TERESIO OLIVELLI 7 GENNAIO 1916 – 17 GENNAIO 1945

Teresio Olivelli

Nato a Bellagio il 7 gennaio 1916, di carattere ardente, generoso e impetuoso, Teresio Olivelli frequenta le prime classi elementari a Bellagio e sucessivamente a Zeme (PV), dove la famiglia ritorna nella casa paterna, ma rimane sempre legato al suo Lario, dove trascorre le vacanze estive in casa dell’amatissimo zio, parroco di Tremezzo. Dopo il Ginnasio a Mortara (PV) e il Liceo a Vigevano, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pavia, come alunno del prestigioso collegio Ghislieri.

Laureatosi nel novembre 1938, si trasferisce all’Università di Torino come assistente della cattedra di diritto amministrativo. Inizia una stagione di intenso impegno socio-culturale, caratterizzato dallo sforzo di inserirsi criticamente all’interno del fascismo, con il proposito di influirne la dottrina e la prassi, mediante la forza delle proprie idee ispirate alla fede cristiana. Questo tentativo di “plasmare” il fascismo è finalizzato unicamente ad affrontare un’emergenza: la costruzione di una società migliore. Vince pure i littoriali del 1939, sostenendo la tesi che fonda la pari dignità della persona umana, a prescindere dalla razza.

Chiamato a Roma presso l’Istituto Nazionale di studi e di ricerca, diviene segretario dell’Istituto di Cultura fascista, dove opera effettivamente per otto mesi. Due soggiorni in Germania basteranno a far nascere in lui le prime diffidenze verso il Regime. Nonostante ciò, allo scoppio della guerra, decide di partire per il servizio militare. E’ in corso una guerra imposta al Paese, il quale deve subire; Teresio Olivelli non vuole considerare dall’alto di un ufficio e con distacco la maturazione degli eventi, ma desidera inserirsi in essi, con eroica abnegazione. In particolare, è fermamente determinato a stare con i soldati, la parte più esposta e quindi più debole del popolo italiano in lotta.

Nel 1940 è nominato ufficiale degli alpini: come sottotenente di complemento della Divisione “Tridentina”. Olivelli chiede di andare volontario nella guerra di Russia. È pervaso da un’idea dominante: essere presente fra quanti si spingono o sono spinti nell’avventura del dolore e della morte.

Nel vedere gli orrori della ritirata dell’ VIII Armata italiana, Olivelli si fa sempre più critico nei confronti dell’ideologia dominante, vedendone le aberrazioni attuate dalla brutale logica di guerra.

Sopravvissuto alla disastrosa ritirata, mentre tutti fuggono egli si ferma a soccorrere eroicamente i feriti, con personale gravissimo rischio. Tanti alpini rientrati in Italia gli devono la vita.

Nella primavera del 1943, abbandona definitivamente la brillante carriera “romana” e ritorna a dedicarsi all’educazione dei giovani come rettore del collegio Ghislieri, dove aveva studiato, avendo vinto il concorso al quale si era presentato prima di partire per il fronte russo. Ha solo 26 anni, è il più giovane rettore d’Italia.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 Olivelli, che con il 2° Reggimento Artiglieria alpina si trovava di stanza a Vipiteno, è fatto prigioniero dai tedeschi. Rifiutatosi di combattere al fianco dei nazisti, viene arrestato e deportato in Germania. Il 20 ottobre riesce ad evadere dal campo di Markt Pongau e raggiunge Udine dopo una lunga fuga solitaria. Ospitato da un famiglia friulana giusto il tempo di riprendersi, il giovane si inserisce nella Resistenza bresciana., collaborando alla costituzione delle “Fiamme Verdi”, formazioni partigiane di impronta cattolica.

Nel febbraio 1944 fonda il giornale “ Il Ribelle”e, pur nella clandestinità, elabora programmi di ricostituzione della società, dopo la tragedia del fascismo e della guerra.

Nelle pagine del “Ribelle” egli esprime il suo concetto di Resistenza; essa è “rivolta dello spirito” alla tirannide, alla violenza, all’odio; rivolta morale diretta a suscitare nelle coscienze il senso della dignità umana, il gusto della libertà.

Scrive la famosa preghiera “Signore facci liberi”, comunemente detta “Preghiera del ribelle”; in questo testo definisce se stesso e i suoi compagni “ribelli per amore”

Viene arrestato a Milano il 27 aprile 1944. A San Vittore comincia il calvario delle torture, che continuano nel campo di Fossoli.  L’ 11 luglio 1944 il suo nome viene inserito nella lista di 70 prigionieri che devono essere fucilati il giorno successivo, ma anche questa volta Olivelli riesce a fuggire, nascondendosi nei magazzini del campo. Scoperto, dopo diversi tentativi di fuggire da Fossoli ,viene deportato nel campo Bolzano-Gries, e quindi in Germania, a Flossenburg e poi a Hersbruck. Sulla sua casacca viene cucito, insieme al triangolo rosso dei politici, anche il disco rosso cerchiato di bianco dei prigionieri che hanno tentato la fuga, e che quindi devono ricevere un trattamento più duro e spietato, se possibile.

Potrebbe, data la sua conoscenza del tedesco, avere accesso ad un lavoro meno duro, ma ancora una volta il suo desiderio di stare con gli ultimi, di aiutare i più disperati, lo spinge a dare tutto sé stesso per la salvezza degli altri, esercitando il dovere della carità verso il prossimo fino all’eroismo, intervenendo sempre in difesa dei compagni percossi, rinunciando alla razione di cibo in favore dei più deboli e malati.

Resiste coraggiosamente alla repressione nazista, difendendo la dignità e la libertà. Questo atteggiamento suscita nei suoi confronti l’odio dei capi baracca, che di conseguenza gli infliggono dure e continue percosse. Ai primi di gennaio del 1945, intervenuto in difesa di un giovane prigioniero ucraino brutalmente pestato, viene colpito con un violento calcio al ventre, in conseguenza del quale muore il 17 gennaio 1945, a soli 29 anni.

Il suo corpo è bruciato nel forno crematorio di Hersbruck.

LAPIDE DANNEGGIATA A SESTO S.G.

L’Anpi di Milano: no alle provocazioni neofasciste

L’ANPI dice no alle provocazioni neofasciste. Questa in sintesi la presa di posizione dell’Anpi di fronte alle ennesime provocazioni “nere”.

“L’ANPI – ha dichiarato il presidente dell’Anpi milanese, Roberto Cenati – esprime la propria indignazione e la propria ferma condanna del  grave gesto compiuto nella notte tra venerdì e sabato 5 gennaio ai danni della lapide posta in via Guerzoni, dedicata ai  partigiani caduti nella lotta di Liberazione contro il nazifascismo e ai caduti nella difesa della Repubblica spagnola contro il franchismo”.

“Nel pomeriggio di sabato 5 gennaio – ricorda Cenati – è stata danneggiata anche la lapide dedicata ai fratelli Giulio e Mario Casiraghi, situata a Sesto San Giovanni, in via Marconi. Non c’è pace per il monumento sestese, già oggetto di un analogo episodio il 9 ottobre 2012. Queste ennesime provocazioni neofasciste, precedute il 2 dicembre 2012 dall’aggressione di un militante di un centro sociale milanese da parte di un gruppo di naziskin, si inseriscono nel rifiorire a Milano e in Provincia di movimenti neofascisti e neonazisti, con l’apertura di nuove sedi e punti di riferimento”.

“L’ANPI Provinciale di Milano nell’esprimere la propria preoccupazione per il rinnovato manifestarsi di questi movimenti che si pongono in aperto contrasto con i principi e i valori sanciti dalla Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza, sottolinea l’urgenza di un impegno comune delle istituzioni, delle forze preposte alla difesa dell’ordine pubblico, dei partiti, dell’associazionismo democratico, dei cittadini, affinchè queste inaccettabili provocazioni neofasciste abbiano finalmente a cessare e diventino improponibili a Milano e a Sesto San Giovanni, Città Medaglia d’Oro della Resistenza”.

CITTADINANZA AI SENEGALESI FERITI

La Commissione Diritti umani del Senato ha inviato una lettera al Presidente della Repubblica nella quale si chiede la cittadinanza italiana per i tre cittadini senegalesi rimasti feriti il 13 dicembre 2011 a Firenze.

Questo grazie alle nostre firme, che hanno superato quota 14.000!

“La Commissione Diritti umani del Senato – si legge nella lettera inviata al Presidente Napolitano- ha inteso fare proprio il merito della lettera aperta a Lei rivolta, che esprime che ai cittadini senegalesi sopravvissuti al drammatico agguato di Firenze venga riconosciuta la cittadinanza italiana”.

Questo è un riconoscimento molto importante che da forza alla nostra richiesta. Ma solo il Presidente della Repubblica può rilasciare la cittadinanza. Per questo ho bisogno ancora del tuo aiuto: condividi sulla tua bacheca Facebook il link alla petizione.

Il 13 dicembre 2011 a Firenze Modou Samb e Mor Diop vennero assassinati e Sougou Mor, Mbengue Cheike e Moustapha Dieng furono gravemente feriti durante l’attacco armato di un fanatico razzista. Moustapha è tetraplegico e non potrà più essere autosufficiente.

La cittadinanza per i tre feriti è un gesto di solidarietà. Raccogliamo ancora firme, aiutaci condividendo la petizione con i tuoi amici su Facebook cliccando qui.

TIRANNIDE

TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d’impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)

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