mente.

Uno Stato che non ha più nulla (o quasi) di democratico e che minaccia di identificarsi con le forme più bieche di fondamentalismo. Per questo, alcuni hanno apprezzato, inizialmente, la “mossa” dei militari, da sempre inclini alla laicità dello Stato. Noi, per la verità, non siamo caduti nella trappola perché non ci piacciono gli Stati fondamentalisti, ma non ci piacciono neppure le dittature o gli autoritarismi militari (si veda ciò che accade in Egitto, dove Regeni, che ricordiamo sempre, non è stato certamente l’unico a subire un trattamento barbarico, sul quale si sono poi innestati silenzi, dirottamenti e disimpegno da parte di chi avrebbe dovuto collaborare alla ricerca, almeno, della giustizia). Certo è che, attualmente, di libertà e di diritti umani, in Turchia, resta appena una sottilissima traccia, mentre colpiscono gli arresti, evidentemente premeditati, vista la celerità con cui sono stati individuati” e incarcerati i presunti colpevoli, come magistrati, avvocati, giornalisti e insegnanti. E si parla, di nuovo, di pena di morte.

Tutto questo non può che suscitare la più ferma condanna da parte di chiunque (individuo o Stato) abbia a cuore la democrazia e la libertà. Ed è veramente incomprensibile ed inaccettabile il silenzio dell’Unione Europea, all’interno della quale non è mai venuta meno, in alcune componenti, l’intenzione di ammettere la Turchia nell’ambito dell’Unione.

Per parte nostra e per quello che possiamo contare (ma ancora una volta cerchiamo di esprimere i valori della Costituzione e quelli della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, oltreché della Convenzione europea – appunto – in tema di diritti e garanzie) siamo fermamente contrari anche solo all’idea che nell’Unione europea, che già include troppi Stati che si fondano sull’autoritarismo ed il razzismo, possa entrare, un simile Paese.

Non ne deriverebbe certo un vantaggio per lo sviluppo democratico dell’Unione europea, che invece, se finalmente riuscisse ad esprimersi con una voce sicura e ferma, dovrebbe emettere solo parole (e atti concreti) di condanna.

Per quanto ci riguarda, siamo vicini a coloro che oggi, in Turchia, nutrono sentimenti democratici e per questo stanno rischiando di vedersi privare di alcuni diritti fondamentali, precisando che non si tratta solo di solidarizzare, ma di premere perché il nostro Governo, così come l’Unione Europea, assumano un atteggiamento chiaro e netto, adottando anche le misure necessarie, perché le brutalità, l’orrore e la violazione dei diritti – contro i quali abbiamo combattuto settant’anni fa – non possano ripetersi ancora, magari in forme diverse, ma sempre estremamente pericolose, non solo per uno specifico Paese, ma per l’intera comunità internazionale.

Carlo Smuraglia, presidente ANPI

 

ESEMPI DI CATTIVA POLITICA

La ”cattiva” politica dà altre prove di sé. A quando un cambiamento radicale?

a. in questi giorni, ancora nuovi esempi di come la politica finisca per allontanare i cittadini, anziché recuperarne la fiducia.

Da un lato, il già lungo iter della proposta di legge sulla tortura, che ci vede in grave ritardo rispetto a molti altri Paesi, si è interrotto, in Parlamento, ed in forma tale da far ritenere a buona parte della stampa che la questione si sia ormai avviata verso un binario morto.

Il fatto è grave e rischia, ancora un a volta, di minare alla base la credibilità della politica. L’Italia ha assunto l’impegno di introdurre il reato di tortura nel 1985, ratificando la Convenzione dell’ONU. Non ha adempiuto, tant’è che ha subìto una condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, circa un anno fa, proprio per non aver ancora colmato la lacuna esistente nel nostro ordinamento penale. C’erano, dunque, mille ragioni per arrivare finalmente alla conclusione. Proprio a questo punto, nonostante le tante promesse, si è verificata una battuta di arresto, con ogni probabilità tutt’altro che temporanea.

Questo proprio in un Paese che dovrebbe essere “vaccinato” per aver fatto la drammatica esperienza della Caserma Diaz di Bolzaneto, (e non solo) oltre ad aver registrato, di recente, un gravissimo caso di “tortura” da parte di un gruppo di giovani a danno di un coetaneo. Ci sarebbe da essere scoraggiati; ma noi insisteremo a chiedere, a pretendere, che finalmente si adempia ad un obbligo, oltreché giuridico, anche morale. C’è bisogno, ancora una volta, di rassicurare i cittadini e non di deluderli incrinando ulteriormente la fiducia nei confronti delle istituzioni e della politica.

b. Il secondo caso, talmente clamoroso da essere stato definito, sulla stampa, come un “delitto perfetto”, è quello della negata autorizzazione, in sede giudiziaria, dell’utilizzo di alcune conversazioni telefoniche in cui è parte Silvio Berlusconi, nel procedimento cosiddetto “Ruby ter”. Si tratta di una serie di testimonianze, rese in altro processo, ritenute dai Giudici “false”, con conseguente trasmissione degli atti al Pubblico Ministero, che ha proceduto (e il processo è in corso) contro alcune “olgettine” e contro alcuni imputati (fra cui Silvio Berlusconi) per induzione alla falsa testimonianza. In Parlamento, dopo alcune vivaci discussioni nella competente Commissione e trascorsi diversi mesi da quando la richiesta di autorizzazione era pervenuto alla Giunta del Senato (8.10.15), si è passati all’Aula; e qui è avvenuto l’incredibile.

Un certo numero di parlamentari di vari gruppi, ha chiesto – e ottenuto – che si procedesse con voto segreto; e la votazione ha dato un risultato non corrispondente alle forze in campo: si erano pronunciati per l’autorizzazione il Partito Democratico e il Movimento 5 stelle e i loro voti sommati, avrebbero rappresentato la maggioranza, che invece non c’è stata.

Un risultato assurdo e apparentemente inspiegabile. La stampa ha formulato non poche ipotesi, i sospetti si sono accavallati; naturalmente, non c’è una prova, perché il voto – appunto – era “segreto”. Resta il fatto che senza motivazione e nel segreto dell’urna, si è verificata una sorta di “salvataggio” di Berlusconi, in danno della giustizia. Un danno, peraltro, parziale perché ci sono altri elementi di prova che i Giudici dovranno valutare. Ma un danno, certo, d’immagine per la politica, che ancora una volta ha dato una cattiva prova di sé. Tanto più che si arriverà addirittura al ridicolo, perché quelle conversazioni telefoniche che non potranno essere utilizzate nei confronti di Berlusconi, potranno esserlo invece nei confronti dalle imputate, che ad esse hanno partecipato. Così, in un processo, si discuterà attorno a prove che avranno valore per alcuni imputati e non per altri. Cosa penseranno i cittadini, che certo non sono tenuti a conoscere il diritto ma faticheranno molto a capire come sia possibile che in un giudizio alcuni fatti acclarati (le abbiamo lette tutti, ormai, quelle conversazioni sulla stampa) possano essere valutati per alcuni imputati e non per altri, in palese conflitto col principio che “la legge è uguale per tutti”?

Un altro punto a favore, purtroppo, di quella antipolitica, che noi riteniamo poco utile per il benessere della nostra democrazia e quindi contestiamo con forza, ma che proprio da fatti come quelli ricordati, finisce per trarre alimento.

A quando una vera “rigenerazione” della politica? Eppure sarebbe veramente importante che i cittadini ricevessero finalmente qualche messaggio positivo.

Se ne gioverebbero la partecipazione e la democrazia

Carlo Smuraglia, presidente ANPI

 

 

REFERENDUM: L’ IMPORTANZA DELLA VERITA’

Referendum: l’importanza della verità

Si va diffondendo, per fortuna, il convincimento che la campagna referendaria

debba svolgersi con civiltà, senza ricatti e senza pressioni “politicamente

scorrette”. Non va dimenticato, però, che un requisito importante, anzi

fondamentale, di una campagna civile è la verità. Le opinioni possono essere

diverse, ma sui presupposti di fatto non dovrebbero esserci dubbi. La verità,

prima di tutto. Mi capita, peraltro, di leggere su un grande quotidiano l’articolo

di un autorevole esponente del “SI” (Il confronto sul referendum e le ragioni

per votare “SI”) che mi sembrava muoversi sulla linea civile di cui ho detto. Ma

poi dopo aver sostenuto che una delle grandi difficoltà delle democrazia

occidentali è costituita dalle estraneità dei cittadini alla politica, si afferma che

vada particolarmente sottolineata “quella parte della riforma (del Senato) che

riconosce il diritto dei cittadini al referendum propositivo e a veder prese in

esame entro un determinato termine le proposte di legge di iniziativa popolare

che oggi finiscono in un cestino”. Due proposte, dice l’autore, che

rappresentano una novità che, insieme con una buona legge elettorale,

potrebbe riattivare il circuito virtuoso” tra società e politica”. Bene. Guardiamo,

però le norme in questione e ci accorgiamo facilmente che quel circuito virtuoso è molto di là da venire, perché il legislatore della riforma, che avrebbe ben

potuto dettare disposizioni precise, in tutti e due i casi, invece non l’ha fatto

rinviando l’attuazione dei principi enunciati sostanzialmente alle calende greche.

Leggiamoli: all’art. 71 attuale si aggiunge un comma in cui si parla del

referendum costituzionale propositivo, ma se ne rinviano “condizioni ed effetti”

ad una legge costituzionale. Questa è la prima delle due future novità.

Passando alla seconda, che riguarda l’iniziativa legislativa popolare, anche in

questo caso c’è un comma aggiuntivo all’art. 71, ma da un lato si scrive che “la

discussione e la deliberazione conclusiva sulle proposte di legge di iniziativa

popolare sono garantite, nei tempi, nelle forme, e nei limiti stabiliti dai

regolamenti parlamentari (dunque ancora un rinvio alle calende greche, per

l’attuazione effettiva del principio); e dall’altro si moltiplica addirittura per tre il

numero delle firme richieste, appunto, per la presentazione di leggi di iniziativa

popolare. E in questo caso la trasformazione del numero di firme da 50.000 a

150.000 non è rinviata ma diventa di immediata applicazione. Davvero un

singolare modo per favorire la partecipazione a meno che non si intenda che

essa si risolva in una promessa, anzi in due promesse e in una norma

peggiorativa. Dunque siamo d’accordo di discutere sul merito, ma a condizione

che si dica la verità, tutta la verità sulle cosiddette “novità” che dovrebbero

risolvere il problema del circuito viziosoè molto di là da venire, perché il legislatore della riforma, che avrebbe ben

potuto dettare disposizioni precise, in tutti e due i casi, invece non l’ha fatto

rinviando l’attuazione dei principi enunciati sostanzialmente alle calende greche.

Leggiamoli: all’art. 71 attuale si aggiunge un comma in cui si parla del

referendum costituzionale propositivo, ma se ne rinviano “condizioni ed effetti”

ad una legge costituzionale. Questa è la prima delle due future novità.

Passando alla seconda, che riguarda l’iniziativa legislativa popolare, anche in

questo caso c’è un comma aggiuntivo all’art. 71, ma da un lato si scrive che “la

discussione e la deliberazione conclusiva sulle proposte di legge di iniziativa

popolare sono garantite, nei tempi, nelle forme, e nei limiti stabiliti dai

regolamenti parlamentari (dunque ancora un rinvio alle calende greche, per

l’attuazione effettiva del principio); e dall’altro si moltiplica addirittura per tre il

numero delle firme richieste, appunto, per la presentazione di leggi di iniziativa

popolare. E in questo caso la trasformazione del numero di firme da 50.000 a

150.000 non è rinviata ma diventa di immediata applicazione. Davvero un

singolare modo per favorire la partecipazione a meno che non si intenda che

essa si risolva in una promessa, anzi in due promesse e in una norma

peggiorativa. Dunque siamo d’accordo di discutere sul merito, ma a condizione

che si dica la verità, tutta la verità sulle cosiddette “novità” che dovrebbero

risolvere il problema del circuito vizioso attualmente in atto tra cittadini e

istituzioni; circuito vizioso palesemente destinato a protrarsi ancora a lungo,

nonostante le affermazioni di principio che finiscono per essere, unite

all’aumento del numero di firme, meno ancora di un atto di intenzione e di

buona volontà.

Carlo Smuraglia, presidente ANPI Nazionale

EMERGENZA UMANITARIA A COMO

Care/i amiche/i e compagne/i,
nelle ultime settimane stiamo assistendo alla Stazione ferroviaria di Como-San Giovanni ad una situazione veramente drammatica: decine di migranti, anche bambini, vivono in condizioni estremamente difficili a causa dei respingimenti subiti alla frontiera con la Svizzera. L’obiettivo infatti dei migranti provenienti dall’Africa che da giorni vivono accampati nei giardini fuori dalla stazione non è restare a Como, ma dirigersi nei paesi del nord Europa.
Associazioni e volontari stanno cercando di far fronte a questa emergenza umanitaria. Siamo convinti che Como sappia e debba dare il meglio di sé attraverso la solidarietà umana nei confronti dei migranti che fuggono da guerre, fame e disperazione.  Per questo motivo accogliamo e diffondiamo l’appello della rete Como Senza Frontiere che qui di seguito vi riportiamo:

Nella serata del 19 luglio alcuni rappresentanti della rete Como Senza Frontiere hanno partecipato alla riunione della Rete dei servizi per la grave marginalità per organizzare concretamente come fronteggiare la situazione di “emergenza” legata all’arrivo a Como di migranti interessati ad attraversare il confine con la Svizzera. Como senza frontiere ha partecipato all’incontro vista la costante presenza serale alla stazione San Giovanni.
Si è deciso che, insieme a persone competenti che si occupano di queste cose da tempo, che a partire dalle 18.45 i volontari del coordinamento aiuteranno ad indirizzare i migranti dalla stazione verso la mensa in via Tommaso Grossi e alla parrocchia di Rebbio; qui potranno cenare una cinquantina di persone tra donne, famiglie, minori non accompagnati, scortati dai mezzi della CRI.
Per questo servizio servono tre/quattro volontari al giorno, fino a quando non si troverà una situazione più stabile.
I volontari dovranno trovarsi alle 18.45 alla stazione San Giovanni. Laura Castegnaro della cooperativa Lotta contro l’emarginazione darà loro istruzioni.Oltre a ciò, dalle 21.30 Como senza frontiere continuerà con la distribuzione delle coperte e bisettimanalmente (mercoledì e venerdì) dei vestiti.

Chi volesse partecipare e/o contribuire può comunicarlo scrivendo a comosenzafrontiere@gmail.com oppure a info@anpisezionecomo.net, indicando i giorni in cui ci si rende disponibili.

Anpi sezione di Como “Perugino Perugini”

ANPI CONTRO IL REATO DI TORTURA

Nel 15° anniversario delle Giornate di Genova 2001 al G8, giorni in cui l’impegno civile, sociale e politico di centinaia di migliaia di cittadini (la stragrande maggioranza erano giovani) fu brutalizzato da una repressione cieca da parte degli apparati dello Stato, l’ ANPI RINNOVA CON FORZA il suo appello affinchè il reato di tortura sia finalmente introdotto nel nostro Paese .

Di questi giorni l’annuncio del tentativo del ministro Alfano di affossare la legge contro la tortura, presente in ogni Paese civile, e di cui l’Italia è ancora vergognosamente sprovvista.

Più volte negli ultimi anni, proprio in riferimento ai fatti di Genova 2001, la Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato lo Stato italiano per aver violato il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti e per non aver adeguatamente accertato e sanzionato i responsabili. La sentenza Cestaro ( manifestante a Genova 2001) v. Italia del 7 aprile 2015 riconosce, facendo proprie la ricostruzione storica e la valutazione giuridica dei giudici di merito e della nostra Corte di Cassazione, che durante il G8 di Genova 2001 si è arrivati a praticare la tortura e che l’ordinamento italiano è strutturalmente inidoneo per reprimere e quindi prevenire il ripetersi di tali fatti. La lacuna maggiore è rappresentata dalla mancata codificazione del reato di tortura e della sua imprescrittibilità. Il Parlamento in questi anni ne ha discusso a lungo, senza mai trovare un accordo su una buona legge. Eppure non avrebbero dovuto esserci valide ragioni per discostarsi dai percorsi obbligati che derivano dalla Convenzione Onu contro la tortura del 1984 e dalle chiare indicazioni della Corte dei Diritti Umani.

Rischia così di allontanarsi l’obiettivo primario della prevenzione, in un Paese che si è macchiato più volte di episodi di tortura, spesso taciuti e dimenticati.

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