70° ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DELLE FOSSE ARDEATINE

Il 23 marzo 1944, in via Rasella, nel primo pomeriggio, un’esplosione uccide 32 militari del reggimento Bozen che ogni giorno, alla stessa ora, passavano da quella strada. L’attentato viene organizzato da Giorgio Amendola, a capo dei Gruppi di Azione Patriottici di Roma nello stesso giorno dell’anniversario della fondazione dei Fasci di Combattimento.

Nel corso nella giornata gli ufficiali tedeschi decidono che un’ azione di quella portata avrebbe finito per nuocere al Reich. La rappresaglia, comandata dal Feldmaresciallo Albert Kesselring, stabilisce che dieci italiani dovranno perire per ogni tedesco. A stilare l’elenco delle vittime è il tenente colonnello Herbert Kappler: tanti innocenti, detenuti comuni, condannati a morte, ebrei, civili rastrellati con l’aiuto della polizia fascista. E’ il questore Pietro Caruso ad aggiungere altre 50 vittime. Nella notte muore un altro soldato della Bozen, la lista delle vittime si allunga, ne servono altre dieci. Alla fine si giunge al totale di 335 italiani innocenti che dovranno perire in modo inumano, giustiziati con un colpo alla nuca, legati gli uni agli altri in gruppi di cinque. Li fanno scendere nelle gallerie male illuminate, li fanno inginocchiare e sparano. Mentre le prime vittime cadono a terra, quelle successive sono costrette a mettersi in ginocchio sui loro corpi per andare incontro allo stesso destino. E così fino alla fine, quando i cadaveri ammassati sono così tanti che per sparare i soldati tedeschi devono calpestarli. 

E avanti così per ore, dal primo pomeriggio fino a sera.

Per nascondere alla cronaca e alla storia l’eccidio, Priebke e Kappler fanno saltare l’ingresso della cava. E se ne vanno.

La mattina seguente, la notizia della strage sarà data ai romani dalle pagine del Messaggero:

“(….) Il comando germanico ha, perciò, ordinato che, per ogni tedesco ucciso, dieci criminali comunisti badogliani siano fucilati. Quest’ordine è già stato eseguito“. (Il Messaggero, 25 marzo 1944)

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