SMURAGLIA: ANALISI SUL VOTO

Smuraglia: situazone politica a rischio ingovernabilità

Qui di seguito il commento di Carlo Smuraglia, presidente nazionale Anpi sul risultato elettorale del 24 e 25 febbraio.


Avevo espresso soddisfazione per la fine di una campagna elettorale deludente e noiosa; e concludevo esprimendo la speranza di una “svolta”, di cui il Paese ha bisogno.

La svolta c’è stata, ma anche a causa di una legge elettorale perversa, e nonostante alcuni aspetti meritevoli di interesse ed attenzione, stenterei alquanto a definirla come positiva.

Non è qui il caso di analizzare i risultati del voto, anche perché non è un compito che spetta a noi. Possiamo esprimere solo alcune valutazioni complessive, di carattere generale, rilevando che: i maggiori partiti, quale che sia stato il risultato finale, hanno perduto in modo differenziato milioni di voti; la nuova formazione guidata da Monti non ha sfondato; il movimento di Ingroia non ha superato nemmeno la soglia per entrare in Parlamento; c’è stata una forte crescita del movimento di Grillo. Il quadro finale si può sintetizzare in un rischio: quello dell’ingovernabilità.

A che cosa sia dovuto questo tsunami, è facilmente individuabile, al di là delle mille dissertazioni ed analisi che si stanno svolgendo sul tema. Il Paese  è percorso da un desiderio di cambiamento, è tormentato dalla situazione economica e sociale, che ha assunto connotati di particolare gravità, e va alla ricerca di soluzioni chiare, soprattutto quando riguardano la contestazione di ciò che si è fatto finora, con risultati più che deludenti, anche se poi sono incerte e complesse le previsioni per quanto riguarda il futuro.

Di questi umori è evidente che lo stesso centro-sinistra non è riuscito a coglierne se non una parte,  piuttosto limitata, mentre il centro-destra ha continuato sulla via delle promesse e dei discorsi diretti più alla pancia che alla ragione.

Logico che l’indignazione, la protesta, le contestazioni siano state raccolte principalmente da chi su questo basava la sua campagna e il suo impegno, con alcuni aspetti positivi (alcune delle contestazioni e delle proposte di cambiamento sono condivisibili e certamente condivise  anche a sinistra) ed altri negativi (il modo di presentarsi del “capo”, spesso incline addirittura alla volgarità, la concezione della democrazia rappresentativa, la mancanza di una vera progettualità, l’ambiguità su alcuni temi di fondo, di cui abbiamo avuto più volte occasione di parlare, la proposta di abolire i sindacati, il referendum sul ritorno alla lira, e così via). Peraltro, si possono criticare questi aspetti negativi, ma non si può ignorare o sottovalutare ciò che significa un successo elettorale di quel genere. Non c’è nulla da demonizzare, dunque; c’è, invece, da capire che cosa non ha funzionato, nel sistema democratico, e che cosa va davvero e prontamente messo in campo, superando il rischio della ingovernabilità.

Su questo è bene che i partiti riflettano, e in particolare rifletta a fondo il partito che, almeno alla Camera, ha ottenuto il maggior numero di consensi, assumendo quindi una particolare responsabilità. Non si tratta di favorire un clima di resa dei conti, anche se una riflessione autocritica è necessaria; ma piuttosto di trovare soluzioni che giovino al Paese, avviando nel contempo una stagione divero cambiamento.

Una stagione che, per la verità, è in qualche modo cominciata: c’è un Parlamento in gran parte rinnovato, ci sono più donne e più giovani del passato; e c’è un fenomeno nuovo che costringe tutti a riflettere ed a guardare attentamente a ciò che siamo ed a ciò che dovremmo essere.

Certo, ho parlato solo dell’avvio di una stagione nuova, perché in realtà, in Parlamento, ci sono ancora troppi “relitti”, troppi soggetti che hanno a che fare con la giustizia e troppi personaggi strettamente legati al passato.

Il ricambio va fatto con coerenza e serietà, facendo largo alle nuove generazioni, ma garantendo la qualità e conservando il valore dell’esperienza. Sotto questo profilo, il fatto che alcuni partiti abbiano rinnovato ben poco, non abbiano neppure fatto le primarie (oppure le abbiano fatte in un modo che è tutt’altro che democratico), accompagnandosi alla pessima legge elettorale che non si è voluto cambiare, pesa negativamente sull’insieme della situazione e non aiuta a ricreare un rapporto di fiducia nei cittadini.

Occorrerà, dunque, che il Governo che si formerà (almeno lo spero) nel prossimo periodo, su basi serie e coerenti e non su impossibili ed inaccettabili connubi con chi reca le maggiori responsabilità della degenerazione del Paese, adotti alcuni provvedimenti urgenti che vadano nella direzione per la quale si sono espressi tanti cittadini (ad esempio, modificare questa legge elettorale, fare una legge vera contro la corruzione, ripristinare la norma sul falso in bilancio, prendere in seria considerazione il tema del reddito minimo garantito, reperendo, ovviamente, i fondi necessari, rilanciare le attività produttive per favorire l’incremento della occupazione e al tempo stesso dei consumi e così via).
Noi dovremo ribadire, ancora una volta, che i valori a cui ispirarsi sono sempre e solo quelli costituzionali, intesi correttamente e senza deviazioni; e dovremo sottolineare il fatto che la democrazia rappresentativa è un cardine fondamentale del sistema, da cui non si può prescindere e che anzi bisogna valorizzare. Una democrazia che deve essere fatta di partecipazione, di divisione dei poteri, di rispetto delle regole da parte di tutti, a cominciare da coloro che rivestono cariche pubbliche. Una democrazia in grado di respingere ogni tentazione populistica ed autoritaria e di sbarrare la strada ad ogni sogno revisionista o nostalgico, improponibile sempre, ma più che mai in un momento in cui è necessario e obbligatorio proiettarsi verso un futuro migliore.

In questo contesto, cosa dobbiamo fare noi è piuttosto chiaro. Dobbiamo, come sempre, esercitare la funzione di coscienza critica e quindi dire la nostra, con chiarezza, ai partiti che stentano a rinnovarsi ed  a riprendere il ruolo che loro assegna la Costituzione, ai movimenti che credono che la protesta e l’indignazione  siano sufficienti per uscire dalla grave crisi economica, politica e morale in cui versa il Paese, ai cittadini che non vanno a votare oppure votano per sensazioni e non sulla base di un ragionamento informato.

E dobbiamo dire la nostra, con forza, anche a fronte di alcune tematiche che riemergono continuamente.

La prima è quella del cambiamento, chiarendo che non si tratta solo di una questione generazionale (che pure esiste, con evidenza, ma va risolta con ragionevolezza, cercando di accompagnare la freschezza dell’età con la qualità e l’esperienza) ma di una questione che investe il modo di essere della politica, dei partiti, delle istituzioni, ma anche di una parte saliente della società civile (penso a quegli imprenditori che sono più attenti alla  finanza che all’attività produttiva, penso ai manager privati e pubblici che spesso costano troppo e rendono poco, e non pagano neppure quando cagionano disastri; penso alla stampa ed alla televisione, che non sempre svolgono il proprio ruolo con indipendenza e serietà; penso a chi non adempie alle funzioni pubbliche con disciplina e onore; penso ai cittadini che magari si indignano per le grandi corruzioni, ma poi nel loro piccolo, sono pronti a trasgredire ed a scavalcare le regole, nella vita quotidiana).

La seconda questione è quella della legalità e dell’autonomia e indipendenza della magistratura. Il rispetto delle regole dev’essere posto a fondamento di tutta la convivenza civile; e di esso dev’essere garante il sistema giurisdizionale, che può anche essere criticato, ma va sempre rispettato.  Tira una brutta aria, sotto questo profilo, tant’è che si sentono i dirigenti del Pdl minacciare una grande manifestazione pubblica contro la Magistratura, che si permette – secondo loro – di perseguire anche i potenti, di incriminare soggetti cui si imputa di aver comprato parlamentari, e che è capace, perfino, di voler condurre a termine alcuni processi penali pendenti da tempo contro il capo di una coalizione che, per ciò solo, si vorrebbe indenne da ogni responsabilità, penale e morale.

E’ un fatto di estrema gravità che un imputato, già condannato, indica una manifestazione pubblica contro i suoi giudici, nel giorno stesso in cui devono emettere la sentenza d’appello. Il rispetto dell’autonomia e indipendenza della Magistratura costituisce una base fondamentale della democrazia; pensare di scardinarla è nient’altro che eversione, e come tale essa va denunciata pubblicamente.

Ma ancora: tra i risultati del voto, c’è la conquista della Regione Lombardia da parte di un partito che più volte, in modo diretto o indiretto, ha invocato la secessione (in qualche  modo, è ascrivibile a questo concetto anche l’idea di formare la macroregione del nord). Questo rappresenta un pericolo serio, davanti al quale non sarà inutile appellarsi all’art. 5 della Costituzione, che parla di una Repubblica “una e indivisibile”, pur nel quadro dell’ampio riconoscimento delle autonomie locali.

Infine, qualunque cosa si faccia, bisognerà provvedere e decidere sulla base della chiarezza e della coerenza. In questi primi giorni di discussione, ho sentito parlare anche da qualche esponente della sinistra della riproposizione del presidenzialismo. Ma che senso ha, un discorso del genere ed a quale convenienza risponde, per il Paese e per i cittadini. Mettiamolo dunque da parte e semmai rinforziamo il proposito e l’impegno di non apportare modifiche alla Costituzione, che non siano attese e richieste dalla maggior parte dei cittadini e di cui ci sia effettiva ed assodata necessità. 

Insomma, e per concludere, c’è molto da fare. Si può essere delusi dal risultato delle elezioni, si può essere preoccupati per la governabilità, ma non si può cedere allo scoramento. E’ una parola, questa, che non ha diritto di cittadinanza in un’Associazione che si richiama ai valori ed al coraggio della Resistenza. Semmai, più forte dev’essere l’invito a riflettere e la volontà di ragionare, più profondo il richiamo ai valori costituzionali, più intenso e partecipato il nostro lavoro. Abbiamo avuto tante stagioni difficili e il Paese le ha superate, non solo  con le manifestazioni di piazza, ma anche e soprattutto  con l’impegno, con lo sforzo di capire e di far capire, con l’espressione di una reale volontà  di riscatto, sempre nelsolco profondo e imprescindibile della Costituzione. Altrettanto faremo in questo caso, certo complicato e difficile, ma non insormontabile. Dipende anche da noi, dipende dalla volontà di tanti cittadini che la invocano, se la svolta vera ci sarà e sarà positiva per il Paese e per il suo futuro.

LOMBARDI: POST SUL FASCISMO

La neo-deputata Lombardi ( Movimento 5S) si definisce “allibita” per le polemiche scaturite da un suo commento in internet sul fascismo.

Ma gli allibiti siamo noi, on. Lombardi: allibiti e sconcertati che persone così impreparate come lei possano prendere le redini, sia pure ” a tempore”, dello Stato in un momento così delicato per la nostra democrazia.

La politica è un mestiere difficile, la politica, quella vera, non si improvvisa: per fare buona politica ci vuole studio, serietà, sacrificio e anche tanta esperienza.

IL POST SUL FASCISMO

Ecco la frase dell’ on. Lombardi, apparsa sul suo blog il 21 gennaio:

«Da quello che conosco di Casapound, del fascismo hanno conservato solo la parte folcloristica (se vogliamo dire così), razzista e sprangaiola. Che non comprende l’ideologia del fascismo, che prima che degenerasse aveva una dimensione nazionale di comunità attinta a piene mani dal socialismo, un altissimo senso dello stato e la tutela della famiglia».

MARZO ’43 – TORINO

“Quei giorni del marzo ’43”


Torino / 9 marzo 2013

“Quei giorni del marzo ’43”. Questo il titolo della manifestazione che si svolgerà sabato 9 marzo, alle ore 9.30, al Teatro Carignano di Torino (in piazza Carignano 6).

Con la partecipazione di Piero Fassino, Sindaco di Torino, Claudio Dellavalle, presidente Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea ‘Giorgio Agosti’, Carlo Smuraglia, presidente nazionale ANPI, si svolgerà una tavola rotonda con Susanna Camusso, segretario nazionale Cgil, Raffaele Bonanni, segretario nazionale Cisl, Luigi Angeletti, segretario nazionale Uil.

Conduce Gad Lerner giornalista e scrittore.

Nel corso della manifestazione sarà proiettato un filmato realizzato da Rai Storia.

Il gruppo Le Primule Rosse presenterà una antologia di brani musicali tratti dalla storia del Movimento operaio.

Info: cerimonialegabinettosindaco@comune.torino.it oppure tel. 011 4422254

70 ANNI DA QUEI GIORNI

GLI SCIOPERI DEL MARZO 1943


Tra il 5 e il 17 marzo 1943, le fabbriche torinesi sono bloccate da una protesta che coinvolge 100.000 operai. Dietro alle rivendicazioni economiche, le agitazioni hanno un chiaro intento politico e cioè la fine della guerra e il crollo del fascismo. Un’ondata che da Torino si estende alle principali fabbriche del Nord Italia.

Ma con gli scioperi del marzo 1943, succede qualcosa di nuovo in Italia: in pochi giorni, dopo il via dato da Torino, nel triangolo industriale trecentomila operai scendono in lotta e questa assume, dalle AIpi alle pianure pugliesi, un significato politico enorme e immediato: giornate del marzo 1943 rappresentano una svolta, poiché dietro alle richieste economiche si cela una precisa volontà politica, e cioè la fine della guerra e il crollo del fascismo.

Come reagì a questo duro colpo la dittatura ormai a brandelli? Rifiutando di trattare e nello stesso tempo cercando di minimizzare gli avvenimenti. Mussolini, parlando al direttorio del partito fascista, disse: “dichiaro nella maniera più esplicita che non darò neppure un centesimo. Noi non siamo lo Stato liberale che si fa ricattare da una fermata di un’ora di lavoro in un’officina”. Altro che un’ora e altro che un’officina! Gli scioperi non solo durarono per tutto il mese estendendosi da Torino a tutto il nord, ma furono anche l’inizio di un movimento sindacale-politico costantemente presente poi nella lotta antifascista, malgrado gli altissimi costi in vite umane, in carcere, in violenze, che tutto questo doveva comportare.

Secondo i documenti della direzione generale di pubblica sicurezza ne!l’anno che va dall’aprile ’42 all’aprile ’43 vennero arrestati 2.600 lavoratori dei quali oltre 300 furono trascinati davanti ai tribunali speciali. Da un quinto a un terzo degli arrestati erano già schedati come appartenenti a organizzazioni antifasciste, gli altri (fra i quali moltissime donne) entravano per la prima volta nella lotta, senza specificazione di partito.

Gli scioperi del marzo ’43 (fra l’altro conclusi non solo con un grande successo politico — del quale subito si sentiranno le conseguenze — ma anche con esito positivo dal punto di vista economico) hanno infine un grande rilievo nella storia dell’unità dei lavoratori. Essi ne esprimono infatti la resurrezione come massa dopo più di venti anni di feroce oppressione di classe (che aveva appunto nella liquidazione dei sindacati e nella repressione di qualunque attività rivendicativa il suo primo obiettivo) e pongono le basi di una unità nuova delle grandi correnti sindacali storiche che già avevano guidato i lavoratori fino alla dittatura e poi anche nella clandestinità. Questa unità sarà poi sancita dal Patto di Roma dell’anno dopo, il patto che diede vita alla CGIL di Di Vittorio, Grandi e Buozzi.

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