UN’ EUROPA PIU’ GIUSTA ( E ANTIFASCISTA)

Incontro di antifascisti di Italia, Slovenia, Croazia e Carinzia per un’Europa più giusta

Sabato 8 giugno, a Gorizia, ho collocato un altro importante tassello nel mio sogno (utopia?) di creare nuovi e continuativi rapporti fra partigiani e antifascisti europei. Io vedo, infatti, la necessità di ritrovarsi, prendere posizioni comuni, premere perché l’Europa sia unita, sociale, democratica e antifascista. Non è pensabile di trovarsi tutti insieme (in uno stadio?), in una qualsiasi località europea, per mille ragioni, non esclusa quella economica. Ed allora bisogna procedere per gradi, creando incontri parziali, favorendo e sviluppando i rapporti che, in vari luoghi, si sono creati.

Vedremo poi come trovare collegamenti stabili e duraturi. Ma, intanto, bisogna andare avanti; e fin d’ora informo che altri incontri ci saranno a Bruxelles il 7 luglio e vi parteciperò (un altro tassello!).
Ma per tornare a noi, l’esperienza di Gorizia è stata bellissima: un ‘incontro appassionante tra le associazioni combattentistiche, partigiane, antifasciste di Italia, Slovenia, Croazia e Carinzia. Il Convegno si è svolto presso la sede dell’Università ed è stato affollatissimo, con la
presenza anche di molti studenti (classi superiori di due scuole), che hanno assistito all’incontro con molta attenzione e interesse.

Ci sono state tre relazioni introduttive, sul tema generale “Il fascismo in Europa. L’Europa e il fascismo”; poi, interventi dal pubblico, e infine le conclusioni tratte dai Presidenti delle associazioni della Slovenia, Croazia e da me, nella veste di Presidente dell’Anpi nazionale. Relazioni e interventi di grande interesse e spessore, e conclusioni altrettanto significative. Un’atmosfera molto calda, non di reducismo (anche se non mancavano i ricordi e gli incontri tra “vecchi” combattenti) ma di riflessione e di impegno, nel più vivo e sincero senso di fraternità.

Alla fine, è stato approvato un documento che espone il contenuto del Convegno e l’impegno per il futuro; documento che è stato poi firmato, pubblicamente, dai quattro Presidenti, con la solennità di un atto che non è diretto a chiudere semplicemente un Convegno, ma ad avviare un processo e a definire una prospettiva. Credo che sia opportuno pubblicarlo qui di seguito, perché non si tratta di un atto rituale, ma di
un documento da prendere a base di ulteriori riflessioni e di più ampie iniziative, sul particolare terreno indicato. Ne raccomando la lettura attenta, perché lo considero ricco di contenuti e significati e denso di impegni.

Carlo Smuraglia, presidente nazionale Anpi

 

“Risoluzione delle Associazioni combattentistiche partigiane antifasciste dell’ltalia,

Slovenia, Croazia e della Carinzia austriaca – Gorizia 8 giugno 2013”

Promosso dal Coordinamento regionale dell’ANPI della Regione Friuli Venezia Giulia, si è svolto l’8 giugno 2013 a Gorizia un Convegno Internazionale sul tema: “La crisi dei valori e il neofascismo in Europa”.
Introdotto dalle relazioni di Roberto Galtieri, segretario dell’Associazione Nazionale Partigiani d’ltalia ANPI del Belgio, da Ciril Zlobec della Zveza Združenj Borcev za Vrednote NOB ZZB-NOB della Slovenia, da Ivan Fumi? del Savez Anifašisti?kih Boraca i Antifašista SABA RH della Croazia e da Katja Sturm-Schnabl, Presidente della Zveza Koroških Partizanov-Verband Der Kärntner Parttsanen ZKP-VKP della Carinzia, è stato concluso dopo approfondito dibattito dai Presidenti delle Associazioni Nazionali antifasciste, Carlo Smuraglia per I’ANPI, Janez Stanovnik per la ZZB-NOB della Slovenia e Ratko Mari?i? per la SABA RH della Croazia con I’approvazione del seguente documento.
L’ANPI, ZZB NOB, SABA RH e la ZKP-VKP, rappresentanti dei combattenti nella seconda guerra mondiale per la liberazione dei loro popoli e dell’Europa dalla oppressione nazista e fascista, richiamano I’attenzione delle forze democratiche europee sui pericoli e sui rischi che I’Europa corre per la regressione dei valori di democrazia, libertà e giustizia sociale per i quali furono fatti tanti sacrifici nella lotta contro il nazifascismo.
Questi valori, comuni ai popoli che si opposero con la resistenza e la guerra di liberazione al nazifascismo, costituivano il seme e la consapevolezza da cui nacque quel grande moto popolare europeo che attraverso menti illuminate e lungimiranti seppe individuare le basi per avviare il percorso verso un’Europa democratica e libera, basata sulla solidarietà, sull’uguaglianza, sulla pari dignità di ogni cittadino.
Questo processo nel quale sono oggi impegnati già 27 Paesi e con il primo luglio, con I’adesione della Croazia, saranno 28, è stato avviato ma deve ancora completarsi per superare I’attuale sistema politico basato quasi esclusivamente sulla cooperazione economica, monetaria e del libero mercato e per arrivare ad un’entità europea democratica di unione politica, sociale e culturale.
La crisi economica, generata dal sistema bancario fuori controllo e dalla speculazione finanziaria sta scaricando il suo costo intollerabile in grandissima parte sui ceti più deboli. Vengono colpiti in primo luogo il lavoro in particolare il lavoro giovanile, quello femminile e le tutele sociali. Si estendono le aree della disoccupazione e della povertà e aumentano le profonde ingiustizie sociali e la redistribuzione della ricchezza è clamorosamente iniqua.
La difficoltà del potere politico di regolamentare i processi economici e finanziari responsabili della crisi e la politica europea di solo rigore monetario e di pareggio dei bilanci si rivelano impotenti a risolvere il problema essenziale della crescita, al contrario, senza tener conto delle ripercussioni sociali della crisi, accrescono i disagi, I’euroscetticismo e la protesta dei cittadini.
In questo contesto nascono e crescono le comprensibili e giustificate proteste popolari che in assenza di soluzioni e in mancanza di adeguate politiche sociali possono sconfinare in fenomeni inquietanti e approdare, come già sta avvenendo, ad organizzazioni e formazioni politiche nazionaliste, xenofobe, populiste, razziste e fasciste.
Anche i Governi nazionali di alcuni Paesi, sfruttando il malcontento e in nome della “sovranità nazionale” assumono comportamenti in contrasto ai princìpi democratici essenziali, peraltro previsti dai Trattati dell’UE, princìpi che permettono loro la permanenza nella UE stessa.
Come la storia insegna, I’insufficiente risposta politica e il crescente malessere sociale, possono portare a svolte autoritarie come nel passato fu I’affermazione del nazismo e del fascismo. L’Europa deve fare una svolta verso un’unione politica, sociale e culturale, deve garantire soprattutto la giustizia sociale e i diritti dei cittadini, deve combattere i nazionalismi, i populismi e ogni forma di discriminazione e deve combattere le nuove forme di fascismo. In questo impegno noi le saremo vicini, forti dei valori che abbiamo acquisito nella resistenza e nella guerra di liberazione dall’oppressione nazifascista, valori che continuiamo a custodire gelosamente.

Per l’Associazione Nazionale Partigiani d’ltalia ANPI
Il Presidente Carlo Smuraglia

Per la Zveza Združenj Borcev za vrednote NOB ZZB-NOB della Slovenia
Il Presidente Janez Stanovnik

Per il Savez Anifašisti?kih Boraca i Antifašista SABA RH detla Croazia
Il Presidente Ratko Mari?i?

Per la Zveza Koroških Partizanov-Verband Der Kärntner Partisanen ZKP-VKP della Carinzia austriaca

Il Presidente Katja Sturm-Schnabl

BUON COMPLEANNO REFERENDUM!!

12 E 13 GIUGNO 2013

A DUE ANNI DALLA VITTORIA REFENDARIA LA LOTTA CONTINUA!!

Il 12 e 13 Giugno 2011, dopo molti anni, i referendum hanno di nuovo raggiunto il quorum e sono tornati ad essere lo strumento di democrazia diretta che la Costituzione garantisce. La maggioranza assoluta delle italiane e degli italiani si è espresso a favore della fuoriuscita dell’acqua e dei servizi pubblici locali da una logica di mercato e di profitto.

Le iniziative messe in campo in questi due anni per l’attuazione dei referendum, a partire dalla Campagna di Obbedienza Civile, passando per le manifestazioni nazionali del 26 novembre 2011, quella del 2 giugno e del 15 dicembre 2012, per finire ai diversi percorsi di ripubblicizzazione aperti nei territori, oltre al fatto che la lotta per l’acqua si è sempre più intrecciata con le altre vertenze per la difesa dei beni comuni e contro le speculazioni, dimostrano la persistenza del movimento dell’acqua e le ragioni profonde che hanno portato alla vittoria refendaria del 2011. Il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua da sempre sostiene che il rispetto dell’esito referendario non può essere in nessun caso considerata mero adempimento tecnico, bensì elemento sostanziale di rispetto del voto democratico della maggioranza assoluta del popolo italiano. Per questo continua la sua mobilitazione per la piena attuazione del risultato referendario. L’invito a tutte e tutti è quello di partecipare alle iniziative in programma in occasione del 2° anniversario dei referendum e alle attività dei comitati territoriali, perchè oggi ancor più di ieri, si scrive acqua e si legge democrazia!

per il compleanno dei referendum fai un regalo all’acqua: attivati!!

 Se non l’hai già fatto, firma per il referendum!!

http://www.acquapubblica.eu/

L’acqua è un bene comune, non una merce ! Esortiamo la Commissione europea a proporre una normativa che sancisca il diritto umano universale all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari, come riconosciuto dalle Nazioni Unite, e promuova l’erogazione di servizi idrici e igienico-sanitari in quanto servizi pubblici fondamentali per tutti. La legislazione dell’Unione europea deve imporre ai governi di garantire e fornire a tutti i cittadini, in misura sufficiente, acqua potabile e servizi igienico-sanitari

SMURAGLIA SUL SEMI-PRESIDENZIALISMO

Smuraglia: semipresidenzialismo? Ma la priorità non era la riforma elettorale?

Qui di seguito l’intervista al presidente nazionale dell’Anpi, Carlo Smuraglia, pubblicata oggi 7 giugno, sull’Unità.

Professor Smuraglia la convince l’iter di revisione costituzionale con comitato di esperti e commissione dei 40?
«Sono contrario a questa procedura. Perché la Costituzione parla chiaro con l’articolo 138. Esso riguarda singole leggi da cambiare e non un intero processo costituente come quello che si vuole. E per le singole leggi ci sono le apposite commissioni. Il rischio è quello di mettere in mora l’intera Carta, con una deroga all’articolo 138, che prevede ampie maggioranze, referendum e doppia lettura: vera e propria clausola di salvaguardia concepita dai Costituenti. Che andrebbe rafforzata prevedendo referendum anche in caso di maggioranze non dei due terzi».

Si dice: si tratta di mutare solo la seconda parte della Carta e non i principi fondamentali. Il semipresidenzialismo mette a rischio anche i principi base?
«Certo, si aprirebbe un cantiere che finirebbe per investire anche la prima parte della Carta, perché tutto si tiene in essa. E una repubblica non più parlamentare mette in questione la lettera e lo spirito di questa Costituzione. Generando così forti incoerenze tra prima e seconda parte di essa. Altro è la giusta manutenzione di aspetti non più sostenibili. Penso al bicameralismo perfetto, da sostituire con la specializzazione dei compiti o con la creazione di un Senato federale. E alla riduzione del numero dei parlamentari».

C’è stata un’ «accelerazione» sul tema semipresidenziale e la destra festeggia…
«Accelerazione che non comprendo. Le priorità sono altre a cominciare dalla legge elettorale e dalla grave crisi economica. Il semipresidenzialismo non è il diavolo, ma torno a dire: andrebbe riscritto tutto l’ordinamento costituzionale. Oggi il Presidente in quanto figura di garanzia presiede il Csm ed è l’apice delle forze armate. Con il nuovo sistema dovremmo lasciare queste funzioni a un Presidente eletto solo da una parte? In realtà siamo dinanzi a una sindrome: i torti della politica vengono scaricati sulle istituzioni, col miraggio di esecutivi forti. Ma è la politica che va riformata. Ciò che è accaduto alle ultime elezioni è dipeso dalla frammentazione e dalla crisi di identità dei partiti».

Cosa teme con l’elezione diretta di un Presidente che presiede il Consiglio dei Ministri?
«I poteri di un uomo solo al comando. E la diffusione di uno stile di governo che ha già dato cattiva prova con i cosiddetti governatori regionali, talora fonte di sprechi e arbitrii e soprattutto causa di svilimento del ruolo dei Consigli regionali. Inoltre c’è il punto del conflitto di interessi. Non possiamo rischiare di consegnare il Quirinale a qualcuno in posizione dominante nei media o in altri rami dell’economia. E non possiamo rinunciare, nella gravissima crisi che schiaccia il paese, al ruolo di salvaguardia e di controllo del Parlamento».

I partiti possono ancora esercitare un ruolo creativo e di argine?
«Sì, purché si autoriformino. Essi concorrono al bene pubblico ed è giusto finanziarli, in misura adeguata e senza eccessi. È dirimente che abbiano statuti democratici e siano sottoposti a controlli stringenti su regole e bilanci».

Torniamo al Presidente eletto. Alle varie obiezioni non si può aggiungere quella di essere un sistema scisso tra due possibili diverse maggioranze oppure troppo coeso, e con maggioranze totalizzanti?
«Sono problemi innegabili e che andrebbero visti caso per caso e nei singoli contesti storici. In Francia il sistema ha prevalso per la dirompente crisi algerina che ha spinto la Francia sull’orlo della guerra civile e per il ruolo carismatico di De Gaulle. Ma non possiamo dire che abbia sempre funzionato e al punto tale da doverlo imitare e trapiantare in Italia. Al contrario, proprio l’indebolimento dei poteri di controllo e delle garanzie potrebbe renderci inermi dinanzi alla criminalità organizzata e alle lobby. Né si può dire che una spinta presidenziale potrebbe migliorare la burocrazia. La macchina pubblica va riformata con semplificazioni e controlli di efficienza. Non con impulsi carismatici dall’alto. Ma a questo punto però faccio io una domanda: che fine ha fatto la legge elettorale? Era stato detto che era quella la priorità. Poi si è fatto il contrario e la si è messa in coda all’agenda»

Lei come spiega questo capovolgimento?
«Forse pensano di allungare la vita al governo e cosi di rafforzarlo. Invece potrebbe essere il contrario. Una intera riforma Costituzionale, oltre che non corretta per ciò che abbiamo detto rischia di essere una mina in quest’emergenza sociale».

E al Pd, che ha reincluso il semipresidenzialismo nella sua discussione, cosa consiglia?
«Non voglio intromettermi nella vita del Pd. Però la questione è molto seria e la responsabilità dei pericoli che corriamo è un po’ di tutti. Al Pd direi: pensate bene a quel che fate e a quali sono le vere priorità del paese. E soprattutto cercate di coinvolgere il maggior numero di persone in questa discussione».

link permanente a questa pagina: http://anpi.it/a952/

FRANCO GALLO SULLA INCOSTITUZIONALITA’

Il Presidente della Corte Costituzionale FRANCO GALLO dichiara che l’attuale legge elettorale “è un sistema che per alcuni aspetti, come il premio di maggioranza, è sospettato di incostituzionalità”.

E allora viene da farsi domande scomode.

Roba del tipo: “Ma se lo dice Gallo, lo ripete la corte di Cassazione, e lo affermano senza se e senza ma quasi tutti i leader politici (e pure Napolitano), come può un Parlamento eletto su queste basi, mettere mano alla Costituzione? Davvero novecento e passa nominati in virtù del Porcellum possono discutere di presidenzialismo e ribaltare in 18 mesi la carta fondamentale dello Stato?”

RODOTA’ SUL PERICOLO DI STRAVOLGIMENTO DELLA COSTITUZIONE

GLI APPRENDISTI STREGONI DEL PRESIDENZIALISMO

Come nei primi anni Novanta sembra tornare oggi il tempo di una ingegneria costituzionale che appare ignara del contesto in cui la riforma delle istituzioni dovrebbe funzionare. Che cosa diranno gli odierni sostenitori di variegate forme di presidenzialismo quando il “leaderismo carismatico” renderà palesi le sue conseguenze accentratrici, oligarchiche, autoritarie?

di Stefano Rodotà, da Repubblica, 7 giugno 2013

Nel tempo ingannevole della “pacificazione”, il conflitto giunge nel cuore del sistema e mette in discussione la stessa Costituzione. Una politica debole, da anni incapace di riflettere sulla propria crisi, compie una pericolosa opera di rimozione e imputa tutte le attuali difficoltà al testo costituzionale. Le forze presenti in Parlamento non ce la fanno a sciogliere i nodi tutti politici che hanno reso impossibile una decisione sull’elezione del Presidente della Repubblica? Colpa della Costituzione. “Je suis tombé par terre, c’est la faute à Voltaire”.

Imboccando questa strada, non si dedica la minima attenzione all’esperienza degli anni passati, alle manipolazioni istituzionali che, sbandierate come la soluzione d’ogni male, hanno aggravato i problemi che dicevano di voler risolvere, rendendo così la crisi sempre più aggrovigliata. Ho davanti a me le dichiarazioni di politici e commentatori, i saggi e i libri di politologi che, all’indomani della riforma elettorale del 1993, sostenevano che l’instaurato bipolarismo, con l’alternanza nel governo, avrebbe assicurato assoluta stabilità governativa, cancellato le pessime abitudini della Prima Repubblica con i suoi vertici di maggioranza e giochi di correnti, eliminato la corruzione. E tutto questo avveniva in un clima che svalutava la funzione rappresentativa delle Camere, attribuendo alle elezioni sostanzialmente la funzione di investire un governo e accentuando così la personalizzazione della politica e le inevitabili derive populiste.

Sappiamo come è andata a finire. E gli autori e i fautori di quella riforma oggi si limitano a lamentare il bipolarismo “rissoso” o “conflittuale”, senza un filo non dirò di autocritica, parola impropria, ma neppure di analisi seria e responsabile di quel che è accaduto. Eppure quel rischio era stato segnalato proprio nel momento in cui si imboccava la via referendaria alla riforma, suggerendo altre soluzioni. Ma non si volle riflettere intorno all’ambiente politico e istituzionale in cui quella riforma veniva calata, sulla dissoluzione in corso del vecchio sistema dei partiti e sulla inevitabile conflittualità che sarebbe derivata da una riforma che, invece di accompagnare una transizione difficile, esasperava proprio la logica del conflitto.

Oggi sembra tornare il tempo degli apprendisti stregoni e di una ingegneria costituzionale che, di nuovo, appare ignara del contesto in cui la riforma dovrebbe funzionare. Che cosa diranno gli odierni sostenitori di variegate forme di presidenzialismo quando, in un domani non troppo lontano, il “leaderismo carismatico” renderà palesi le sue conseguenze accentratrici, oligarchiche, autoritarie? Diranno che si trattava di effetti inattesi?

Questo ci porta al modo in cui si è voluto strutturare il processo di riforma. Si è abbandonata la procedura prevista dall’articolo 138 per la revisione costituzionale, norma di garanzia che dovrebbe sempre essere tenuta ferma proprio per evitare che la Costituzione possa essere cambiata per esigenze congiunturali e strumentali. Compaiono nuovi soggetti – una supercommissione parlamentare e una incredibile e pletorica commissione di esperti, con componenti a pieno titolo e “relatori”. Il Parlamento viene ritenuto inidoneo per affrontare il tema della riforma e così, consapevoli o meno, si è imboccata una strada tortuosa che finisce con il configurare una sorta di potere “costituente”, del tutto estraneo alla logica della revisione costituzionale, concepita e regolata come parte del sistema “costituito”. Sono rivelatrici le parole adoperate nella risoluzione parlamentare: “una procedura straordinaria di revisione costituzionale”. L’abbandono della linea indicata dalla Costituzione è dunque dichiarato.

Si entra così in una dimensione di dichiarata “discontinuità”, che apre ulteriori questioni. Quando si incide profondamente sulla forma di governo, come si dichiara di voler fare, si finisce con l’incidere anche sulla forma di Stato, come hanno messo in evidenza molti studiosi del diritto costituzionale. E, di fronte alla modifica della forma di governo e di Stato, si può porre un altro interrogativo. Queste modifiche sono compatibili con l’articolo 139 della Costituzione, dove si stabilisce che “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”? Originata dalla volontà di impedire una restaurazione monarchica, questa norma è stata poi letta per definire quali siano gli elementi costitutivi della forma repubblicana così come è stata disegnata dall’insieme del testo costituzionale. Ne conseguirebbe che la modifica o l’eliminazione di uno di questi elementi sarebbe preclusa alla stessa revisione costituzionale. Sono nodi problematici, certamente. Che, tuttavia, non possono essere ignorati nel momento in cui si vuole intervenire sulla Costituzione abbandonando il modello di democrazia rappresentativa intorno al quale è stata costruita.

Ha osservato giustamente Gustavo Zagrebelsky che l’introduzione del presidenzialismo nel nostro paese “si risolverebbe in una misura non democratica, ma oligarchica. L’investitura d’un uomo solo al potere non è precisamente l’idea di una democrazia partecipativa che sta scritta nella Costituzione”. Il riferimento al “nostro paese” risponde proprio a quella necessità di valutare ogni riforma costituzionale nel contesto in cui è destinata ad operare. Sì che ha poco senso l’obiezione che il semipresidenzialismo, ad esempio, è adottato in un paese sicuramente democratico come la Francia. Questa obiezione, anzi, obbliga a riflettere sul fatto che la compatibilità di quel sistema con la democrazia è strettamente legata a un dato istituzionale – l’assenza in Francia di gravi fattori distorsivi, come il conflitto d’interessi o il controllo di una parte rilevantissima del sistema dei media; e a un dato politico — il rifiuto di usare il partito di Le Pen come stampella di uno dei due schieramenti in campo, mentre in Italia pure la destra estrema è stata arruolata sotto le bandiere di una coalizione pur di vincere.

Più sostanziale, tuttavia, è la contraddizione con il modello della democrazia partecipativa. Proprio nel momento in cui la necessità di questo modello si manifesta prepotentemente per le richieste dei cittadini e il mutamento continuo dello scenario tecnologico, finisce con l’apparire una pulsione suicida l’allontanarsi da esso, con evidenti effetti di delegittimazione ulteriore delle istituzioni e di conflitti che tutto ciò comporterebbe. Una revisione condotta secondo la logica costituzionale, e non contro di essa, esige proprio la valorizzazione di tutti gli strumenti della democrazia partecipativa già presenti nella Costituzione, tirando un filo che va dai referendum alle petizioni, alle proposte di legge di iniziativa popolare. Le proposte già ci sono, per quelle sull’iniziativa legislativa popolare basta una modifica dei regolamenti parlamentari, e questo aprirebbe canali di comunicazione con i cittadini dai quali la stessa democrazia rappresentativa si gioverebbe grandemente. Altrettanto chiare sono le proposte sulla riduzione del numero dei parlamentari, sul superamento del bicameralismo paritario, su forme ragionevoli di rafforzamento della stabilità del governo attraverso strumenti come la sfiducia costruttiva. Si tratta di proposte largamente condivise, che potrebbero essere rapidamente approvate con benefici per l’efficienza del sistema senza curvature autoritarie. E che potrebbero essere affidate a singoli provvedimenti di riforma, senza ricorrere ad un unico “pacchetto” di riforme, più farraginoso per l’approvazione e che distorcerebbe il referendum popolare al quale la riforma dovrà essere sottoposta, che esige quesiti chiari e omogenei.

Vi è, dunque, un’altra linea di riforma istituzionale, sulla quale varrà la pena di insistere e già raccoglie un consenso vastissimo tra i cittadini, alla quale bisognerà offrire la possibilità di manifestarsi pienamente. Solo così potrà consolidarsi quella cultura costituzionale che oggi manca, ma che è assolutamente indispensabile, “capace di adeguare la Costituzione ma soprattutto di rispettarla”, come ha sottolineato opportunamente Ezio Mauro.

da MICROMEGA (7 giugno 2013)

http://temi.repubblica.it/micromega-online/gli-apprendisti-stregoni-del-presidenzialismo-2/


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