Sabato 16 marzo alle ore 15,00 presso la Sala Meridiana di Uggiate Trevano si terrà il quarto appuntamento dei corsi di storia della Resistenza.
La lezione, dal titolo “ Resistenza nell’Europa occupata 1940-1945“
sarà tenuta dallo storico e scrittore Claudio Silingardi, direttore dell’Istituto storico di Modena.
Claudio Silingardi ha pubblicato numerosi saggi, fra gli altri ” La Repubblica partigiana di Montefiorino” – ” Alle Spalle della linea gotica: storie, luoghi e musei di guerra nell’Emilia Romagna”, e , con Metella Montanari: ” Storia e memoria della Resistenza modenese”
Ricordiamo che la partecipazione è gratuita e aperta a tutti.
Il 23 marzo a Milano numerose organizzazioni neofasciste si preparano a celebrare la nascita dei fasci di combattimento. Oltre al preannunciato concerto nazi-rock di CasaPound, è prevista una manifestazione in via San Damiano, dove aveva sede il quotidiano socialista “Avanti!”, presa d’assalto e incendiata da un gruppo di fascisti e arditi il 15 aprile 1919. Infine, sempre il 23 marzo, al Cimitero Monumentale ci sarà un omaggio alla cripta degli squadristi fatta erigere da Mussolini nel 1925.
Abbiamo chiesto al Prefetto e al Questore di Milano di vietare queste oltraggiose manifestazioni neofasciste “commemorative ” di un periodo nefasto, della storia del nostro Paese e non solo di essa. Le celebrazioni e l’esaltazione del tragico centenario della nascita dei fasci di combattimento devono essere vietate. Milano e l’intero nostro Paese non possono accettare questo gravissimo sfregio alla democrazia e alla memoria di coloro che hanno combattuto per la libertà di tutti noi.
Tra le iniziative da noi per il momento programmate per sabato 23 marzo che proporremo al Comitato Permanente Antifascista nella riunione di giovedì 14 marzo, abbiamo deciso di promuovere una manifestazione al Cimitero Monumentale, che ospita il Monumento al Deportato e il Cimitero Ebraico, per rendere omaggio a tutti coloro che sono stati vittime della persecuzione nazifascista. L’appuntamento è alle ore 10,30 all’ingresso del Cimitero Monumentale. Nel corso del pomeriggio del 23 marzo confluiremo in piazza San Sepolcro, dove si svolgerà un interessante incontro organizzato dal Comune di Milano e dagli istituti storici, sulla nascita di fasci di combattimento a Milano.
Roberto Cenati Presidente ANPI Comitato Provinciale di Milano
I testi delle prese di posizione contro le iniziative del 23 marzo promosse a Milano da CasaPound e a Prato da Forza nuova
Il comunicato del Presidente dell’ANPI provinciale di Milano:
No alla “commemorazione” della nascita del fascismo a Milano.
Il 23 marzo a Milano numerose organizzazioni neofasciste si preparano
a celebrare la nascita dei fasci di combattimento. Oltre al
preannunciato concerto nazi-rock di Casa Pound, è prevista una
manifestazione in via San Damiano, dove aveva sede il quotidiano
socialista “Avanti!”, presa d’assalto e incendiata da un gruppo di
fascisti e arditi il 15 aprile 1919. Infine, sempre il 23 marzo, al
Cimitero Monumentale ci sarà un omaggio alla cripta degli squadristi
fatta erigere da Mussolini nel 1925..Nel giro di poche settimane, tra il
23 marzo prossimo e il 15 aprile, Milano rischia di diventare teatro di
manifestazioni “commemorative” e di esaltazione del nascente squadrismo
fascista. Ci rivolgiamo al Sindaco di Milano perché faccia ancora una
volta sentire la voce della nostra città, capitale della Resistenza, che
anche nei momenti più bui della repressione fascista seppe resistere.
Chiediamo al Prefetto e al Questore di Milano di vietare queste
oltraggiose manifestazioni neofasciste “commemorative ” di un periodo
nefasto, della storia del nostro Paese e non solo di essa.. La
Costituzione repubblicana consente la più ampia libertà di espressione,
di pensiero, di parola, ma non l’apologia del fascismo, condannata dalle
leggi Scelba e Mancino. Milano e l’intero nostro Paese non possono
accettare questo gravissimo sfregio alla democrazia e alla memoria di
coloro che hanno combattuto per la libertà di tutti noi. In serata il
Sindaco di Milano Giuseppe Sala ha accolto il nostro appello con questa
importante e ferma dichiarazione: “La manifestazione che CasaPound sta
organizzando a Milano è oltremodo oltraggiosa. Auspico che il Prefetto e
il Questore la vietino. Non accetteremo mai alcun tipo di raduno,
corteo o iniziativa che inneggi e celebri il fascismo nella nostra
città. Milano è e resterà sempre una città profondamente antifascista.”
Roberto Cenati – Presidente ANPI Provinciale di Milano
Il comunicato del Sindaco di Milano, Giuseppe Sala:
La manifestazione che Casapound sta organizzando a Milano è oltremodo oltraggiosa.
Auspico che il Prefetto e il Questore la vietino.
Non accetteremo mai alcun tipo di raduno, corteo o iniziativa che
inneggi e celebri il fascismo nella nostra città. Milano è e resterà
sempre una città profondamente antifascista.
Il comunicato dell’ANPI provinciale di Prato:
L’ANPI è impegnata da sempre a richiedere l’applicazione della XII
Disposizione della Costituzione e le Leggi Scelba e Mancino; insiemi a
tutti i promotori dell’appello MAI PIÙ FASCISMI continueremo uniti a far
sentire la nostra voce.
La manifestazione di Forza Nuova è una provocazione ed è
inaccettabile consentire passeggiate fasciste nella nostra città
decorata medaglia d’argento al Valor Militare per la sua attività
antifascista.
Bene ha fatto il Sindaco ad aver chiesto alla questura il diniego
alla richiesta di autorizzazione alla manifestazione di Forza Nuova.
La lettera del Sindaco di Prato, Matteo Biffoni, al Questore:
La manifestazione è indetta per la celebrazione dei 100 anni del
fascismo e pertanto, a mio modo di vedere, viola la L 645/1952 che mette
in atto la XII disposizione transitoria della Costituzione italiana.
Pare dunque evidente che un’iniziativa che celebra il fascismo sia in
totale contrapposizione con la normativa vigente e con i principi
sanciti dalla Costituzione italiana. Per tale motivo sono a chiederLe di
valutare il diniego alla richiesta di autorizzazione di tale
manifestazione. Esiste anche un problema di ordine pubblico dal momento
che il 23 marzo, come già da tempo organizzato, si svolgerà a Prato il
Festival dell’Economia circolare, evento di carattere nazionale diffuso
in diversi spazi del centro storico e presso aziende, coinvolgendo oltre
al Comune di Prato anche le imprese del distretto tessile pratese.
Molti saranno gli ospiti che dal 21 al 24 saranno presenti a Prato per
questa occasione.
Messaggio del Presidente emerito dell’ANPI, Carlo Smuraglia, al convegno del 9 marzo a Firenze dell’Associazione nazionale Partigiani Cristiani “La Resistenza 75 anni dopo tra storia e sfide globali”
“Ricevo l’invito all’importante Convegno del 9 marzo p.v. e mi rammarico vivamente di non avere la materiale possibilità di intervenire, essendo impegnato da tempo in altra iniziativa a Milano. Ma desidero esprimervi il mio compiacimento per un’iniziativa così ricca e così opportuna, in tempi in cui la memoria corre seri pericoli, e la Resistenza appare a molti (troppi) una vicenda lontana e superata. La Resistenza è – e deve essere – viva tutt’ora nei nostri cuori e nelle nostre menti; dovrebbe essere fatta conoscere nelle scuole e dovrebbe essere stabilmente inserita in quella memoria collettiva che è patrimonio insopprimibile di ogni Nazione. La Resistenza è stata un fenomeno grandioso, per la ricchezza e varietà delle componenti e l’unitarietà della visione complessiva (la Liberazione e la creazione di una Stato fondato sulla Democrazia). Essa ha rappresentato un grande processo di maturazione per chi vi ha partecipato e per tutto il Paese. Senza la Resistenza non si spiegherebbe il grandioso fenomeno che è stata la Costituzione Repubblicana, nella cui elaborazione furono composti tanti fermenti, ispirazioni e aspirazioni che avevano costituito il nucleo importante della Resistenza stessa. L’unitarietà degli obbiettivi, nella diversità delle opinioni politiche e sociali, dovrebbe costituire un insegnamento imprescindibile nella società moderna, così scomposta, frammentata e divisa. La mia esperienza personale di quel periodo, nella Resistenza vera e propria e nel successivo impegno nell’esercito italiano all’interno dell’ ottava armata, costituisce per me più che un ricordo, un insegnamento e uno stimolo per il modo di affrontare degnamente, nel rispetto di tutte le opinioni, la convulsa vita di oggi. Credo che siano questi sentimenti che ci rendono ancora “amici”, a settantacinque anni dalla liberazione, mettendo da parte le diversità che anche allora ebbero a sussistere, riuscendo peraltro a comporsi negli obiettivi comuni. Il vostro ricordo è importante, oltretutto, nel momento in cui cerchiamo di lavorare, possibilmente con spirito unitario, per trovare, nelle diversità, la forza di affrontare i problemi di un mondo travagliato e difficile, in cui troppo spesso l’odio riesce a prevalere sulla solidarietà. Per questo mi sento vicino a voi, in occasione del vostro convegno e mi auguro che esso segni una tappa positiva nello sviluppo di una nuova e diffusa volontà di rinnovamento, rafforzando una memoria che, se non riesce ancora ad essere condivisa da tutti, sia quantomeno la memoria collettiva su cui il Paese può affrontare non solo il suo passato, ma anche il suo futuro”.
Nel 1975, durante uno spettacolo a
Genova, Walter Chiari (che in gioventù aveva aderito alla Repubblica
sociale italiana) lanciò una provocazione: «Quando fu appeso per i piedi
a piazzale Loreto, dalle tasche di Mussolini non cadde nemmeno una
monetina… Se i nuovi reggitori d’Italia subissero la stessa sorte,
chissà cosa uscirebbe dalle loro tasche!». La battuta provocò un grande
applauso, a dispetto del fatto che la città fosse medaglia d’oro della
Resistenza e di lì nell’estate del 1960, per protesta contro la
convocazione di un congresso del Msi, fosse partita la rivolta che aveva
provocato la caduta del governo Tambroni. Da allora la battuta di
Walter Chiari divenne un luogo comune della destra e, più in generale,
dei settori qualunquisti e conservatori dell’opinione pubblica italiana.
Anche quelli non nostalgici. Mauro Canali e Clemente Volpini sono
andati a verificare se le cose andarono veramente nei modi di cui alle
parole di Walter Chiari. Se cioè corrisponde alla realtà che i fascisti,
ancorché politicamente nefasti, siano stati sostanzialmente onesti. E
sono giunti alle conclusioni — esposte in un libro, Mussolini e i ladri di regime. Gli arricchimenti illeciti del fascismo, in procinto di essere pubblicato da Mondadori — che le cose non stanno così.
Mussolini, ricordano Canali e Volpini, aveva fondato nel 1919 il movimento fascista (che diventerà Partito nazionale fascista nel 1921) «per combattere i profittatori di guerra, i “pescecani”, i politicanti, gli egoisti, i corrotti e poi i parassiti dello Stato». Il programma dei Fasci di combattimento proponeva il sequestro dei profitti di guerra o una vera espropriazione parziale di tutte le ricchezze attraverso un’imposta sul capitale. Poi, dopo che Mussolini giunse al potere (1922), non se n’era più fatto niente. Ma nella retorica del regime l’attacco alla plutocrazia, al potere della ricchezza resisterà per tutto il Ventennio. Fisiologico perciò che, dopo la caduta del fascismo (25 luglio 1943), il governo di Pietro Badoglio avviasse immediatamente un’indagine per verificare se sotto il regime fossero state commesse delle ruberie. Il 5 agosto del 1943, la notizia dell’avvio dell’inchiesta sugli illeciti arricchimenti dei maggiorenti mussoliniani — con un’apposita commissione presieduta dal presidente della Corte suprema di Cassazione Ettore Casati — fu data da tutti i giornali e nel giro di pochi giorni i gerarchi finirono sulle prime pagine — scrivono Canali e Volpini — «gettati in pasto a un’opinione pubblica che fino a poco tempo prima li aveva temuti odiati, riveriti, spesso invidiati». Con quei racconti, aggiungono gli autori, la fine tragica del
Ventennio
assunse «tratti da commedia, da spettacolo del malaffare ridicolo e
ricco di colpi di scena». Con «fughe rocambolesche, rotoli di banconote
nascosti nell’acqua degli sciacquoni, arresti eccellenti, favolosi
patrimoni in ville, tenute, palazzi e castelli». Per arrivare infine «ai
sequestri dei beni mobili, con verbali e inventari redatti con una
pignoleria da non credersi»: dalle pellicce agli arazzi, dai cavalli
purosangue ai posacenere, «passando per i corredi, tovaglie, lenzuola,
asciugamani, fino al numero di posate in argento e all’ultima pantofola,
calza e mutanda del gerarca inquisito». Il tutto «immerso in un fiume
di denaro e in un cerchio fatto di amici, amici degli amici, amanti,
mogli, figli, parenti lontani, ricattatori, ruffiani e segretarie
compiacenti». Per un ammontare di 118 miliardi di lire dell’epoca di cui
l’Erario riuscirà a recuperare solo 19.
In seguito di quel genere di storie che avevano tenuto banco sui giornali
nell’estate del 1943 si parlò sempre meno; finché, poco più di
trent’anni dopo, fu possibile fare quella battuta a Genova senza che
nessuno (o quasi) trovasse alcunché da ridire. Adesso i due storici,
sulla base di una nuova, ampia documentazione inedita, sono giunti a un
punto definitivo: gran parte dei fascisti di primo piano, a partire
dallo stesso Mussolini e dai familiari della sua amante Claretta
Petacci, si arricchirono in modo davvero considerevole. Conclusione a
cui giunge anche un altro pregevole volume testé edito da Laterza, Il fascismo dalle mani sporche. Dittatura, corruzione, affarismo, che raccoglie saggi di autori diversi, raccolti e curati da Paolo Giovannini e Marco Palla.
Il più grande arricchito del regime risulta essere Costanzo Ciano,
padre di Galeazzo, che sarà ministro degli Esteri nonché marito di
Edda, la figlia di Mussolini. Alla morte di Costanzo Ciano, raccontano
Canali e Volpini, Vittorio Emanuele III aveva confidato a Mussolini,
«facendogli strabuzzare gli occhi e lasciandolo senza fiato», che l’uomo
aveva accumulato un patrimonio di circa 900 milioni. Ma c’è stato anche
di peggio.
I più sorprendenti risultano essere il prefetto Antonio Le Pera
e il sottosegretario (futuro ministro dell’Interno nella Rsi) Guido
Buffarini Guidi, che lucrano sulle politiche razziali del regime. «La
banda che era mossa dal prefetto Lepera in realtà faceva capo a
Buffarini che mangiava a quattro ganasce», annotava Galeazzo Ciano sul
suo diario. Voci si addensano anche su uno dei principali esponenti
dell’antisemitismo italiano, Telesio Interlandi, direttore de «Il
Tevere». Alla fine degli anni Trenta, Francesco Peruzzi, questore e alto
funzionario dell’Ovra, sostiene che Interlandi avrebbe ricattato per
«varie decine di migliaia di lire» l’ebreo Gino Coen, un «facoltoso
industriale romano». Il questore riferisce al capo della polizia Arturo
Bocchini, il quale a sua volta informa Mussolini. Il Duce,
ricostruiscono Canali e Volpini, «vuole certezze e affida al ministro
della cultura popolare Dino Alfieri il compito di far luce sul caso
Interlandi». Peruzzi raccoglie le prove, le consegna ad Alfieri e poi
riferisce anche a Bocchini, che lo liquida con una battuta: «Hai fatto
una fatica inutile perché purtroppo Interlandi non sarà mai toccato in
quanto nella faccenda degli ebrei troppe personalità sono coinvolte, non
esclusi gli stessi familiari di Mussolini».
Interessante è la storia di Roberto Farinacci, il ras di Cremona,
squadrista, antisemita, filonazista, al fianco di Mussolini anche
durante l’avventura di Salò e per questo fucilato dai partigiani il 28
aprile 1945. L’immagine che tenne a dare di sé fu quella del «paladino
della rivoluzione fascista, duro e puro», «integerrimo e votato alla
causa», impegnato in una «personalissima battaglia contro gli affaristi,
i corrotti, e i profittatori di regime, contro chi sfruttava il partito
per arricchirsi». L’inchiesta sui suoi arricchimenti durerà dal 1943 al
1956 e il suo patrimonio sarà valutato, nel 1949, in una cifra
astronomica: 614 milioni e 627 mila lire. Tanto per dare un’idea delle
proporzioni, precisano Canali e Volpini, nel 1938 un senatore del Regno
guadagnava annualmente tra le 20 e le 25 mila lire, un maestro tra le 9 e
le 13.500 lire, un operaio 4.238 lire. Farinacci non poté godere del
patrimonio accumulato perché fu giustiziato come si è detto nel 1945, ma
aveva sistemato le cose in modo che ne potessero usufruire i suoi
familiari. Alla fine, dopo undici anni di battaglie legali, i suoi eredi
riusciranno a «salvare» una somma di oltre 600 milioni, «pagando una
cifra irrisoria in comode rate e cedendo appena poco più di due ettari
di terreno e una società in gravissime condizioni economiche, che
nessuno più voleva, dopo averla comunque depredata di una bella fetta
del suo patrimonio immobiliare».
Più «fortunato» di tutti è il sindacalista Edmondo Rossoni,
nato nel 1884 a Tresigallo in provincia di Ferrara. Sindacalista
rivoluzionario all’inizio del Novecento, fu denunciato la prima volta
nel 1903 quando aveva solo diciannove anni e in seguito fu costretto a
fuggire in Francia, negli Stati Uniti, in Brasile. Al momento della
marcia su Roma, Rossoni ha già trentott’anni. Non è uno dei più giovani
tra i seguaci di Mussolini. Poi però diviene capo dei sindacati
fascisti, deputato per tre legislature, consigliere nazionale alla
Camera dei fasci e delle corporazioni, sottosegretario alla presidenza
del Consiglio, ministro dell’Agricoltura e Foreste e membro del Gran
Consiglio dal 1930 fino all’ultima seduta del 25 luglio 1943, quando con
il suo voto favorevole all’ordine del giorno di Dino Grandi è tra i
gerarchi che provocheranno la caduta del fascismo. È uno dei
protagonisti di Canale Mussolini
di Antonio Pennacchi (Mondadori). Tra il 1922 e il 1925, registrano
Canali e Volpini, «i contratti conclusi dalle corporazioni fasciste
furono peggiori di quelli stipulati dalle associazioni “rosse” negli
anni precedenti, sia in termini di paghe che di condizioni di lavoro». E
Rossoni divenne improvvisamente agiato. Nel 1924 comprò a Roma un
sontuoso appartamento ai Parioli e un podere di cinque ettari a
Tresigallo. Ma fu solo l’antipasto.
Nell’ottobre 1925, con il patto di Palazzo Vidoni tra la Confindustria e
la Confederazione delle corporazioni fasciste, il gerarca ottenne il
monopolio della rappresentanza operaia e nel 1926 il riconoscimento
giuridico di un solo sindacato nazionale per categoria. Così Rossoni
diviene «uno degli uomini più potenti d’Italia». Nel novembre 1927,
lascia i Parioli e si trasferisce in via Veneto «che non è ancora il
cuore della “dolce vita” ma è già il grande boulevard degli hotel
esclusivi» L’Ovra raccoglie le confidenze di un ufficiale della milizia
che racconta di «un appartamento addirittura principesco, con salotti
numerati, servi in livrea, camerieri e governanti».
Nel dicembre del 1928, Mussolini — alle cui orecchie sono giunti i mormorii sulla
vita da satrapo del «sindacalista» (Curzio Malaparte lo definì «la
miglior forchetta del Regime») — prova ad esautorarlo disponendo il
cosiddetto «sbloccamento», attraverso il quale l’organizzazione dei
lavoratori guidata da Rossoni viene smembrata in sei confederazioni
nazionali. La risposta di Rossoni è un dossier su Mussolini che contiene
notizie su illeciti del Duce che risalgono addirittura alla stagione
che precedette la nascita del fascismo.
Circola anche la voce che Rossoni sia fuggito all’estero «ben
foderato di milioni». Ma il ras del sindacalismo fascista resta invece a
Roma e nel 1929 compra una lussuosa villa ad Anzio. Magione che
incuriosisce il capo del fascismo. Quinto Navarra, il cameriere di
Mussolini, racconta nelle sue memorie: «Un giorno il Duce mi passò una
lettera anonima nella quale si diceva che Edmondo Rossoni nella sua
villa di Anzio possedeva un bagno con acqua di colonia corrente…
Mussolini andò su tutte le furie e diede l’incarico a un funzionario
della segreteria di assumere informazioni… Si riuscì a sapere, poi, che
nel bagno di Rossoni esisteva un rubinetto per il profumo, ma era un
rubinetto applicato a un grosso vaso di vetro contenente acqua di
colonia».
La villa viene intestata all’amante di Rossoni, Anna Piovani,
da cui l’uomo politico ha avuto una figlia, Itala. L’Ovra si accanisce
contro la Piovani e scopre che è una prostituta e ha a sua volta un
amore: «Batteva il marciapiede di Via Condotti per sovvenzionare
l’amante del cuore, un certo Oscar». Secondo un informatore la Piovani è
anche comparsa nuda in un film di Augusto Genina. Alla sua sarta di
fiducia avrebbe confidato che Rossoni «ha piazzato al sicuro diversi
milioni nelle banche d’America». Le piace giocare a poker, balla «in
modo un po’ sguaiato» e ha nuovi spasimanti tra i quali «un noto baro,
certo Mario Ventunni» definito nella relazione «cocainomane». Ma Rossoni
continua ad intestarle i beni.
Giuseppe Bottai nel suo diario riporta una lettera anonima del 1935 che
definisce Rossoni «imboscato, poligamo, cornuto, ladro». Bottai e
Augusto Turati allertano Mussolini sulle trame di Rossoni; il Duce però
lo riabilita e il «sindacalista» riprende la marcia trionfale. Nel
dopoguerra Piero Calamandrei troverà il dossier sulle ruberie di Rossoni
e le prove che Mussolini sapeva tutto di lui. Ne trarrà questa
conclusione: «Gli uomini per governare devono essere corrotti, o meglio
devono essere corrotti per poterli ricattare… Quel dossier doveva
servire a Mussolini per tenerlo schiavo». Schiavo sì ma fino al 25
luglio del 1943, quando Rossoni lo tradirà. Per riparare subito dopo in
Vaticano, in un monastero sull’Appennino, a Dublino e in Canada. E poi
tornare in Italia amnistiato nel dopoguerra, concordare un relativamente
modesto risarcimento all’erario, tenere per sé qualche decina di
milioni e trovare la morte nel 1965, a 81 anni, dopo un’ultima stagione
vissuta in un’agiata tranquillità. Grande libro quello di Canali e
Volpini.
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