LA SEZIONE ANPI DI MARIANO COMENSE

L’ANTIFASCISMO E LA RESISTENZA NEL TERRITORIO DI MARIANO

DISCORSO DI APERTURA DELLA NUOVA SEZIONE DI MARIANO COMENSE- CANTU’

Un cordiale benvenuto a quanti sono intervenuti alla nostra prima Assemblea, grazie al senatore Luciano Forni, al prof. Matteo Dominioni, al sindaco Alessandro Turati che con la loro presenza hanno voluto onorare la nostra prima Assemblea

Un particolare saluto ad Erminio Nava, classe 1918, alpino combattente in Russia e partigiano nella formazione Franchi, ferito a Milano nei giorni precedenti la Liberazione.

Anche a Mariano con un gruppo di anziani e giovani, anche di paesi vicini, si è pensato che fosse giunto il momento di aprire una sezione dell’A.N.P.I., sulla scorta di quanto è avvenuto in molte località italiane.

E qui corre l’obbligo di ringraziare i compagni Passerini che per primo ha avuto l’idea di avviare le pratiche per questa iniziativa ed Antonio Gallo che con ostinazione ha sempre creduto nell’iniziativa ed ha raccolto le prime adesioni.

Per correttezza occorre qui ricordare che in paese nel lontano 24 Settembre 1945 era stata fondata una sezione ANPI, con sede presso il caffè San Rocco, e fra i giovani fondatori risulta anche il qui presente Erminio Nava, una iniziativa di cui presto si perderanno le tracce.

Nessuno di noi, salvo Erminio, ha partecipato alle vicende dell’ultima guerra mondiale, ma ci uniscono i valori della Resistenza a cui si ispira la nostra Costituzione, in un momento storico in cui periodicamente emerge la tentazione per modifiche intese a cancellare alcune delle sue principali prerogative. Ne sono una conferma i provvedimenti contro il diritto di sciopero, la precarietà del lavoro e della sicurezza sociale, le pulsioni razziste, la tolleranza verso chi non è sempre in sintonia con l’art. 54 della nostra Costituzione in cui si legge che “… I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore …”, e la recente proposta di abolire il divieto della riorganizzazione del partito fascista.

E Piero Calamandrei, saggio e strenuo difensore della Costituzione, in un suo saggio del 1965 sarà facile profeta, quando ammonirà: “In questo clima avvelenato di scandali giudiziari e di evasioni fiscali, di dissolutezze e di corruzioni, di indulgenti silenzi per gli avventurieri di alto bordo, in questa atmosfera di putrefazione che accoglie i giovani non appena si affacciano alla vita, apriamo le finestre e i giovani respirino l’aria pura della montagna e risentano ancora i canti dell’epopea partigiana”.

E quanta necessità abbiamo di aria pura, di onestà, di sana pubblica amministrazione al servizio di tutti e non solo provvedimenti riservati a qualche potente!

E Norberto Bobbio aveva scritto che “… L’Italia non è diventato quel paese moralmente migliore che avevamo sognato; la nuova classe politica, salvo qualche rara eccezione, non assomiglia in nulla a quella che ci era parsa raffigurata in alcuni protagonisti della guerra di Liberazione: austeri, severi con se stessi, devoti al pubblico bene, fedele ai propri ideali, intransigenti, umili e forti insieme. …”.

E che dire del tentativo di sminuire il significato della Resistenza, riducendola a semplice guerra fratricida con il riconoscimento della repubblica di Salò e dei suoi caduti, giovani che avevano scelto di combattere nella parte sbagliata, in difesa di ideali contrari alle istanze di libertà e di democrazia ed ai quali non vogliamo però negare i sentimenti dettati dalla carità cristiana.

Io provengo da una zona piemontese, il Monferrato, dove si contano molti episodi di guerra partigiana e dove abbondano le lapidi a ricordo del sacrificio di giovani ribelli; mi risuonano ancora i tanti aneddoti ascoltati da bambino ed ho tuttora presenti le imponenti manifestazioni popolari che rievocavano la data del 25 Aprile, con la selva di bandiere rosse e gli inni della banda musicale.

Mi sia consentito di far nuovamente riferimento a Piero Calamandrei che afferma “… Se si vuole intendere che cosa fu la Resistenza, non si deve dar questo nome soltanto al periodo finale che va dall’8 Settembre 1943 al 25 Aprile 1945. Questo fu il parossismo finale della lotta; ma l’inizio di essa risaliva a venticinque anni prima. Il biennio di Kesserling fu la logica e fatale conclusione del ventennio di Mussolini: Mussolini fu l’introduttore, anzi il portiere di Kesserling. Ma la Resistenza, per cominciare, non attese Kesserling; essa era cominciata fin da quando era cominciata l’oppressione, cioè fin da quando lo squadrismo fascista aveva iniziato per le vie d’Italia la caccia all’uomo”.

E pertanto ritengo necessario anche per quanto riguarda la nostra storia locale tornare indietro, all’anno 1919 quando in paese sorge il Circolo Famigliare Proletario, di ispirazione socialista, con le finalità di migliorare le condizioni morali e materiali dei Soci e dei loro famigliari.

Sempre nel 1919 in paese sorge il Circolo Popolare di ispirazione cattolica che assumerà il nome di Circolo Pace.

Entrambi i due Circoli saranno poi vittime della violenza fascista: il Circolo Proletario devastato nell’Ottobre del 1922, occupato dalle organizzazione del regime e definitivamente sciolto nel 1928. Ritornerà ai legittimi proprietari solo nel 1963!!

Anche il Circolo Cattolico sarà poi oggetto di provvedimenti di chiusura, insieme agli Oratori, con l’accusa di attività antifascista.

Questi due Circoli hanno come riferimento storico locale l’antica Società di Mutuo Soccorso fortemente voluta del 1881 dal notaio dr. Francesco Brenna con la finalità di assistenza ed istruzione degli operai e dei contadini, in un periodo caratterizzato dall’assenza di ogni forma di assistenza e previdenza.

E a Mariano, accanto al laico Brenna, ben presto si affiancheranno le iniziative cattoliche promosse nei primi anni del secolo XX dal prevosto don Borroni e dai suoi coadiutori, giovani e coraggiosi sacerdoti che intendono seguire alla lettera il dettato dell’enciclica “Rerum Novarum” di papa Leone XIII e l’esempio di don Albertario che a Milano aveva sfidato l’esercito del gen. Bava Beccaris accorso a reprimere la protesta popolare e poi condannato alla galera col socialista Turati.

Infatti a Mariano si registreranno fra l’altro l’istituzione dell’Unione Rurale in difesa dei diritti dei contadini, della Cassa di Risparmio Operaia a garanzia dei piccoli risparmi dei lavoratori, e finalmente della Società Edificatrice di Case Rurali, in paese nota come la PROVVIDENZA, una cooperativa edilizia per le case dei contadini licenziati dalla nobile (sic!) casa per cui lavoravano, rei di aver preteso più umane condizioni di lavoro. Una iniziativa che non trova tanti altri esempi!

A Mariano soprattutto saranno le donne a promuovere le proteste popolari, nel 1888 e nel 1898 con gli scioperi delle filandere; saranno ancora le donne a reclamare per la mancanza di derrate alimentari negli anni della grande guerra. E le donne non mancarono di partecipare nel 1919 alla nascita del Circolo Famigliare Proletario, cosa che suscitò l’ironico e acido commento del cronista parrocchiale “… è da deplorarsi che molte donne vi appartengano e lo frequentino con danno della loro dignità e moralità pubblica”.

Gli ideali democratici sono sempre stati ben radicati nei marianesi, val la pena ricordare anche come nel 1910 in prossimità della guerra contro la Turchia per la conquista della Libia, in paese nelle elezioni per il rinnovo dell’amministrazione comunale si sia imposta la Lista della Pace, formazione laico-socialista che per la prima ed unica volta nella storia locale vedrà la vittoria di una lista di sinistra contrapposta ad una compagine cattolica.

Si è già ricordato come il circolo cattolico portasse il nome Pace, ed in paese esiste anche una via Pace!

Ma i marianesi non si lasceranno facilmente intimidire dal nascente fascismo ed infatti nelle elezioni politiche del 1921 e soprattutto nelle successive del 1924 le due liste dei socialisti e dei popolari conteranno ancora una maggioranza di consensi pari all’80%. Significativo nel 1924 il rifiuto del prevosto don Colombo ad appoggiare la nuova formazione nazional-fascista che nei nostri paesi faceva riferimento al nobile Padulli di Cabiate, già deputato del PPI.

Sempre nell’anno 1924, pochi giorni dopo il delitto Matteotti, durante la seduta del Consiglio Comunale il consigliere socialista Biagio Galliani proporrà che sia manifestato il cordoglio della cittadinanza “… sicuro di interpretare il sentimento della popolazione per l’abominevole delitto”, proposta a cui si assocerà anche il Sindaco. Un vecchio socialista mi raccontò come in paese, appena si sparse la notizia della morte del deputato socialista gli operai fossero usciti spontaneamente dalle fabbriche e dalle botteghe e si fossero portati al cimitero per un devoto omaggio al martire.

Le voci democratiche saranno spente per un lungo periodo, ma il fuoco che covava sotto la cenere non tarderà a riaccendersi, ed il 15 Novembre 1944 anche a Mariano si costituisce il Comitato di Liberazione a cura del democristiano dr. Giovanni Del Curto che ne sarà il presidente, del socialista Biagio Galliani, del comunista Serafino Somaschini e del liberale Federico Seymandi.

Molti giovani dei nostri paesi si aggregheranno alle formazioni partigiane che operano in provincia e nell’alto milanese; a Mariano è attivo soprattutto il gruppo “Franchi” legato alle formazioni “Lariani Ticinesi” di Edgardo Sogno e fra costoro si distinguerà Luigi Toppi, classe 1919.

Dalla relazione del CLN locale si apprende che il Toppi “… Dopo i fatti del Settembre 1943 si dava alla macchia e con altri compagni del paese formava il primo gruppo di Partigiani armati, inquadrati nell’Organizzazione Franchi … Più volte ricercato dalla polizia repubblichina, riusciva coraggiosamente a sviare le ricerche. Nei primi giorni di Dicembre 1944, in seguito a delazione, braccato con forze imponenti veniva catturato sulla strada che da Carimate porta a Lentate sul Seveso. Dopo stringenti interrogatori accompagnati da raffinate sevizie crudelmente operate dai repubblichini, il Toppi veniva fucilato nel cimitero di Carimate la sera del 5 Dicembre 1944”.

In seguito si dovranno registrare altri Caduti fra i giovani patrioti:

Dicembre 1944: Desiderio Ballerini è ucciso sulla strada fra Sormano e Caglio;

25 Aprile 1945: Mario Besana e Umberto Elli dopo lunghe sevizie e maltrattamenti vengono trucidati nelle carceri di San Vittore di Milano;

sempre nella giornata del 25 Aprile 1945 il giovane Carlo Colombo cade a Pavia durante lo scontro con le truppe tedesche;

morirà invece prigioniero in Germania il giovane Contrario Giovanni.

Mariano non è zona che si possa adattare ad episodi di guerriglia, comunque nel periodo 1944-45 si registreranno alcuni episodi di sabotaggio ai danni delle formazioni militari presenti in paese:

Nel mese di Novembre 1944 in occasione della visita dei generali Graziani e Wolf al Battaglione di SS Italiane impegnate in esercitazioni militari nelle brughiere fra Mariano e Cantù, verranno asportate o danneggiate alcune segnalazioni poste sul territorio ed il fatto avrà come conseguenza il divieto decretato per ritorsione dal Commissario Prefettizio di accedere al cinematografo, la domenica successiva. In quell’occasione i due generali avevano decorato i militi reduci dalle battaglie di Anzio e Nettuno combattute nella primavera del 1944 per ostacolare l’avanzata delle truppe anglo americane.

Il 2 Gennaio 1945 il Commissario Prefettizio segnalerà alla Prefettura di Como che in via san Rocco ed in via Garibaldi si era verificato uno scoppio di bombe a mano, provocando la rottura di un paio di centinaia di vetri. Lo stabile più danneggiato fu proprio l’ex Circolo Proletario, occupato dalle organizzazioni del regime.

Successivamente, il 15 Aprile, in località Priel di Buschitt, verso Paina, si verificherà l’aggressione ed il disarmo delle Guardie Civili incaricate della sorveglianza della linea telefonica da Bellagio a Mariano.

Ed ancora il 20 Aprile il Comandante delle Guardie Civili dovrà segnalare il sabotaggio di due pali della linea telefonica in località San Martino a Perticato.

Ma il fatto più significativo e che risulterà uno degli episodi più importanti nella storia del paese si verificherà nella giornata del 26 Aprile. Da Milano, liberata il giorno precedente, si erano mosse le truppe nazi-fasciste dirette a nord, con l’intenzione di raggiungere il lago di Como e la Valtellina.

In mattinata alcuni giovani si portano all’Oratorio di San Rocco dove erano di stanza alcuni militari nazisti e fascisti che, ormai stanche e sfiduciati, non oppongono resistenza e si lasciano disarmare.

Con le armi requisite i giovani (le successive relazioni dell’amministrazione comunale e del CLN parlano di ben 250 giovani) attendono l’imminente passaggio della colonna nemica proveniente da Meda, che nel primo pomeriggio entra nel territorio marianese, imbocca la via Santo Stefano e viene presa di mira da alcuni colpi sparati dai tetti. La reazione della colonna non si fa attendere, viene piazzata una mitragliatrice all’imbocco della piazza Roma ed ha inizio una cruenta sparatoria.

Tutta l’area è attraversata dai proiettili della mitragliatrice alla quale gli insorti rispondono dai tetti e dagli angoli delle vie che convergono sulla piazza. Un giovane coraggiosamente sale sui tetti e con una bomba a mano riesce a far tacere la mitragliatrice.

I militari riescono a lasciare in fretta l’abitato ed in paese si contano 6 morti civili: Bellotti Maria in Toppi, Redaelli Battista, Crippa Attilio, Songia Giuseppe, Erba Egidio, Ceppi Eugenio ed inoltre 15 feriti. Sul terreno rimangono altre due vittime: un militare tedesco ed una donna aggregata alla SS Italiane.

La battaglia sta per finire e durante la precipitosa fuga dei militi nazi fascisti accade un episodio finora sconosciuto ai più: un marianese affronta un ufficiale tedesco, lo disarma e gli strappa uno zaino in cui era nascosta una bandiera rossa con falce, sole e spiga, forse l’antico vessillo di una sezione socialista custodito segretamente in qualche casa.

La sera stessa il dr. Giovanni Del Curto sarà nominato alla carica di Sindaco e detterà un manifesto con l’invito ad evitare il ricorso alle vendette personali, alla riconciliazione ed alla fiducia nelle risorte istituzioni democratiche. Uno straordinario esempio di saggezza! Una caratteristica che segnerà tutta l’opera amministrativa del sindaco marianese della Liberazione.

In seguito ai rastrellamenti nei dintorni del paese si arrestano alcuni militi delle SS Italiane e rinchiusi nello stabilimento occupato dalla Breda (già Ditta Mauri & C.); il numero dei prigionieri salirà a 86 e pertanto si deciderà il loro trasferimento nello stadio Ferruccio di Seregno, salvo i detenuti marianesi che si vollero trattenere in paese.

Per alcuni dei prigionieri si deciderà la fucilazione avvenuta poi nella giornata del 28, senza prima aver consultato il sindaco di Mariano. Altri prigionieri saranno giustiziati il successivo 30 Aprile ed anche in questa occasione il dr. Del Curto non sarà messo al corrente della decisione.

In paese il giorno 28 giunge un reparto dei Gruppi di Resistenza Ticinesi Lariani al comando del signor Bruno Perelli che si insedia presso la locale caserma dei Regi Carabinieri.

Il neo sindaco ed i suoi collaboratori nella provvisoria Giunta Municipale garantiranno il corretto funzionamento amministrativo; si dovrà anche procedere alla custodia dei cavalli e del materiale requisito all’Oratorio San Rocco, bottino di guerra che sarà poi venduto all’asta, operazione che non mancherà di suscitare polemiche e sospetti.

Riprenderanno le consuete attività artigianali, industriali e commerciali; dopo i necessari lavori di restauro e pulizia sarà riaperto l’edificio scolastico per un biennio occupato dalle truppe; si pensa anche al futuro dell’Ospedale allora ancora consorziato con Giussano.

A Settembre nelle brughiere a nord-ovest del paese si terrà la prima edizione della festa dell’Unità.

I partiti politici intanto si preparano alle nuove consultazioni popolari per la nomina del Consiglio Comunale, dell’Assemblea Costituente e del Referendum Istituzionale che sancirà la nascita della Repubblica, scelta che i marianesi decreteranno con il 69% dei consensi.

Mariano C.se, 17 Aprile 2011

prof. Lucca Gianfranco

ADOLFO VACCHI

Commemorazione di Adolfo Vacchi tenuto dal sen. Luciano Forni, vice.presidente dell’Anpi di Como.

RICORDO DI ADOLFO VACCHI

UN MATEMATICO PER LA LIBERTA’

Ringrazio la sezione ANPI del Seprio e l’ANPI Provinciale per aver organizzato questo incontro al fine di ricordare il partigiano, lo scienziato, l’educatore prof. Adolfo Vacchi che qui ha vissuto, con la sua famiglia, da sfollato, gli anni più pericolosi della 2a guerra mondiale , in particolare il periodo dell’ occupazione nazista e dell’infausta RSI.

Sono sempre stato affascinato dalla figura di questo studioso, rigoroso, limpido nel pensiero, costante e coraggioso nel difendere la libertà.

Quando ho diretto, alla fine degli anni ’80, le scuole elementari del VIII Circolo di Como, con il consenso unanime del Collegio dei Docenti e del Consiglio di Circolo, ho proposto al Ministero della Pubblica Istruzione di dedicare al prof. Vacchi le scuole elementari di via Montelungo, che ora portano il suo nome.

Sono quindi onorato di poterlo qui commemorare a pochi giorni dal 5 di settembre, che ricorda l’anniversario del suo assassinio, avvenuto 66 anni fa ad opera dei fascisti Repubblichini di Como.

Sarà posta una targa, sulla casa in cui ha abitato, per non dimenticarlo.

La targa è piccola cosa per un sacrificio della vita, ma è un segno indispensabile in questi tempi,

in cui la libertà è proclamata, ma non coltivata e onorata, in cui la democrazia è formalmente la regola della vita dello Stato e delle Istituzioni locali, ma in realtà è spesso ignorata o peggio tradita

cui l’intelligenza e la cultura sono piegate al servilismo verso i poteri dominanti piuttosto che esaltate come veicoli di dignità e maturità dei cittadini.

Non è la nostra una dittatura opprimente, ma è la cancellazione dei valori che rendono lo spirito dell’uomo capace di dominare le cose e di migliorare il mondo.

L’intelligenza si manifesta col pensiero, si comunica con la parola scritta e orale, è la parola che distingue l’uomo dalla bestia.

Solo le bestie possono tacere.

Sono le parole di Vacchi, scritte nella lettera a un giovane fascista il 28 luglio 1943, tre giorni dopo la caduta di Mussolini ed il suo arresto.

Lo stesso, nel discorso radiofonico tenuto il 25 luglio 1944, primo anniversario della caduta del fascismo, proprio qui dalla radio ORI

(Organizzazione della Resistenza Italiana), così si rivolge agli ascoltatori:

Il disastro comune ci dà il comune e solidale intendimento di diventare, insieme uniti, liberi, dignitosamente liberi, coraggiosamente liberi”.

Sono parole forti in cui possiamo riconoscere anche la pesantezza, l’angustia, l’insopportabilità dei giorni che viviamo.

Di fronte ad un dibattito, che vorrebbe essere politico, ma è un battibeccare indecente sugli interessi e sul malaffare di alcuni, così detti

responsabili della Cosa Pubblica, di fronte all’indifferenza degli stessi , così detti responsabili, che non percepiscono l’ansia di giustizia del popolo italiano, che non vedono le esigenze sacrosante dei lavoratori, dei pensionati, delle famiglie, la memoria di Vacchi ci obbliga a parlare

perché solo le bestie possono tacere

e noi, in nome di quelli che sono morti per la nostra libertà, vogliamo alzare la voce e chiamre tutti ad una nuova Resistenza, che fa leva sul suo motto:

Sapere, pensare, agire”,

che egli con forza contrapponeva “allo schiavistico trinomio:

credere, obbedire, combattere”.

Allora ha senso fare memoria di Adolfo Vacchi, “Hope”, ha senso mettere una targa, ha senso ancora commuoversi di fronte ala sua vicenda umana, straordinaria e infelice?

Adolfo Vacchi, nato a Bologna il 29 gennaio 1887, laureato in matematica, si era trasferito a Venezia dove insegnava la sua materia e si occupava di problemi sindacali nell’ambiente del Partito Socialista, che era stato anche il partito di origine di Benito Mussolini e a cui rimproverava di aver tradito gli ideali della sua giovinezza nel settembre 1922, ancor prima della marcia su Roma; venne minacciato per le sue idee libertarie e aggredito in strada, fu percosso brutalmente, ma riuscì a salvare la vita.

Nel gennaio 1923 fu colpito da un provvedimento di confino ( il primo del regime fascista) e dovette recarsi a Milano.

Qui, in un contesto difficile, sempre controllato e pedinato, non smise mai di professare un antifascismo intelligente, praticato in modo efficace ed affascinante per i suoi numerosi allievi, a cui insegnò sempre la matematica non in modo arido, ma producendo stimoli alla ricerca scientifica, unitamente all’educazione ad una vigile capacità critica e ad uno sconfinato amore per la libertà.

All’inizio della 2a Guerra Mondiale, conscio della sciagura che avrebbe arrecato all’Italia, intensificò le sue critiche al Regime liberticida, al razzismo importato dalla Germania di Hitler e per questo subì un processo da cui uscì a testa alta, pur ricevendo ammonizioni e minacce.

A seguito dei primi bombardamenti su Milano sfollò a Veniano, rimanendo però sempre legato al capoluogo e alla sua scuola.

Contava i giorni dell’oppressione e del terrore politico ed esultò il 25 luglio del 1943, scrivendo alla figlia Urania che, dopo 249 mesi di oppressione, viveva il giorno più bello della sua vita al grido di “Viva la libertà”, ma ben presto dovette affrontare l’esperienza di una dittatura più crudele, quella della RSI, utilizzata dai nazisti come estremo e disperato baluardo per esorcizzare una sconfitta che si faceva sempre più vicina.

Egli accettò nel 1944 di fare da collegamento fra i comandanti partigiani dell’area a nord di Milano, di mantenere i rapporti con gli esuli in Svizzera e di dar vita ad una stazione radio ORI.

Arrestato a Veniano, nella notte fra il 18 e il 19 agosto 1944 dal famigerato commissario Saletta, fu tradotto a Como nelle camere di Sicurezza della Questura insieme all’ ingegner Luigi Carissimi Priori e alla moglie di lui, Maria Girola.

Dovette subire interrogatori umilianti ed il 24 agosto furono simulati per lui i preparativi per la fucilazione.

Il 5 settembre fu condotto al cimitero di Albate dove venne fucilato il partigiano Rocco Jeraci; Vacchi, così dissero i suoi persecutori, doveva essere portato a Veniano per un sopralluogo nella sua casa, ma sulla strada per Albate venne proditoriamente colpito con uno o più colpi di pistola, con la scusa che stava fuggendo, e poi lasciato lì a morire dopo una lunga agonia.

Saletta, commissario, e Pozzoli, Questore, imbastirono allora una commedia per far credere che Vacchi era morto, quasi accidentalmente, per un tentativo di fuga. La pantomima non resse di fronte a testimoni oculari e alle successive ammissioni degli assassini e loro mandanti.

Su una strada buia, braccato come un delinquente, concluse la sua vita un uomo indomito, che non poté vedere l’alba del 25 aprile 1945, né la punizione dei Gerarchi del fascismo a Dongo e a Mezzegra, né la condanna a morte dei suoi aguzzini Saletta, Pozzoli e Porta,

Non poté vedere la nascita della Repubblica Italiana, né l’entrata in vigore, il 1° gennaio 1948 della Costituzione.

Per questi momenti storici di rinnovamento e di Redenzione Sociale, egli aveva studiato, studiato e lottato senza tentennamenti, èer questi risultati aveva dato la vita.

Con la sua intelligenza e il suo fervore egli avrebbe potuto contribuire ad avviare, con serietà, il cammino della Repubblica, soprattutto nel settore delicato della scuola, che tanto aveva amato.

Nella lettera al giovane fascista del 1943 scriveva:

“ La scuola deve essere libera, cioè apartitica e areligiosa, deve essere informativa e critica…E’ l’istituzione che migliorerà la società umana,

è il conoscere che può dare agli uomini la forza politica per giungere ad una società di esseri intelligenti e liberi.

Sarebbe un ottimo programma per la scuola e la società di oggi, se solo tutti avessimo la voglia di scuoterci di dosso l’indifferenza, la pigrizia, l’egoismo, la disponibilità ad accettare anche la miopia dei politici di oggi, la loro arroganza.

Facciamo, amici giovani ed anziani, una nuova Resistenza, pacifica ma incrollabile, mite ma generosa.

Ce lo chiedono con una voce sempre più flebile, i nostri morti.

I veri, i soli campioni della Libertà.

W la Resistenza, W l’Italia.

Sen. Luciano Forni

ENRICO CARONTI

Enrico Caronti nasce a Blevio il 28 aprile del 1901 e muore a Menaggio il 23 dicembre 1944.

Segretario della Federazione Giovanile Socialista, nel 1921 si iscrisse al PCdI. Durante il regime subì diverse volte l’arresto preventivo per le sue idee antifasciste, ma non cessò mai l’attività politica clandestina.

Dopo l’armistizio del 1943 fu tra i primi ad organizzare la Resistenza nel Comasco.

Fu tra promotori degli scioperi del marzo 1944, in seguito ai quali, per evitare l’arresto e la deportazione, dovette  abbandonare la famiglia per  unirsi alle formazioni partigiane dell’Alto Lario.

Con il nome di battaglia “Romolo” divenne commissario politico della 52 Brigata “L.Clerici” e, nell’ottobre successivo, ne assunse il comando.

La notte del 21 dicembre 1944, nel corso di un rastrellamento, fu sorpreso e catturato con altri due partigiani dalle milizie delle Brigate Nere di Menaggio e orrendamente torturato.

Venne infine fucilato, con una scarica di mitra, la notte del 23 dicembre 1944.

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