LATINA: VIA ALMIRANTE!

Latina: no a una via intitolata a Giorgio Almirante

 

L’Anpi della provincia di Latina dice no a una via intitolata a Giorgio Almirante. Questo il significato di una mobilitazione contro la richiesta di dedicare una strada cittadina a un personaggio che sempre rivendicò la sua coerenza con il regime di Benito Mussolini.

Del resto Almirante, fondatore del Movimento Sociale Italiano, durante il ventennio aderì al “Manifesto della Razza”; collaborò alla rivista di regime che teorizzò le politiche razziste e antisemite che significò la deportazione di migliaia di italiani nei lager nazisti; partecipò alla Repubblica Sociale Italiana  e nel 1944 firmò un bando che decretava la fucilazione dei partigiani.

Da qui l’indignazione degli antifascisti di Latina di cui l’Anpi si è fatta interprete in primo luogo con una presa di posizione prubblica e poi con una lettera al governatore della Regione Lazio.

Questo il testo della lettera.

“Presidente Zingaretti,

apprendiamo che Francesco Storace ha ritenuto di chiamare in causa l’Istituzione regionale al fine di dare sostegno e, inevitabilmente, visibilità alla mozione presentata al Consiglio Comunale di Latina dai consiglieri Bruni e Chiarato per intitolare una strada o una piazza a Giorgio Almirante. Riteniamo quindi doveroso, per nostra parte, darle contezza di quanto sosteniamo in senso opposto. L’atto politico che si è consumato rinnova, elevandola di grado, una diatriba annosa che ha visto la città di Latina, suo malgrado, strumentalmente utilizzata come palcoscenico di rappresentazioni di folklore revisionista. Nella vicenda attuale si rinnovano, da parte dei promotori, l’uso attento dell’omissione degli aspetti meno utili allo scopo prefissato e il richiamo strumentale a valori quali la pacificazione nazionale, la memoria condivisa e, in ultimo, le recentissime parole del Capo dello Stato riguardo lo stesso Almirante.

Come da noi ricordato in un primo comunicato stampa, nella mozione presentata al Consiglio comunale di Latina si ricorda la figura di Almirante senza mai utilizzare il termine fascista. Cosa che, riferita a tale biografia appare una imperdonabile dimenticanza o, per l’appunto, una astuta omissione, utile a conformare l’opinione pubblica più distratta o meno edotta. Mai si ricorda la posizione, non certo secondaria, di Almirante durante il ventennio: aderente al Manifesto della Razza, collaborò alla rivista “La difesa della razza” sostenendo le politiche razziste e antisemite del regime a seguito delle quali migliaia di italiani ebrei e non, furono deportati e perirono nei campi di sterminio. Silenzio sul ruolo avuto nella Repubblica Sociale Italiana alleata-serva dei nazisti: capo manipolo e poi tenente di brigata nera firmò nel 1944 un bando che decretava la fucilazione dei partigiani.

Italia libera e repubblicana conquistata grazie ai partigiani che egli avrebbe fucilato e ai quali non avrebbe certo concesso i diritti civili e politici dei quali ebbe a godere, fu tra i fondatori e segretario storico del Movimento Sociale Italiano. In queste vesti istituzionali, non mancò di frequentare ambienti poco convenienti: è del 1970, alla vigilia del Golpe dell’Immacolata, l’incontro con Junio Valerio Borghese in cui affermava “Comandante, se parliamo di politica, e tu sei dei nostri, devi seguire le mie direttive, ma se il terreno si sposta sul campo militare allora saremo noi ad attenerci alle tue indicazioni”.

amnistia avuta a seguito del rinvio a giudizio per il reato di favoreggiamento aggravato agli autori della strage di Peteano del 1972 in cui persero la vita tre carabinieri. Vi è, poi, la lettera del 1986 alla deputata Muscardini in cui Almirante scrive “in tema di presunto, e più ancora presuntuoso superamento del fascismo (…) Puoi stare certa che il mio ultimo respiro sarà fascista, nel nostro senso del termine, perché per me, per noi, si tratta della battaglia di tutta la nostra vita. Sei autorizzata a sbattere in faccia a chicchessia questa mia lettera, che non è confidenziale”.

antifascismo, ai valori costituzionali, alla memoria storica. Ricordiamo la decisione di sospendere il finanziamento regionale con il quale, impropriamente, si stava elevando un monumento a Rodolfo Graziani nel Comune di Affile così come ricordiamo le parole con cui spiegò la scelta di informarne direttamente i cittadini: “se oggi possono votare liberamente un sindaco o un presidente di Regione è perché la cultura di Graziani è stata sconfitta, altrimenti sarebbero prigionieri di una dittatura”.

Il medesimo concetto, siamo certi condividerà, può essere espresso per Giorgio Almirante.

invito di Storace sia rispedito al mittente. Il fatto che un simile errore, perché tale lo consideriamo, sia già avvenuto in alcune città non può essere certo assunto a sostegno della tesi che vuole reiterarlo in altre. Caparbiamente crediamo che la toponomastica cittadina sia cosa seria e concorra alla memoria collettiva di una comunità. Perciò essa dovrebbe rendere omaggio a figure che rappresentino esempi cui mirare, caratterizzate, oltre che da specchiata onestà, dalla totale adesione ai principi costituzionali e repubblicani.

In attesa di un riscontro che auspichiamo per noi positivo, le inviamo i nostri più cordiali saluti.

Sergio Zaccagnino, presidente Sezione ANPI di Latina.”

Qui di seguito la presa di posizione pubblica dell’Anpi di Latina.

“L’ANPI della provincia di Latina esprime profonda indignazione per la mozione presentata dai consiglieri Bruni e Chiarato al Consiglio Comunale di Latina per intitolare una strada o una piazza a Giorgio Almirante in occasione del centenario della sua nascita e chiede il dovuto rispetto per la  normativa della democrazia repubblicana. Ricorda, inoltre, a chi l’avesse dimenticato, che è tradizione della cultura italiana dare a un  luogo pubblico il nome di una figura esemplare o di un evento particolare affinché, attraverso la memoria, sia paradigmatico per le future generazioni e solleciti riflessioni sugli accadimenti storici.
Non è perciò accettabile e neppure  pensabile che sia proposto come cittadino encomiabile  Giorgio Almirante. Costui ha svolto un ruolo determinante durante il fascismo. Come segretario di redazione della rivista “La difesa della razza” ha contribuito allo sterminio del popolo ebraico;  aderendo alla Repubblica Sociale Italiana alleata e asservita ai nazisti ha firmato il bando di fucilazione dei partigiani che rifiutavano di arruolarsi nell’esercito della Rsi e combattere assieme ai nazisti; negli anni della strategia della tensione ha protetto uno  degli autori della strage di Peteano (dove  con un’autobomba furono uccisi tre carabinieri il 31 maggio del1972) godendo di un’amnistia ad personam per essere ultrasettantenne.
Ci opponiamo fermamente, quindi, a che un luogo pubblico porti il nome di chi si è distinto per essere un razzista, uno stragista, un terrorista  senza mai mostrare alcun segno di superamento dell’ideologia fascista (nel 1986  scrisse alla deputata Muscardini: … “il mio ultimo respiro sarà fascista”).
L’ANPI della provincia di Latina sottolinea che bisogna metter fine ai continui e smodati rigurgiti di revisionismo storico.
La presidente ANPI della provincia di Latina, prof.ssa Ada Filosa.”

L’IMMUNITA’ E’ ECCESSIVA, ANCHE A MONTECITORIO

Il Fatto Quotidiano, 3 luglio 2014

L’IMMUNITA’ E’ ECCESSIVA, ANCHE A MONTECITORIO

di Silvia Truzzi

La faccia tosta con cui si cerca di prendere in giro i cittadini è formidabile: l’immunità per il nuovo Senato di non eletti non la voleva nessuno. Poi, dopo qualche abracadabra, è ricomparsa, benedetta dal governo e da una larga maggioranza. Se la vedrà l’aula – ieri il ministro Boschi ha ipotizzato l’ennesima modifica – intanto si ragiona su questa bozza di riforma della Camera alta, passata attraverso giravolte, voltafaccia e modifiche di varia natura. Abbiamo chiesto lumi a Lorenza Carlassare, professore emerito di Diritto costituzionale a Padova.
Professoressa, che pensa dell’immunità per il Senato composto, com’è ora, da sindaci e consiglieri regionali?   
Mi sembra una proposta veramente inammissibile: sarebbe ragionevole estendere ai membri del ‘nuovo’ Senato l’insindacabilità, stabilendo che, come i deputati, non possano essere chiamati a rispondere per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Purché l’insindacabilità si riferisca unicamente alle funzioni senatoriali e non alle altre esercitate in diversa veste.

Un numero vergognoso di amministratori locali è sotto inchiesta per i rimborsi elettorali.    Questo aggrava ulteriormente una simile proposta e insinua il dubbio – spero infondato – che stia qui la vera ragione dell’intero impianto. Discutibile già perché conferisce a un Senato non elettivo alte funzioni come la revisione costituzionale e non solo funzioni consultive e di controllo su questioni regionali.
Lei sarebbe favorevole ad abolire l’autorizzazione a procedere per le perquisizioni, gli arresti e le intercettazioni di parlamentari anche alla Camera?   
Forse oggi sarei favorevole soprattutto considerando il degrado morale, ma si dovrebbe riflettere.   
Nella bozza approvata mercoledì è sparita l’ipotesi di utilizzare la Consulta come giudice delle autorizzazioni a procedere per i parlamentari.
  
Meno male! Era un’idea assurda che avrebbe inevitabilmente coinvolto la Corte in vicende politiche, esponendola a critiche pretestuose dell’una o dell’altra parte a seconda di come avesse deciso. Alla Corte andrebbe piuttosto affidato il controllo sulle elezioni come in Francia e in altri Paesi: tutte le questioni relative all’ineleggibilità, in
particolare, avrebbero così un giudizio ‘terzo’ e non un giudizio proveniente dagli stessi parlamentari pronti a favorirsi a vicenda.   
I sostenitori dell’immunità si appellano ai padri costituenti che la vollero nella Carta. Come dire: se Calamandrei e Dossetti hanno introdotto l’immunità, allora è una buona cosa. Vogliamo sfatare  questo mito?   
La norma fu introdotta anche perché era già nello Statuto Albertino come in altre Carte costituzionali e, se applicata correttamente, potrebbe rimanere pur avendo in parte perso la sua giustificazione. Salva sempre l’insindacabilità
che deve rimanere, non va dimenticata la diversa situazione da cui originano le prerogative parlamentari, dominata dalla presenza forte di un monarca. Nel Parlamento medievale la rivendicazione delle libertà nasceva dall’esigenza di garantirsi dalle pesanti interferenze regie; in Inghilterra la regola che la libertà di parola, di discussione e di azione in Parlamento non potesse essere contestata né in sede giudiziaria né in alcuna sede diversa da quella parlamentare (insindacabilità) fu codificata nel Bill of Rights nel 1689. In Francia, un secolo dopo, mentre il re era pronto a usare la forza contro i rappresentanti del Terzo stato riuniti in assemblea, fu approvata una dichiarazione che stabiliva l’inviolabilità della persona di ciascun deputato (immunità) che discende – dirà Robespierre – “dai principi che nessun centro di potere possa ergersi al di sopra del corpo rappresentativo della Nazione”. Ma se i senatori non sono neppure eletti?

CORSI DALLA RESISTENZA ALLA CITTADINANZA ATTIVA

“Dalla Resistenza alla cittadinanza attiva”

 

“DALLA RESISTENZA ALLA CITTADINANZA ATTIVA”
Percorsi storici e risposte educative dalla Shoah ai nuovi fascismi.
Diretto da Prof. Raffaele Mantegazza

Il corso si rivolge a:
– Educatori, insegnanti, assistenti sociali, psicologi, 
– Persone impegnate nel mondo scolastico, educativo, sanitario ed in contesti multiculturali.
– Studenti e giovani studiosi che   sono interessati alle tematiche trattate nel corso.

Obiettivi:
Ricostruire la storia della Shoah e della resistenza antifascista e antinazista e le vicende legate alla proliferazione di movimenti neonazisti e neofascisti in Europa con particolare attenzione alla diffusione nel mondo giovanile.
Analizzare le specifiche declinazioni pedagogiche ed educative di tali eventi.
Fornire conoscenze storiche e strumenti pedagogici utili all’implementazione di percorsi educativi da rivolgersi ad adolescenti e giovani in contesti scolastici ed extra-scolastici.
Discutere e sperimentare strategie educative e dispositivi pedagogici per la formazione di personalità resistenti nei confronti del dominio e dell’annientamento.
Affinare le categorie di una pedagogia della resistenza nei confronti di ogni tipo di dominio.

Aspetti organizzativi:
Le lezioni di terranno con scadenza mensile nei giorni di Venerdì (dalle ore 16,00 alle ore 20,00) e Sabato (dalle ore 9,00 alle ore 18,00).

Sede delle lezioni sarà Villa di Breme Forno in Via Martinelli, 23 Cinisello Balsamo – MI –
E’ inoltre previsto un week- end residenziale nel mese di Maggio presso la Casa Cervi in Via Fratelli Cervi, 9 – Gattatico (RE). Le spese di viaggio ed alloggio saranno a carico dei partecipanti.

Il costo totale del corso è di euro 1000. Verranno assegnate borse di studio a copertura totale o parziale dell’iscrizione.

Principali scadenze:

Ottobre 2014
Colloqui e pubblicazione graduatorie
Da Novembre a Luglio
Lezioni
Maggio 2015
Week- end residenziale presso Casa Cervi
Luglio 2015
Prova conclusiva e chiusura del corso

Totale ore di lezione:
104 ore comprensive di lezioni frontali, attività in piccolo gruppo e seminari. (12 CFU)

Per informazioni:
raffaele.mantegazza@unimib.it oppure greta.persico@campus.unimib.itwww.unimib.it

PROGRAMMA DELLE LEZIONI

Primo modulo

I totalitarismi di destra: introduzione (4 ore) Luigi Ganapini.
I totalitarismi di destra: aspetti pedagogici, (4 0re) Raffaele Mantegazza & Gruppo di Pedagogia della Resistenza.
La Shoah: introduzione storica (4 ore) Bruno Segre.
La Shoah: dimensione pedagogica (8 ore) Raffaele Mantegazza & gruppo PdR.

Secondo modulo

Le trame nere dell’eversione di destra (4 ore) Pierangelo Barone.
Neonazismo e neofascismo (2) Saverio Ferrari.
L’estrema destra in Europa e in America (2) Guido Caldiron.
Il fascino del neonazismo e il suo aspetto pedagogico (8) Raffaele Mantegazza & gruppo PdR.

Terzo modulo

La resistenza antifascista: la storia (4) Carlo Smuraglia.
La resistenza antifascista: aspetti pedagogici (4) Raffaele Mantegazza & gruppo PdR.
La nascita della democrazia in Italia e la Costituzione (4) Bruno Segre.
Movimenti di partecipazione in Italia nel dopoguerra (4) Anna Rezzara.
La partecipazione: aspetti pedagogici (4) Raffaele Mantegazza.

Quarto modulo

I giovani nella resistenza, i giovani davanti alla resistenza – Week end residenziale a Casa Cervi – (12) Staff di Casa Cervi.
Educare alla legalità contro i poteri occulti (4) Michele Gagliardo.
Educare alla Costituzione (4) Isabella D’Isola.
Per una pedagogia della Costituzione (4) Raffaele Mantegazza & gruppo PdR.
Dall’articolo 3 della Costituzione alle derive xenofobe ed omofobe (6) Alfredo Alietti, Alessandro Valera, Greta Persico.
Prospettive future di pedagogia della resistenza (6) Raffaele Mantegazza & gruppo PdR.
Dalla resistenza alla cittadinanza attiva  (4) esponente Anpi.

Lezione e valutazione conclusive (8h)

SMURAGLIA: NIENTE AZZARDI SULLE RIFORME

Da L’Unità del 2 luglio 2014

Smuraglia: niente azzardi sulle riforme costituzionali

 

In questa settimana dovrebbe cominciare la discussione sul testo e sugli emendamenti della riforma del Senato.

Mi piacerebbe che si trattasse di una discussione serena, approfondita e libera, come richiesto dalla delicatezza della materia (costituzionale).

Ma non so se sarà così, perché – secondo alcuni – occorre applicare una rigida disciplina di partito (e dove finirebbe l’art. 67 della Costituzione?), per cui si dovrebbe solo prendere atto di quanto deciso negli incontri “esterni” tra esponenti del PD, di Forza Italia e della Lega.

È sempre lecito sperare, tuttavia, che non tanto e solo prevalga il buon senso, quanto che venga riconosciuta quell’esigenza di rispetto dei valori costituzionali e di attenta considerazione della delicatezza della posta in gioco, su cui mi sono già più volte soffermato.

In realtà, a forza di incontri, sembrano essere stati concordati aggiustamenti, che – tuttavia – non mutano la sostanza e non rendono accettabile la riforma del Senato così come proposta.

Noi continuiamo a ritenere che ci siano alcuni aspetti fondamentali, da cui non è consentito allontanarsi:

– l’opportunità (la necessità) di differenziare il lavoro delle due Camere;

– l’esigenza di mantenere comunque un valido sistema bicamerale, rinnovato, ma sempre con due Camere che hanno uguale prestigio;

– l’esigenza di risolvere, prima di tutto, alcuni problemi fondamentali: la necessità di mantenere al Senato il connotato di autorevolezza di una Camera elettiva; la necessità di attribuire al Senato alcune funzioni fondamentali (a titolo esemplificativo ,la partecipazione effettiva alla formazione delle leggi in materia costituzionale ed elettorale, in tema di trattati e rapporti internazionali, in tema di principi generali in materia di autonomie ed in tema di diritti fondamentali); l’utilità di individuare i modi più opportuni per assicurare la presenza della voce delle autonomie nonché quella di specifiche competenze, culturali e scientifiche; l’attribuzione al Senato di seri e severi poteri di controllo sull’esecutivo, sull’amministrazione pubblica e sulla concreta applicazione ed efficacia delle leggi approvate.

Se si realizzassero questi obiettivi, come più volte abbiamo detto, si otterrebbe il risultato di eliminare il “bicameralismo perfetto” (se non altro per l’attribuzione alla Camera della parte più rilevante del potere legislativo e per l’attribuzione alla sola Camera del voto di fiducia); e nel contempo si terrebbe fermo quel sistema di garanzie, di pesi e contrappesi che, con intelligenza e sensibilità costituzionale, fu costruito dal legislatore costituente e che deve essere mantenuto.

Se poi si procedesse all’unificazione di alcuni servizi delle due Camere e alla equa diminuzione del numero dei parlamentari, sia della Camera che del Senato, si avrebbe – alla fine – una soluzione complessivamente ragionevole, comprensibile per i cittadini e fedele, nello spirito, alla Costituzione, alla nostra tradizione ed alle esperienze realizzate in questo dopoguerra.

Capisco che una soluzione come quella che ho prospettato (a prescindere dagli aspetti particolari, sui quali è giusto che si intrattenga il Parlamento) può sembrare troppo razionale per i tempi che corrono. Ma forse, con un po’ di buona volontà, si potrebbe riuscire a capire che in materia costituzionale servono le modifiche, quando l’esperienza le suggerisce, ma non gli spericolati azzardi, solo per compiacere un certo tipo di populismo (francamente, un po’ arretrato).

È per questo che mi rivolgo soprattutto ai Senatori, perché riflettano bene su quello che fanno e faranno, rendendosi conto che l’art. 67 della Costituzione è stato scritto per renderli liberi; ed a questa libertà, chi ricopre cariche elettive di tanto rilievo, dovrebbe tenerci come alla propria vita, perché essa costituisce la ragione stessa per la quale si è stati eletti e la ragione per cui (art. 54 della Costituzione) bisogna agire – nell’esercizio della funzione – con “disciplina e onore”.

So bene che adesso viene addotto un altro argomento, che dovrebbe essere addirittura decisivo, nelle intenzioni di chi lo usa, ma non è fondato.

Si dice che avendo l’Europa permesso un’apertura verso la flessibilità, adesso bisogna meritarla facendo “le riforme”.

A prescindere dal fatto che a me quest’apertura è sembrata più un segnale di buona volontà che non un impegno, bisogna intendersi su che cosa significa “fare le riforme” di cui l’Europa sarebbe in attesa.

Il Presidente del Consiglio dice che, prima di tutto, c’è da fare, e rapidamente, la riforma del Senato.

Mi permetto di dissentire e di porre qualche domanda indiscreta. Ma davvero c’è chi pensa che l’Europa sia particolarmente interessata alla riforma del Senato? Io penso di no e credo, anzi, che gliene importi (e forse ne sappia, addirittura) ben poco. In Europa ci sono diversi Paesi che hanno apportato modifiche al loro sistema parlamentare; e questo è avvenuto nel disinteresse generale degli altri Paesi, che lo hanno (giustamente) ritenuto un problema interno. Per lo più, comunque, è stato confermato un sistema di bicameralismo “differenziato” nelle funzioni; ed anche di questo non si è accorto né entusiasmato nessuno.

Ci sono studi e processi di revisione sulle istituzioni parlamentari, in corso, in Belgio, Irlanda, Spagna e Regno Unito. Ma nessuno, in Europa, è apparso interessato a questi processi, e tanto meno li si è collegati alla tematica del rigore, dell’austerità e della flessibilità.

Più in generale, è ovvio che il Paese che volesse dare buona prova di sé, per ottenere qualcosa sul piano di una maggiore elasticità delle regole economiche e finanziarie, dovrebbe dimostrare di avere modificato la sua burocrazia, i suoi livelli di corruzione, la presenza della criminalità organizzata e di avere in corso piani concreti di rilancio delle attività produttive, del lavoro, dei consumi.

Un imprenditore che fosse interessato ad investire in Italia non chiederebbe, penso, se abbiamo o meno il bicameralismo perfetto, ma domanderebbe meno vincoli burocratici, meno lungaggini, meno balzelli, più sicurezza nei confronti della mafia e meno concorrenza sleale fondata sulla corruzione e sui comportamenti di coloro che non rispettano le regole.

Dovremmo, dunque, rassicurare l’Europa su questi piani e su questi punti essenziali, piuttosto che pensare ad una riforma istituzionale, che può essere utile ma non così urgente quanto l’abbattimento del deficit, la crescita, il rilancio dell’economia, la creazione di nuovi posti di lavoro.

Se davvero l’Europa si convincerà e adotterà comportamenti concreti di maggior elasticità, avrà il diritto di chiederci di dimostrare di aver rassicurato i potenziali investitori e di aver dato reali speranze (se non addirittura certezze) ai milioni di giovani in cerca di lavoro.

Su questi aspetti, bisogna dire la verità e parlare chiaro, spiegando bene ai cittadini di che cosa si tratta; a meno che si voglia sostenere che togliendo di mezzo lo scoglio del Senato, si assicurerà la governabilità e questo rassicurerà i Paesi che ci guardano ancora con sospetto, come (nonostante tutto) la Germania. Ma allora bisognerebbe ricordarsi che intanto, per avere la Camera dei deputati in mano, bisogna vincere (e c’è ancora da risolvere il problema di una legge elettorale avversata da molti) e in secondo luogo che la “stabilità” politica non è tutto, perché c’è sempre il problema degli assetti e degli equilibri fra gli organi istituzionali, e prima ancora c’è il problema della rappresentanza, che deve essere garantita ai cittadini e non imposta nelle forme preferite da chi vuole governare indisturbato.

Insomma, consiglierei a tutti la formula di manzoniana memoria (“adelante, Pedro, conjuicio”) e poi di far prima di tutto scelte e assumere decisioni che vadano nella direzione dell’equità sociale, dell’uguaglianza e della libertà (anche dal bisogno).

Un ultimo richiamo e non certo di minore importanza: si tolga di mezzo, se verrà davvero formalizzata, la norma che eleverebbe il numero delle firme finora richieste per l’iniziativa legislativa popolare. Basta rifletterci un momento per convincersi che, se è vero che il Paese ha bisogno di più democrazia – come molti ritengono – il modo migliore non è quello di creare ostacoli perfino ad un istituto reso innocuo come l’iniziativa popolare; tanto più che questa novità si inserirebbe in un contesto in cui c’è già una legge elettorale (nel testo approvato alla Camera) che di democratico han ben poco e una proposta diretta a modificare drasticamente (se non a, praticamente, abolire) un organo costituzionale di rappresentanza dei cittadini).

Davvero avremmo ancor più ragione, se si insistesse sulle linee che si stanno seguendo, di parlare, come abbiamo già fatto, di una vera “questione democratica”.

Carlo Smuraglia

 Presidente Nazionale ANPI

LETTERA A NAPOLITANO

Lettera di Sandra Bonsanti al presidente della Repubblica

27 gugno 2014

Caro Presidente Napolitano,
cerco di vincere la rassegnazione che da tempo mi paralizza e mi rivolgo a te, sommo custode dei valori che costituiscono la base della nostra democrazia parlamentare.
Poche parole, poche righe che è probabile non ti raggiungano nemmeno o che tu comunque decida di scartare come ennesima conferma della fastidiosa presenza di gufi, nei quali dovrei riconoscermi non potendo farlo con i professoroni.
Mi rivolgo a te perché semplicemente non ce la faccio più ad ascoltare ad ogni stormir di dissenso il ritornello-minaccia: o votate “questa” riforma del Senato, cioè in sostanza la sua soppressione, o andate/andiamo tutti a casa.
Caro presidente Napolitano, non è mai successo nella nostra difficile storia che un intero Parlamento fosse minacciato dal capo del governo e segretario del partito unico e dai suoi vice di esser “sciolto” se non accetta di votare una riforma, LA RIFORMA, secondo lo schema già concordato in un incontro, un “patto” rimasto segreto. Sì, segreto.
A che serve chiedere trasparenza e verità sui momenti più bui della nostra storia se poi si accetta che qualcuno metta le mani sulla Costituzione, basandosi su un accordo segreto e sul fatto che ha avuto tanti voti alle primarie di partito o in una elezione europea?
Ma allora i 15 milioni e settecentomila cittadini che nel 2006, guidati dal presidente Scalfaro, dissero NO alla riforma di Berlusconi non contano nulla?
Scalfaro ed Elia ci dissero allora che quei milioni rappresentavano il primo, vero referendum sulla Costituzione del ’48, rappresentavano il primo grande riconoscimento del popolo italiano ai padri costituenti. Ho ancora nel cuore le loro parole e il sentimento di quei giorni indimenticabili vissuti accanto a loro. Furono loro a insegnarci che la Costituzione poteva e doveva essere aggiornata. E anche il bicameralismo perfetto poteva esser sostituito da un meccanismo diverso. Ma non come voleva Berlusconi e come Berlusconi vuole ancora oggi e insieme a lui una parte importante di quella che era la sinistra e di quello che era il tuo partito.
Aggiornare, ma non con una imposizione del governo!!! Questo proprio no. Forse su questo punto tu puoi intervenire, ricordando a tutti coloro che fingono di averlo dimenticato quale sia il ruolo del Parlamento in una libera democrazia: quella conquistata per tutti gli italiani settant’anni orsono.

Grazie se mi leggerai,
Sandra Bonsanti.

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