LO SCIOPERO DELL ‘OMITA

ALBATE, 29 MARZO 1943


LO SCIOPERO DELL’ OMITA

“Alle ore 10 del 29 marzo 1943, appena cessato il suono della sirena, una sessantina di operai, su 270 presenti, hanno cessato il lavoro, riversandosi nel cortiletto che univa i due capannoni della fabbrica.

Al capotecnico e direttore del personale sig. Greco e al direttore generale ing. Scolari, gli operai avanzarono una richiesta di aumento salariale del 70%, motivando che, essendo introvabili i viveri, essi dovevano necessariamente ricorrere al mercato nero, i cui prezzi erano però proibitivi.

Queste richieste venivano ribadite anche al vice federale Rodini, subito accorso in Albate.

L’interruzione del lavoro, durata circa 30 minuti, non ha dato luogo ad incidenti”.

La modalità dello sciopero ricalca quello del 5 marzo 1943 ad opera dei lavoratori della Fiat Mirafiori di Torino, e le rivendicazioni salariali dimostrano che gli operai di Albate erano ben informati sulle lotte che si erano sviluppate.

Da una lettera inviata il giorno seguente al federale Casagrandi, l’organizzazione dello sciopero dell’ OMITA sarebbe da imputarsi ad un gruppo di comunisti guidati da Mario Ceruti, ex confinato politico. L’esempio delle lotte nelle grandi città industriali insegna ai lavoratori comaschi che anche nelle loro fabbriche si può cominciare a protestare, unendo agli obiettivi generali degli aumenti salariali anche quelli specifici delle inadempienze contrattuali.

Il sabato precedente, 27 marzo, era stato arbitrariamente esteso all’ OMITA il sistema del cottimo a tempo in tutti i reparti. E’ questa la causa scatenante che induce i lavoratori all’azione il lunedì seguente. Questi operai avevano la qualifica di manovali pur svolgendo mansioni da specializzati e il loro compenso era fermo ai minimi contrattuali da ben quattro anni. Il lavoro era inoltre scandito da una dura disciplina, regolata a suon di multe dall’ufficiale di sorveglianza , capitano Cinquini e dal capo officina Greco, che nel partito fascista ricopriva anche la carica di “ consultore del rione”, vale a dire che oltre alla sorveglianza sul luogo di lavoro univa la sorveglianza del quartiere.

Sarà proprio Greco che, convocato dall’ispettore federale del PNF fornirà i nomi dei tre possibili promotori dell’agitazione: Dante Albonico, Luigi Brenna e Mario Merio, contro i quali verranno organizzate spedizioni punitive, mentre i carabinieri arrestanoper aver preso parte alla sospensione del lavoro e non aver fatto presente alle gerarchie l malcontento e i desiderata il fiduciario di fabbrica Alfonso Arrighi e ilcapo reparto, non iscritto al PNF ed ex sovversivoFederico Camoncini.

Quanto alle rivendicazioni, non furono soddisfatte, anche se il governo fascista, scosso dalla portata degli scioperi, il 2 aprile 1943 emise un comunicato in cui si annunciava che le due confederazioni fasciste stavano elaborando provvedimenti salariali che sarebbero stati elargiti il 21 aprile, ricorrenza del Natale di Roma. ( si trattò di indennità giornaliere di 10 lire agli operai e 15 lire agli impiegati).

Tuttavia, il 1 aprile, “ malgrado la situazione all’interno dello stabilimento sia tornata normale, sono state rilevate sul muro, in prossimità dello stabilimento, le scritte criminose: MORTE AL DUCE – VIVA LO SCIOPERO E CHI LO FANNO

Tratto da ” La calma apparente del lago”, di Vittorio Roncacci.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi