MARTEDI’ 6 MARZO, COMO

MARTEDI 6 MARZO, ORE 20,45

BIBLIOTECA DI COMO, PIAZZETTA LUCATI, 1

PRESENTAZIONE DEL LIBRO

TANTO TU TORNI SEMPRE
INES FIGINI, LA VITA OLTRE IL LAGER

DI GIOVANNA CALDARA E MAURO COLOMBO

Quando fu deportata Ines Figini aveva meno di 22 anni.
Non era ebrea, partigiana o antifascista, ma si era schierata a favore di alcuni compagni di lavoro durante uno sciopero alla Stamperia Comense (poi diventata Ticosa).
Così finì nei lager di Mauthausen, Auschwitz-Birkenau e Ravensbruck e infine in un ospedale militare, dove trascorse un anno e mezzo.
 
Ha atteso più di cinquantasei anni prima di parlare in pubblico della sua vicenda: ora la racconta in questo libro.
E’ la storia di una famiglia ma è anche una storia di fabbriche; e di una città,  ­ Como, ­ punto strategico per le forze nazifasciste. Di treni che partivano per mete ignote e di luoghi in cui l’ umanità si divideva tra vittime e carnefici, fino a negare se stessa. E’ la storia di una persona a cui il lager non ha rubato l’ anima e che ha ripreso a vivere. Che ogni anno torna là  dove era stata reclusa. Che ricorda. E che, nonostante tutto, ha perdonato.
.
 
Il Comune di Como – Assessorato alla Cultura ha scelto una data doppiamente simbolica per organizzare la presentazione del libro: il 6 marzo, a ridosso della Festa della Donna, ma soprattutto anniversario dello sciopero del 1944 a causa del quale Ines Figini venne deportata con altri operai della Tintoria Comense.

 
Saranno presenti la protagonista, Ines Figini,
e gli autori, Giovanna Caldara e Mauro Colombo.
Interverrà  Valter Merazzi, del Centro di ricerca “Schiavi di Hitler”.
L’ attrice Sabrina Rigamonti leggerà  alcune lettere scritte da Ines durante i mesi trascorsi in Germania.

L’incontro sarà  moderato da Katia Trinca Colonel, giornalista del “Corriere di Como”.

Ingresso libero.

MORTI NEI LAGER E NASCOSTI DA UNA LEGGE ITALIANA

Sangue innocente e oblio di Stato. Non erano dispersi, ma i governi italiani d’ogni ordine e grado (o colorazione se preferite) non l’hanno mai detto. Insabbiati di guerra: uccisi due volte. Nato il 26 settembre 1905 a Vico del Gargano e deceduto il 12 giugno 1944; sepolto ad Amburgo, nel cimitero militare italiano d’onore (posizione tombale: riquadro 4, fila E, tomba 9).  Si chiamava Antonio Comparelli, combattente antifascista pugliese, è uno dei circa 17 mila italiani che nel 1957 e ’58 furono occultati in vari cimiteri tedeschi da un italianissimo Commissariato Generale Caduti in Guerra (sigla: “Onorcaduti”) che li identificò, ne scrisse i nomi, date e luoghi di origine sulle tombe. Ma alle famiglie nessuna notizia. Non una lettera, né un telegramma e neppure un avviso tramite uffici militari. Genitori, mogli, figli, fratelli, sorelle e parenti furono tacitamente condannati all’angoscia e alla disperata speranza di veder tornare un giorno il loro congiunto. Addirittura una legge – davvero difficile crederci se non fosse tutto documentato in Gazzetta Ufficiale – emanata il 9 gennaio 1951, numero 204, all’articolo 4 recava il «divieto di rimpatrio delle salme sepolte nei cimiteri militari italiani dall’estero». Presidente del Consiglio era Alcide De Gasperi, che qualche anno prima aveva estromesso dal governo comunisti e socialisti su richiesta del governo Usa, ottenendo per il suo partito la vittoria del 18 aprile 1948. Il giornalista d’altri tempi – E’ lo stesso periodo in cui qualcuno, nella sede del Tribunale Militare, ordinò di girare contro il muro affinché non si potesse aprire l’armadio con 695 rapporti e 2.274 denunce (“notizie di reato”) a carico di nazisti tedeschi e fascisti italiani responsabili di stragi con migliaia di morti civili innocenti. Lo troverà nel 1994 il giornalista Franco Giustolisi: «Questa è la storia di un’ingiustizia. La più tremenda  ingiustizia che un popolo possa subire. Fu una carneficina. Nazisti e fascisti, SS e repubblichini fecero decine di migliaia di vittime. Gente senz’armi, civili in fuga dalla guerra. Per lo più donne, vecchi e bambini. Piccoli ancora in fasce. Altri mai nati. Non furono rappresaglie ma omicidi. C’è un palazzo a Roma in via degli Acquasparta, sede della Procura generale militare. Lì affluivano dopo la liberazione, i fascicoli di quegli eccidi. Ma arrivò un ordine dall’alto. Fu deciso di salvare migliaia di criminali, di uccidere una seconda volta una moltitudine di cittadini. Non ci furono processi 

Tutto fu avvolto nel silenzio che il potere aveva imposto».

Non solo ebrei – La tragica conta ufficiale del ministero della Difesa attesta che i deportati italiani furono in tutto 800 mila, di questi 80 mila morirono di stenti o furono trucidati nei lager, 44 mila erano civili internati per motivi razziali o politici, gli altri erano militari che in varie zone di guerra avevano tentato di resistere ai tedeschi – mentre il re Savoia si era dato alla fuga con la famiglia – e militari che s’erano rifiutati di arruolarsi nella Repubblica di Salò. Le salme si trovano nei cimiteri militari italiani di Amburgo, Berlino-Zehlendorf, Francoforte, Monaco di Baviera, Mauthausen in Austria e Bielany in Polonia. Fra le vittime sepolte si contano anche 77 ragazzi e bambini.

Un uomo – «È giusto che le famiglie dei Caduti sappiano». Questa è la frase che è diventata lo slogan dell’impresa titanica che un uomo di Montorio Veronese, Roberto Zamboni, ha deciso di portare fino in fondo: restituire alle famiglie la memoria dei propri cari, scomparsi durante il secondo conflitto mondiale e dati per dispersi.Gli elenchi di Zamboni (sul suo sito significativamente intitolato “Dimenticati dallo Stato”) provengono dall’incrocio di dati oscurati in diversi archivi: Croce Rosa Internazionale, Vaticano e Commissariato per le Onoranze (Onorcaduti) del ministero della Difesa tricolore. Incrociando i riferimenti Zamboni ha aggiunto ai nomi anche notizie relative alla deportazione, alle date e alle cause della morte, alla condizione sociale e alla provenienza delle vittime. «Per oltre un decennio ho raccolto i dati dei nostri Caduti militari e civili che furono internati o deportati nei campi nazisti e che, alla fine del loro calvario, furono sepolti in Germania, Austria e Polonia. Chi nel dopoguerra si occupò di ricercare, riesumare e traslare le salme nei cimiteri militari italiani, purtroppo si “dimenticò” d’informare i familiari dell’avvenuta inumazione, negando a migliaia di famiglie italiane di avere almeno una tomba su cui piangere».Dalla fine della Seconda Guerra mondiale, il suo è il primo elenco integrale (oltre 16mila nominativi di base) che sia mai stato reso pubblico, riguardante i connazionali deceduti in prigionia o per cause di guerra e sepolti nei sei principali cimiteri militari italiani in Austria, Germania e Polonia. Nelle liste sono trascritte le posizioni tombali dei caduti sepolti nei cimiteri militari italiani di Amburgo, Francoforte sul Meno e Monaco di Baviera. Per i caduti sepolti nei cimiteri

militari di Berlino, Bielany/Varsavia e Mauthausen, è indispensabile richiedere le coordinate tombali al Commissariato generale onoranze caduti in guerra per poter stabilire se il caduto è stato inumato in fossa singola, in tomba collettiva o sepolto tra gli ignoti.

Val la pena di chiarire che Zamboni fornisce la data di nascita di ognuno, la data esatta di morte (quasi sempre Austria, Germania o Polonia) e il luogo dove sono sepolti: notizie, le ultime due, che le famiglie di origine hanno sempre ignorato. Per le numerose famiglie, infatti, quei ragazzi partiti giovanissimi per la guerra non sono più tornati. «Lo studio», spiega Zamboni, «partito inizialmente come ricerca familiare, si è con il tempo sviluppato e dilatato in una vera e propria ricerca, tuttora in corso, su un aspetto poco conosciuto a ricercatori e storici e, come avrei potuto appurare col tempo, totalmente sconosciuto ai parenti dei Caduti. Dov’erano state sepolte le centinaia di deportati civili morti dopo le liberazioni dei campi di concentramento? E le migliaia di Internati militari italiani deceduti per le violenze subite nei campi di prigionia? Erano realmente tutti dei dispersi o avevano trovato degna sepoltura?».

«Questa impresa, iniziata nel 1995», conclude lo studioso, «ha come scopo finale quello di far conoscere ai parenti di questi poveri sventurati le località di sepoltura dei loro cari. A questo proposito dal marzo del 2009 ho iniziato a catalogare, riscontrare e verificare gli elenchi in mio possesso per poterli rendere pubblici». La sua ricerca ha avuto una importante eco mediatica quando Savino Pezzotta, ex segretario generale della Cisl, ha trovato il nome di suo padre: Pezzotta Francesco. Artigliere alpino, rifiutò di aderire alla Repubblica di mussoliniana di Salò: morto il 9 giugno 1944, sepolto nel

cimitero militare d’onore a Bielany in Polonia. «Quel soldato era mio papà», disse Pezzotta, «e non abbiamo mai saputo dove fosse sepolto». Ora il documento è stato affidato al nostro giornale e finalmente dopo oltre 60 anni le famiglie potranno conoscere la sorte dei loro cari.

Un sindaco neofascista – Ad Orta Nova, in Puglia, il sindaco Giuseppe Moscarella prima di mollare la poltrona dopo aver accumulato debiti per oltre 12 milioni di euro, ha pensato bene di dotare la biblioteca comunale dell’opera omnia di Benito Mussolini. Anche questo paese ha i suoi dispersi, ora ritrovati: Luigi Benedetto, nato il 18 marzo 1911, ammazzato il 2 aprile 1945, attualmente sepolto a Francoforte sul Meno nel cimitero italiano d’onore (posizione tombale: riquadro K, fila 2, tomba 6). Paolo Coletta, nato il 12 febbraio 1920, assassinato il 24 febbraio 1945, sepolto ad Amburgo nel cimitero militare italiano d’onore (posizione tombale: riquadro 2, fila V, tomba 44). Ed infine, Giuseppe Norscia, nato il 24 agosto 1920, ucciso il 22 maggio 1945, sepolto a Monaco di Baviera nel cimitero italiano d’onore (posizione tombale: riquadro 5, fila 20, tomba 42).

Vergogna giudiziaria – Niente indennità da parte della Germania alle vittime italiane dei crimini nazisti. È questo il contenuto della sentenza emessa il 3 febbraio 2012 dalla Corte internazionale di giustizia dell’Aja.A Berlino l’Italia ha mancato di riconoscere l’immunità legittimata dal diritto internazionale per i reati 

commessi dal Terzo Reich. Con questa motivazione i giudici dell’Aja hanno deciso di accogliere per intero il ricorso presentato dallo Stato tedesco con il quale chiedeva il blocco dei risarcimenti alle vittime italiane del nazismo. È stata quindi riconosciuta come valida la tesi sostenuta dalla Germania, che accusava il sistema giudiziario italiano di “venire meno ai suoi obblighi di rispetto nei confronti dell’immunità di uno stato sovrano come la Germania in virtù del diritto internazionale. Consentendo il pronunciamento dei tribunali su cause miranti al risarcimento di danni subiti durante la seconda guerra mondiale” sostenevano i tedeschi, il Belpaese aveva infranto “l’obbligo di rispettare l’immunità giurisdizionale di cui la Germania gode secondo il diritto costituzionale”. Con il recente verdetto il Tribunale dell’Aja ha ordinato al governo italiano di prendere tutte le misure necessarie affinché le decisioni nazionali prese finora che contravvengono all’immunità siano prive d’effetto. Le corti italiane, da parte loro, non dovranno più emettere sentenze che prevedano risarcimenti individuali per casi simili. La giurisprudenza italiana in materia, quindi, diventa priva di validità. La vicenda ha avuto inizio con due decisioni della Corte di Cassazione. La prima risale al 2004; con essa veniva riconosciuto il diritto al risarcimento a un uomo deportato in un lager. Secondo i giudici del Palazzaccio, infatti, lo scudo dell’immunità veniva meno nel caso di specie per via della gravità dei fatti. Nel 2008 gli ermellini tornavano a condannare la Germania a risarcire i familiari delle vittime delle stragi compiute durante l’occupazione del suolo italiano da parte delle forze tedesche. La pronuncia respingeva la richiesta avanzato dallo Stato alemanno contro una precedente sentenza emessa dalla Corte d’Appello militare di Roma. Quest’ultima aveva ravvisato i danni subiti dalle parti civili nella strage nazista del 29 giugno 1944, in occasione della quale vennero uccise 203 persone, tra le quali non vi era nessun militare. La Corte d’Appello militare aveva condannato Berlino a risarcire i familiari delle vittime di questo eccidio. La pronuncia della Suprema Corte con la quale gli indennizzi venivano confermati era stata considerata storica, poiché per la prima volta era affermato il diritto al risarcimento per le vittime dei crimini nazisti nell’ambito di un procedimento penale. Al di fuori dell’Italia, nessun paese aveva intentato cause per ottenere un indennizzo nei confronti della Germania, per via dell’immunità.La Corte internazionale di giustizia dell’Aja, tuttavia, ha invitato la Germania a negoziare a livello politico un risarcimento per tutte le vittime che avevano già ottenuto il giudizio favorevole dei tribunali italiani. Il Tribunale dell’Aja, si legge nella sentenza “ritiene che le richieste originate dal trattamento degli internati militari italiani, insieme a altre richieste di cittadini italiani finora non regolate, possano essere oggetto di un ulteriore negoziato” tra i due paesi. Nella pronuncia un passo è dedicato anche al trattamento riservato ai militari italiani internati, esclusi dal programma di risarcimento tedesco. La Corte dell’Aja, si legge, “considera motivo di sorpresa e di rammarico che la Germania abbia deciso di negare una compensazione a un gruppo di vittime, negando loro la protezione legale che sarebbe spettata ai prigionieri di guerra”, perché tali furono considerati, dal punto di vista legale, i militari italiani nei campi.   La questione è rimandata alle calende greche. Ma i bambini, le donne, i vecchi uccisi dai nazisti e dai fascisti? E quelli imprigionati nei campi di sterminio? Meritano rispetto, ricordo, riconoscenza. Il loro sacrificio, insieme a quello dei partigiani, ha generato la Costituzione (recentemente svuotata di senso dopo l’approvazione del Trattato di Lisbona), la Repubblica, la nostra democrazia sempre più in agonia in attesa di tirare per sempre le cuoia.

Da: ArticoloTre, Gianni Lannes, 7 febbraio 2012

ANPI E NO-TAV

altBussoleno, lì 24 febbraio 2012,

Questa sezione, da sempre vicina al Movimento No Tav della Valsusa, parteciperà sabato 25 febbraio alla marcia Susa-Bussoleno indetta dalla Comunità Montana ValSusa e Val Sangone unitamente al Movimento No Tav. Oggi è quanto meno doveroso scendere in campo, oltre che per ribadire la nostra contrarietà all’opera, anche per sostenere le persone che ad oggi vengono limitate nelle loro libertà personali o che addirittura sono ancora in carcere mentre altri personaggi, a dir poco ambigui, frequentano scandalosamente ed impunemente le sedi istituzionali della Repubblica, talvolta anche ricoprendo incarichi che richiederebbero ben altro spessore etico e morale. Ribadiamo con forza dunque la nostra partecipazione ad un Movimento di cui anche questa sezione è parte integrante.

Chiediamo

alla Procura di Torino di volgere la propria attenzione, in funzione dell’uguaglianza della Legge, anche a quegli episodi di violenza brutale e continua a cui nei mesi è stato sottoposto il movimento No Tav. Dall’incendio dei presidi, allo sgombero violento della Maddalena di Chiomonte, alla devastazione e saccheggio delle tende degli attivisti, all’ingiustificato uso di armi da guerra bandite addirittura dai conflitti, al lancio di lacrimogeni sparati ad altezza uomo con l’intento criminale di colpire i manifestanti, alle limitazioni della libera circolazione sul suolo nazionale.

Invitiamo

l’ANPI provinciale di Torino a prendere anche posizione sui soppracitati episodi, la cui quantità di violenza è di molto superiore alla contestazione, talvolta forte, di personaggio pubblici o politici, quali il Procuratore Gian Carlo Caselli.

Chiediamo

di conoscere le motivazioni del perchè la solidarietà dell’ANPI non può essere egualmente espressa anche ai numerosi feriti e agli intossicati dai gas Cs utilizzati nei servizi di ordine pubblico in maniera così indiscriminata e deprecabile.

Auspichiamo

che la Direzione provinciale ANPI di Torino voglia dare seria risposta a queste domande, che non vogliono essere assolutamente provocatorie, ma chiarificatrici di una posizione che talvolta si perde nelle ombre della politica e delle logiche del sistema.

Questa sezione, con orgoglio e per questi motivi, sfilerà in corteo sabato 25 febbraio unitamente ai sindaci valsusini, alla Comunità Montana Valsusa e Val Sangone ed a quanti, ovunque provengano, vogliano difendere la propria e la nostra terra ed i beni comuni che i nostri Partigiani hanno difeso ed ottenuto negli anni della Resistenza. Questa sezione sfilerà in corteo con chi, con fatti e vent’anni di lotta, ha saputo essere credibile ed ha tentato sempre di far conoscere pacificamente e chiaramente i propri diritti, portando a testa alta le proprie ragioni a dispetto di una politica e di un sistema sempre meno chiari e vicini alle reali necessità del cittadino e della persona e che pretendono, con l’utilizzo della militarizzazione del territorio, di imporre arbitrariamente scelte non condivise dai cittadini stessi.

 Il Direttivo A.N.P.I.

Sez. Foresto – Bussoleno – Chianocco

NO ALLE ARMI


25 febbraio 2012: giornata nazionale di mobilitazione contro i caccia F-35      TAGLIA LE ALI ALLE ARMI! 

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Il Coordinamento Comasco per la Pace e la Cooperativa Garabombo aderiscono alla Campagna contro l’acquisto dei cacciabombardieri F-35 
Joint Strike Fighter e invita a partecipare alla Giornata di mobilitazione nazionale del 25 febbraio 2012

I cacciabombardieri F-35 “Joint Strike Fighter” serviranno per partecipare alle imprese militari che si svolgono insieme agli USA e agli altri paesi alleati, operazioni che si s volgono fuori dal nostro territorio nazionale. Guerre, chiamando le cose con il loro vero nome. 
Il Coordinamento Comasco per la Pace da quindici anni si oppone, e continuerà ad opporsi, alle fabbriche d’armi e a tutte le guerre. 
Mentre si chiedono forti sacrifici alle cittadine e ai cittadini, con nuove tasse, tagli agli enti locali, alla sanità, alle pensioni, all’istruzione, il Governo italiano mantiene l’intenzione di procedere all’acquisto degli F-35. Un sacco di soldi spesi male (il costo per un solo cacciabombardiere equivale a quanto si spenderebbe per 180 asili nido).
Il Coordinamento Comasco per la Pace denuncia lo spreco di risorse per aerei da guerra contrari alla Costituzione italiana: quello del caccia F-35 è un programma che ad oggi è costato già 2,7 miliardi di euro e arriverà complessivamente a costare, senza contare il mantenimento successivo dei velivoli, tra i 15 e i 20 miliardi (anche se le unità scendessero a 90, come ha recentemente annunciato il ministro della Difesa Di Paola). (Dati di Rete Italiana per il Disarmo). Riteniamo che queste ingenti risorse andrebbero investite per preparare la Pace, per le necessità vere del paese e per il miglioramento delle condizioni di vita delle persone: scuole, asili, Università, ricerca, cure sanitarie, ricostruzione dei luoghi colpiti da disastri naturali, rilancio dell’economia, sostegno all’occupazione (i posti di lavoro generati da tale impresa sono pochi, molti di meno di quelli promessi tempo fa). 
Possiamo fare a meno di 131, di 90, e anche di un solo cacciabombardiere F-35 JSF. Per effettuare pressione sul Governo italiano affinché decida di rivedere la propria intenzione verso l’acquisto degli F-35, scegliendo altre strade più utili ed efficaci sia nell’utilizzo dei fondi (verso investimenti sociali) sia nella costruzione di un nuovo modello di difesa nazionale come strumento a servizio di tutta la società,
invitiamo tutte e tutti:

– ad aderire alle iniziative della Campagna “Taglia le ali alle armi” (tutte le informazioni sulla campagna si possono trovare sui siti delle organizzazioni promotrici: www.perlapace.itTavola della Pace; www.sbilanciamoci.orgCampagna Sbilanciamoci!; www.disarmo.orgRete Italiana per il Disarmo); 
a firmare la petizione online all’indirizzo www.disarmo.org/nof35
a chiedere ai parlamentari eletti nel territorio di annunciare il proprio voto contrario agli F-35;
– a recarsi, nel pomeriggio del 25 febbraio – Giornata nazionale di mobilitazione contro gli F-35, presso le Botteghe della Cooperativa Garabombo
Garabombo, via Milano 58, Como; 
Encuentro, via XX Settembre 73, Lurate Caccivio; 
Il ponte, via Carcano 10, Cantù; 
La Carovana del Sale, via Risorgimento 36, Mariano Comense; 
Mondo Equo, via Garibaldi 12, Guanzate; 
Roba dell’altro mondo, via Pace 18/a, Lomazzo; 
Xapurì, via Papa Giovanni XXIII 20, Lentate sul Severo
 dove sarà possibile sottoscrivere l’appello e trovare materiale informativo.

COMO, 24 FEBBRAIO

ISTITUTO DI STORIA CONTEMPORANEA P.AMATO PERRETTA

ISTITUTO SCHIAVI DI HITLER

ORGANIZZANO:

24 FEBBRAIO, ORE 15,30

COMO,SALONE DELL’UNIONE INDUSTRIALI


“VOCI, VOLTI E MEMORIE”

testimoni del comasco fra il 1943 e il dopoguerra

Il progetto ha previsto la raccolta su scala
provinciale di 20 video testimonianze in ordine ai temi: Resistenza,
Repubblica Sociale, occupazione tedesca, deportazione, espatri in
Svizzera, bombardamenti e sfollamenti, vita civile

Brevissime
biografie e sequenze di 10 minuti delle interviste, sono pubblicate sui
siti web: www.schiavidihitler.it e www.isc-como.org .

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