MILANO, GIORNATA DELLA MEMORIA

Giorno della memoria 26 gennaio 2015
evento promosso da:
Fondazione Memoria della Deportazione
Comunità Ebraica di Milano
Comitato Permanente Antifascista
con il patrocinio del Comune di Milano

Ex-Albergo Regina Via Silvio Pellico 7 ore 9.30

Deposizione di corone alla lapide dell’ex-Albergo Regina, comando SS e Quartiere generale della Gestapo negli anni 1943 -1945
Coordina: Roberto Cenati Presidente ANPI provinciale Milano

Intervengono:
Ada Lucia De Cesaris Vice Sindaco Comune di Milano
Giuliano Banfi Vice Presidente ANED sezione di Milano
Gino Morrone ANNPIA e Presidente regionale FIAP
Carla Bianchi Iacono Associazione Nazionale Partigiani Cristiani
Walker Meghnagi Presidente Comunità Ebraica di Milano
Roberto Jarach Vice Presidente UCEI
Danilo Margaritella Segretario generale UIL Milano e Provincia

Palazzo Reale Sala Convegni Piazza Duomo, 14 ore 11.00
Il valore della testimonianza
Incontro con gli studenti

Coordina:
Massimo Castoldi Direttore Fondazione Memoria della Deportazione
Saluto di Giuliano Pisapia Sindaco del Comune di Milano
Saluto di Gianfranco Maris Presidente ANED nazionale e Fondazione Memoria della Deportazione

Intervengono:
Testimoni della deportazione antisemita e politica

Liliana Picciotto storica (Fondazione CDEC, Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea)
Roberta Cairoli storica (FIAP, Federazione Italiana Associazione Partigiane, Fondazione Aniasi)
Seguirà un dibattito con i giovani delle scuole

L’incontro sarà trasmesso in diretta streaming, a cura di Denis Gianniberti valoredellatestimonianza.altervista.org

MANIFESTAZIONE ANTIFASCISTA A CREMONA

Da Osservatorio Democratico:

Sabato 24 Gennaio

Manifestazione nazionale antifascista a Cremona

L’attacco premeditato e scientificamente organizzato dai fascisti di CasaPound cremonesi, in combutta con altri militanti di estrema destra provenienti da fuori città, ha trovato una risposta determinata da parte dei compagni presenti nel centro sociale, ma purtroppo Emilio è stato colpito alla testa da diverse sprangate. I fascisti si sono accaniti sopra ad Emilio fino a quando è stato portato in sicurezza all’interno del centro sociale; è stata, tuttavia, immediatamente chiara la gravità del suo stato di salute.
Infame è stato il comportamento della polizia che ha semplicemente identificato gli assaltatori e successivamente, per permettere loro di andarsene indisturbati, ha violentemente caricato il presidio di antifascist* radunatesi sul posto. Per esprime totale vicinanza e solidarietà con Emilio è stata indetta: Lunedì 19 Gennaio una giornata nazionale di mobilitazione diffusa nei territori Contro squadristi, polizia e istituzioni conniventi:

Sabato 24 Gennaio un corteo nazionale antifascista, determinato, autodifeso e militante con la parola d’ordine: chiudere subito tutte le sedi fasciste!

Pagherete caro! Pagherete tutto!

#Emilioresisti

Milano in Movimento

I GRAVI FATTI DI CREMONA

Da Osservatorio Democratico, 19 gennaio 2015:

Casapound contro autonomi a Cremona, ferito un uomo: “È in coma”
I tafferugli fuori dallo Stadio cittadino dopo il derby con il Mantova, ma le motivazioni non sono calcistiche. L’uomo, un attivista di un Centro sociale, è in prognosi riservata dopo aver riportato lesioni alla testa

 Un uomo di 49 anni in coma, colpito alla testa calci e sprangate in un raid che, secondo alcuni testimoni, sarebbe riconducibile a “militanti di Casapound di Cremona, Parma e Brescia”. Non è uno scontro tra tifosi ma un agguato neofascista quello avvenuto domenica sera a Cremona, verso le 18,30, al termine della partita Cremonese-Mantova, in via Mantova al centro sociale Dordoni. “Una cinquantina di persone – ha riferito a ilfattoquotidiano.it un testimone, Michele Arena, del centro sociale Dordoni – si sono staccate dal gruppo di tifosi e hanno assaltato il centro sociale. Venivano da fuori, dalle città vicine. Quelli che abbiamo riconosciuto venivano da Parma e da Brescia ed erano di Casapound. Con loro c’era il coordinatore provinciale di Casapound Cremona, Gianluca Galli”.
Una versione confermata dalla Questura di Cremona, secondo cui la partita di calcio nulla ha a che fare con l’aggressione, che sarebbe riconducibile all’estrema destra: “Non è una violenza legata a questioni calcistiche ma a una contrapposizione politica tra centri sociali e gruppi di estrema destra – ha spiegato un funzionario a ilfattoquotidiano.it – Non sappiamo ancora perché è successo, sappiamo solo che una formazione si è spostata dalla zona dello stadio per dirigersi verso il centro sociale dove è avvenuto lo scontro”. Secondo la ricostruzione dei testimoni, le persone che erano dentro al centro sociale Dordoni in quel momento (circa otto) “hanno tentato e sono riusciti a respingere l’attacco, solo che nell’agguato un compagno è finito in coma ed ora è in pericolo di vita. Aveva la testa completamente aperta”.
Le informazioni ufficiali sullo stato di salute del ferito, fornite dal 118, riferiscono di una persona colpita “ripetutamente con spranghe e calci, prevalentemente al volto e al capo. All’arrivo dell’automedica il paziente era incosciente e il medico ha proceduto all’intubazione”. L’ospedale Maggiore di Cremona non ha confermato né smentito. Secondo quanto hanno riferito compagni e amici del ferito, nella notte non è stato possibile operarlo e i medici avrebbero preferito aspettare la mattina di lunedì. L’uomo avrebbe una emorragia cerebrale molto estesa e sarebbe in pericolo di vita.
Dopo gli scontri, la polizia è intervenuta in assetto antisommossa e avrebbe caricato esponenti del centro sociale Dordoni che avevano “fermato” alcuni militanti neofascisti “per permetterne il riconoscimento”. Al centro sociale di Cremona sono arrivati militanti dalle città vicine per portare la loro solidarietà, decidendo di indire una manifestazione nazionale antifascista per il 24 gennaio, proprio nella città lombarda.
Casapound in serata aveva diramato un comunicato, ripreso dall’Ansa, in cui parlava di un loro militante “ferito grave” negli scontri, ribaltando la ricostruzione confermata dalla Questura. Dopo una nuova verifica con la Questura di Cremona, “l’unico ferito grave – ha confermato un funzionario di polizia – è quello del centro sociale Dordoni. C’è un ferito anche tra i militanti di Casapound ma si tratta di un ferito lieve“.

UN CONDONO DA CANCELLARE

Un condono da cancellare

 

Non posso fare a meno di dedicare qualche parola ad un fatto grave che è accaduto (o si è scoperto) in questi giorni. Mi riferisco al decreto fiscale approvato dal Governo, nel quale è contenuta una norma secondo la quale coloro che evadono o frodano il fisco in misura inferiore al 3% del loro imponibile non sono più perseguibili penalmente e sono solo tenuti a risponderne in sede amministrativa fiscale. Una sorta di “condono” che, di per sé, io considero grave e ingiustificato, perché contrario a diverse norme costituzionali (art. 3, 53, ecc.) e soprattutto contrario alla morale pubblica e privata, se non altro perché trasmette un messaggio negativo; che, cioè, evadere il fisco o addirittura frodarlo non assume quella gravità che giustifica l’applicazione della legge penale.

In una fase delicatissima della vita nazionale, tuttora colpita da una crisi economica da cui non si riesce ad uscire, i cittadini sono tenuti a contribuire, sul piano fiscale, all’utilità pubblica, perché si possa ridurre il debito pubblico e fare operazioni di giustizia sociale e di carattere economico nell’interesse della collettività. È singolare il fatto che dagli exploit compiuti contro gli evasori pochi anni fa (ricordate le incursioni della Finanza a Venezia, a Cortina e in altre località?) e all’intensa pubblicità sulla verificabilità delle entrate (ad esempio con la rigorosa emissione degli scontrini fiscali) si è passati non all’inasprimento delle sanzioni, verso chi prosegue sulla linea dell’evasione, ma all’indebolimento del sistema, da un lato mettendo in discussione l’utilità degli scontrini fiscali e dall’altro con questa specie di “condono”, che è davvero grave in sé. Ma lo è ancora di più per il fatto che riguarda perfino i casi di frode, dimenticando che in un Paese civile frodare lo Stato è un fatto gravissimo, perché priva di risorse una collettività stremata e colpisce al cuore il principio di uguaglianza (tantissimi lavoratori pagano le imposte fino all’ultimo euro e non ci pensano neppure a frodare il fisco, mentre non possono materialmente sottrarsi a quelli che dovrebbero essere i doveri di ogni cittadino).

Ma la norma c’è; e non è vero che si tratta di una norma giusta, come scrive qualche giornale, o irrilevante, per varie ragioni: anzitutto perché non è vero che esclude la punibilità per qualche errore materiale, magari di poco conto (la frode è un atto volontario, è un imbroglio e quindi l’errore proprio non c’entra); in secondo luogo perché si tratterà di poca cosa per alcuni, che hanno un reddito minimo, ma non lo è più quando il reddito imponibile è elevato, perché allora anche il 3% rappresenta un valore comunque rilevante. Per fare un esempio (lo ricavo da quanto scrive un insospettabile quotidiano) Mediaset ha un imponibile di 410 milioni di euro, nel 2012 e dunque restare al di sotto del 3% significherebbe non essere considerati punibili per 4,9 milioni evasi (con frode) nel 2012 e 2,6 nel 2013. Dunque, per i titolari di un reddito consistente, il vantaggio non è dappoco, così come non è dappoco il danno subito dallo Stato.

Ci diranno che tutto questo serve a recuperare entrate, perché comunque il contribuente è tenuto a pagare le imposte evase e gli accessori; ma non si fa cassa violando principi costituzionali e soprattutto non lo si può fare giustificando un fatto grave come la frode, per la quale è (meritatamente) prevista la sanzione penale. La questione è dunque di carattere generale, tant’è che solo dall’interno del Governo sono emerse voci contrarie, anche vibratamente, quanto meno per ciò che attiene alla frode. Ma poi è stato facile accorgersi che questo provvedimento avrebbe favorito anche Berlusconi, consentendo perfino – secondo alcuni – l’inapplicabilità della legge Severino e secondo altri giustificando, in prosieguo, la concessione di una grazia tanto sospirata e tanto grave quanto – finora e giustamente – negata.

Un fatto grave, dunque, in generale e per gli aspetti “personali”, che potrebbe assumere. Un fatto tale da chiedersi come abbia potuto verificarsi. All’inizio, tutti ne hanno negato la paternità. Poi, se l’è assunta il Presidente del Consiglio, forse per non compromettere la delicata posizione del Ministro dell’Economia, in una fase in cui il suo nome circola fra quelli “papabili” per il Quirinale. Ma lo ha fatto in modo assai strano e, comunque, negativo. Se si commette un errore grave (tutti i giornali ne parlano) o si compie un tentativo di favorire personaggi o società potenti e, più in particolare, un politico noto, che si fa di solito quando la vicenda viene alla luce? Si corre ai ripari. Ma il Presidente del Consiglio lo fa prima a metà dicendo che il provvedimento sarà ripensato (che è cosa diversa dal dire che sarà modificato) e aggiunge che, però, lo si farà dopo l’elezione del Presidente della Repubblica.

Ma perché? Che collegamento c’è? Un sottosegretario all’Economia ha detto in questi giorni che basterebbe, con un piccolo tratto di penna, escludere almeno il caso di frode. Dunque una cosa semplice, per noi inappagante per tutte le ragioni già dette, ma semplice. E invece no. Sono stato invitato, di recente, da un lettore, a non pensare male: e volentieri lo farei. Ma l’attento lettore mi consentirà che si sta facendo di tutto per indurre il cittadino a pensare male: prima si fa una norma inqualificabile sotto il profilo fiscale, per l’evasione, ed a maggior ragione per la frode; e non si sa chi è stato e come ha potuto essere indotto in “errore” l’intero Governo (a che serve la collegialità, se possono accadere cose simili?); poi, quando il fatto diviene pubblico, non si fa quello che farebbe ognuno di noi, in casi consimili, cioè correre ai ripari subito, con chiarezza estrema, anche per eliminare alla radice ogni possibile errore o sospetto.

Ma c’è di più: nelle dichiarazioni più recenti il Presidente del Consiglio rinvia ogni decisione al 20 febbraio e per di più non chiarisce, anzi usa formule ambigue e preoccupanti (“si può cambiare e io non sono interessato”). Davvero difficile da capire perché mai non si voglia prendere una posizione netta e precisa su una vicenda così scottante. In queste condizioni, siamo costretti alla più attenta vigilanza; seguiremo la vicenda passo passo e non saremo tranquilli fino a quando ogni rischio di favorire i potenti (e fra questi quel personaggio pubblico a cui tutti hanno pensato) non sarà completamente sventato nell’unico modo possibile: una modifica dell’articolo “incriminato” chiara, netta, precisa, inequivocabile.

Per noi, bisognerebbe cancellare l’intero ”condono”; ma se proprio non lo si volesse fare, bisognerebbe – quanto meno – cancellare l’applicabilità del provvedimento alla ipotesi di frode e ridurre ulteriormente la percentuale (che sembra minima, ma non lo è) anche per i semplici evasori. A questa vigilanza invito tutti, in primis i parlamentari di buona fede e di sani sentimenti: si tratta di un decreto delegato e il Parlamento dovrà esprimere il suo parere, sia pure non vincolante. E lo faccia a piena voce e con chiarezza estrema, se vuole ancora godere di un minimo di fiducia da parte dei cittadini.

Ma l’invito alla vigilanza lo rivolgo anche alla società civile, che ha nel suo seno tante persone, magari silenti, ma democratiche, di buona fede e che ci tengono al perseguimento degli interessi pubblici e non di quelli privati. E lo rivolgo, infine, anche a tutta la mia Associazione, perché si impegni per chiarire, informare, reagire. Non è materia opinabile. Si tratta di un nostro dovere assoluto, di esercitare quella “coscienza critica” a cui ci ha richiamato il Congresso e di pretendere l’applicazione dei principi costituzionali che ho richiamato e che hanno un grande valore – sul piano penale – anche perché strettamente collegati a due temi fondamentali quali la moralità pubblica e la solidarietà.
Naturalmente, il mio invito alla riflessione ed alla vigilanza è rivolto anche a quelli – fra noi – che si dolgono quando siamo costretti a criticare operazioni per noi inaccettabili, da parte del Governo, del Parlamento oppure, in genere, della politica. Ritengo che su una questione del genere non ci possano essere distinzioni o posizioni diverse tra noi, se davvero siamo convinti del nostro ruolo e della necessità che lo svolgiamo appieno, nell’interesse del Paese.

Carlo Smuraglia, presidente nazionale Anpi

 

APPELLO DELL’ ANPI

APPELLO DELL’ ANPI AI PARTITI, ALLE ASSOCIAZIONI, ALLE CITTADINE E AI CITTADINI

 

RIFORME: ERA ( ED E’) UNA QUESTIONE DI DEMOCRAZIA

 

Il 29 aprile 2014 l’ANPI Nazionale promosse una manifestazione al teatro Eliseo di Roma col titolo “Una questione democratica”, riferendosi al progetto di riforma del Senato ed alla legge elettorale da poco approvata dalla Camera.

Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti; ma adesso che si vorrebbe arrivare ad un ipotetico “ultimo atto” (l’approvazione da parte del Senato della legge elettorale in una versione modificata rispetto al testo precedente, ma senza eliminare i difetti e le criticità; e l’approvazione, in seconda lettura, alla Camera della riforma del Senato approvata l’8 agosto scorso, senza avere eliminato i problemi di fondo) è necessario ribadire con forza che se passeranno i provvedimenti in questione (pur non in via definitiva) si realizzerà un vero e proprio strappo nel nostro sistema democratico.

Una legge elettorale che consente di formare una Camera (la più importante sul piano politico, nelle intenzioni dei sostenitori della riforma costituzionale) con quasi i due terzi di “nominati”, non restituisce la parola ai cittadini, né garantisce la rappresentanza piena cui hanno diritto per norme costituzionali.

Una legge elettorale, oltretutto, che dovrebbe contenere un differimento dell’entrata in vigore a circa un anno, contrariamente a qualunque regola o principio (le leggi elettorali si fanno per l’eventualità che ci siano elezioni e non dovrebbero essere soggette ad accordi particolari, al di là di ogni interesse collettivo).

Quanto al Senato, l’esercizio della sovranità popolare presuppone una vera rappresentanza dei cittadini fondata su una vera elettività.

Togliere, praticamente, di mezzo, una delle Camere elettive previste dalla Costituzione, significa incidere fortemente, sia sul sistema della rappresentanza, sia su quel contesto di poteri e contropoteri, che è necessario in ogni Paese civile e democratico e che da noi è espressamente previsto dalla Costituzione (in forme che certamente possono essere modificate, a condizione di lasciare intatte rappresentanza e democrazia e non sacrificandole al mito della governabilità).

Un sistema parlamentare non deve essere necessariamente bicamerale. Ma se si mantiene il bicameralismo, pur differenziando (come ormai è necessario) le funzioni, occorre che i due rami abbiano la stessa dignità, lo stesso prestigio, ed analoga elevatezza di compiti e che vengano create le condizioni perche l’eletto, anche al Senato, possa svolgere le sue funzioni “con disciplina e onore” come vuole l’articolo 54 della Costituzione. Siamo dunque di fronte ad un bivio importante, i cui nodi non possono essere affidati alla celerità ed a tempi contingentati.

In un momento di particolare importanza, come questo, ognuno deve assumersi le proprie responsabilità, affrontando i problemi nella loro reale consistenza e togliendo di mezzo, una volta per tutte, la questione del preteso risparmio con la riduzione del numero dei Senatori, perché uguale risultato potrebbe essere raggiunto riducendo il numero complessivo dei parlamentari.

Ai parlamentari, adesso, spetta il coraggio delle decisioni anche scomode; ed è superfluo ricordare che essi rappresentano la Nazione ed esercitano le loro funzione senza vincolo di mandato (art. 67 della Costituzione)e dunque in piena libertà di coscienza.

Ai partiti, se davvero vogliono riavvicinare i cittadini alle istituzioni ed alla politica, compete di adottare misure e proporre iniziative legislative di taglio riformatore idonee a rafforzare la democrazia, la rappresentanza e la partecipazione anziché ridurne gli spazi.

Ai cittadini ed alle cittadine compete di uscire dal rassegnato silenzio, dal conformismo, dalla indifferenza e far sentire la propria voce per sostenere e difendere i connotati essenziali della democrazia, a partire dalla partecipazione e per rendere il posto che loro spetta ai valori fondamentali, nati dall’esperienza resistenziale e recepiti dalla Costituzione.

L’Italia può farcela ad uscire dalla crisi economica, morale e politica, solo rimettendo in primo piano i valori costituzionali e le ragioni etiche e di buona politica che hanno rappresentato il sogno, le speranze e l’impegno della Resistenza.

 

Dipende da tutti noi.

L’ANPI resterà comunque in campo dando vita ad una grande mobilitazione per informare i cittadini e realizzare la più ampia partecipazione democratica ad un impegno che mira al bene ed al progresso del Paese.

 

 

La Segreteria Nazionale ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia)

 

                                                           Roma, 16 gennaio 2015

 

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