24 MARZO – FOSSE ARDEATINE

FOSSE ARDEATINE

In questa paine riproduciamo un documento con la testimonianaza di una teste al processo Kappler, che si concluse con la condanna del tenente colonnello delle SS.

DAL CARCERE ALLE CAVE ARDEATINE
deposizione del teste – Avv. Eleonora Lavagnino

Ventiquattro marzo ore 14. Il III braccio presentava il normale aspetto dell’ora particolarmente tranquilla. I vari servizi erano già stati eseguiti e solo alle 16 sarebbe passata la pulizia del pomeriggio e vi sarebbe stato il movimento di infermeria.
Chiesi ed ottenni di recarmi al gabinetto per il lavaggio delle gavette, concessione questa riservata alle donne secondo gli umori dei posten.
Rimasi al gabinetto per circa un quarto d’ora ed al mio ritorno, nel nel percorrere il ballatoio del primo piano, notai che al piano terreno, innanzi agli uffici, erano stati ammassati una ventina di uomini. Mi soffermai e detti un’occhiata in giro. Tre o quattro coppie di tedeschi muniti di una lunga lista andavano di cella in cella e costringevano gli uomini ad uscire, secondo I’elenco da essi tenuto, ed a scendere in gran fretta al pian terreno, dove venivano allineati. Tali uomini erano senza pacchi, quindi, pensai non poteva trattarsi di una partenza, benché proprio di quei giorni tutti ne aspettassero una.

Avevo frattanto raggiunto le prime celle occupate dalle donne. In una di esse il dott. Luigi Pierantoni, tenente medico, facente parte dell’organizzazione militare del P d A, che, arrestato da circa 40 giorni era riuscito a far organizzare uno speciale servizio di infermeria per i detenuti del III braccio.
Il dott. Pierantoni, accompagnato dall’infermiere tedesco, un certo Willy (anch’esso detenuto per essesi allontanato senza permesso dal posto) e da uno dei posten di servizio era intento a fare una iniezione.Proprio sulla porta della cella rimasta aperta mi incontrai con due agenti della feld polizei i quali con l’elenco in mano richiedevano del Pierantoni.

 A questi non fu concesso terminare la sua opera, ma, preso per un braccio, fu sospinto con l’usuale loss, loss. Benché non eccessivamente pratica, rimasi meravigliata in quanto tali agenti, non facevano parte delle due squadre che abitualmente facevano servizio e che, ad onor del vero, erano relativamente gentili con il dottore. Mi trassi indietro per lasciare passare e cercare di scambiare qualche parola con il Pierantoni. Non mi fu possibile. Solo potei fargli un cenno interrogativo, al che lui rispose con altro cenno per significarmi che nulla sapeva e nulla capiva.

A mia volta fui sospinta verso la mia cella: Komme, komme, loss, loss!. Cercai di andare più lentamente possibile e prima di entrare potei ancora vedere il Pierantoni che si andava a raggiungere al gruppo, fra cui si notava per il suo camice bianco.
Rientrai in cella e rimasi allo spioncino per rendermi conto degli avvenimen- ti che non comprendevo.
Come detto più sopra notai, che non erano i nostri soliti agenti a prelevare i detenuti. I gruppetti di due erano muniti di un lungo elenco, che si doveva ritenere non compilato al carcere, in quanto il prelievo non veniva sistematica- mente eseguita cella per cella ma nominativamente, cosicché in più di una cella si bussava due o tre volte, per chiamare i prescelti.
Così al 288 proprio innanzi a me su quattro detenuti, due aperture di porta e prelievi, al 286 su cinque detenuti, tre aperture e quattro prelievi e così da per tutto.

 Giovani e vecchi, giudicati ed inquisiti, assolti o condannati: non esisteva regola!

Il gruppo nel fondo aumentava.
I tedeschi avevano fatto una sommaria divisione tra gli ebrei e gli ariani. I primi venivano raggruppati tra le scale ed il finestrone, i secondi tra le scale ed il cancello d’ingresso.
Gli animi cominciavano ad essere tesi.
Non si trattava certo di una partenza normale in quanto si negava ai detenuti di portare con sé il corredo personale, le vettovaglie, e gli si impediva persino un minimo di toletta, come quello di infilarsi la giacca o il paletot, ed alcuni venivano sospinti sui ballatoi mentre ancora si allacciavano i calzoni e si ravviavano i capelli con le mani. Non si teneva neppure conto dell’età e dello stato di salute: alla cella 278 erano quattro zoppi tra cui Alberto Fantacone, mutilato di guerra, e tutti e quattro furono fatti scendere ed allineati con gli altri. Il nervosismo cominciava ad impadronirsi del braccio ed uno degli ultimi ad essere tratto da una delle celle dell’ultimo piano fu sospinto per le scale a forza mentre i suoi gridi si propagavano per il braccio.
Erano nel frattempo venute le quattro.
Con l’aiuto di uno specchietto cercavo di rendermi conto di quanto avveniva al gruppo dei politici, troppo lontano da me per osservarli direttamente. II buon Pierantoni si distaccò un momento dalla fila e attraversato rapidamente il corridoio entrò in infermeria per togliersi il camice ed indossare la giacca militare. Più alto della media normale, in divisa e con la barba era facilmente riconoscibile anche in lontananza.

Intanto, nella cella vicino alla mia, la 297, la moglie di Genserico Fonatana aveva ottenuto di uscire un momento e avviatasi sul ballatoio era giunta di fronte ai partenti. Le fu concesso di scambiare qualche cenno con il marito che era allineato con gli altri e poi fu fatta rientrare. Cioò ci rassicurò in parte, perchè le era stato assicurato che essi andavano a lavorare. Fu fatto un primo appello degli ariani, poi l’uffciale delle SS passò a fare l’ appello degli ebrei.

 Come ho detto questi erano proprio sotto la mia cella e quindi potevo osservare lo svolgimento delle cose comodamente. Fatti allineare per tre, fu loro dato qualche comando militare per ottenerne I’allineamento. Erano 66. II più giovane, che faceva parte della famiglia Di Consiglio (7 fucilati)i era stato catturato con gli altri familiari 48 ore prima e la mattina interrogato da una mia amica le aveva detto di avere 14 anni. II più vecchio, canuto ed apparentemente in pessime condizioni di salute, poteva avere circa 80 anni. Tutti parlottavano fra loro e cercavano di costituirsi in gruppi di amici o parenti, per stare vicini nella eventualità di un viaggio. Durante tale parvenza di esercizio militare, uno dei più vecchi si volse a sinistra anziché a destra come era stato dato I’ordine: ciò fece sorridere alcuni tra i suoi compagni, ma tale buon umore fu subito represso dalla SS che percosse con due ceffoni il disgraziato. Fatto I’appello, la SS domandò: Se c’è qualcuno di voi che sia disposto ad eseguire lavori pesanti di sterro e simili, alzi la mano. Vidi gli ebrei guardarsi tra di loro e poi timidamente qualche mano cominciò ad alzarsi. Un mormorio corse tra di loro Lavorare. Qualcuno si fregò le mani. Allora riprese la SS quanti siete disposti a lavorare?. Nuovo movimento tra gli ebrei, e tutte le mani furono in aria. Quindi tutti volete lavorare? Bene! lo faccio un nuovo appello, se qualche d’uno non è stato chiamato esca dalla fila. Fu rifatto I’appello il piccolo Di Consiglio non fu chiamato, fatto un passo avanti, il suo nome fu aggiunto agli altri.

 Dalla parte degli ariani si stava svolgendo intanto qualche formalità che ci sfuggiva. Gli ebrei lasciati soli si raggruppavano e parlavano animatamente benché sottovoce. Qualcuno scambiava cenni con le donne al primo piano. Altri, scritti affrettatamente dei biglietti, li affidavano ai detenuti del piano terreno le cui celle rimanevano loro vicino. Noi lanciammo loro sigarette, fiammiferi e pane.
A questo punto gli spioncini ci furono chiusi e non ci rimase che convergere tutta la nostra attenzione nell’udito.
Erano circa le 17. Nuovi appelli, nuovi comandi militari, un movimento confuso di cui non ci rendevamo conto. II tempo passava. Perché non partivano mai? Fu durante tale periodo che i disgraziati furono legati e compresero la fine che li attendeva.
Era l’imbrunire quando si sentì lo scalpiccio dei piedi della colonna che si muoveva. Non usciva però come per le partenze solite dal cancello grande, ma dal cancello del cortile. Salii sulla branda e da lì mi arrampicai all’inferriata. Essi sfilavano sotto di me, troppo rasente al muro perché potessi vederli e si avviavano verso il cortile tra il III ed il VII braccio. A tratti vedevo un tedesco armato che evidentemente li scortava. Sul fondo, metropolitani in divisa col fucile mitragliatore imbracciato, seguivano lo sfilamento.
Nel cortile fuori dalla mia vista, ma sotto gli occhi dei detenuti del VII, i disgraziati furono fatti salire sui camions ed avviati al massacro.

 Da quanto mi consta furono prelevati tutti gli ebrei presenti al braccio in numero di 66 senza tener conto dell’età e delle condizioni di salute. due che si erano sentiti male e che erano rimasti, fino a quando avevo potuto vederli, senza conoscenza, non mi risulta che siano stati riportati in cella e tanto meno in infermeria, dove gli ebrei non erano mai mandati.

 Circa I’appello degli ariani ero troppo lontana per poter distinguere con esattezza i nomi non conosciuti, ma ebbi I’avvertenza di contare i nomi stessi. Mi risulta in tal modo che tra ariani ed ebrei il III braccio diede 192 uomini. 

So che i tedeschi il giorno dopo mandarono l’elenco dei “partiti” in cucina perché fossero cancellati da chi di dovere dalla nota del vitto infermeria. Tale elenco fu, seppi dopo, per molto tempo nelle mani dell’infermiere italiano (detenuto) a nome Valentino, il quale però non avendo trovato a chi interessasse, ebbe a distruggerlo in un secondo tempo. Sul numero eravamo d’accordo.

 Posso dire che fra i prescelti vi erano numerosi innocenti, ed anche degli assolti. In questa seconda condizione era Pietro Paolucci che era stato assolto il 22 marzo ed il cui vero nome era (seppi dopo il 4 giugno) Paolo Petrucci.

 Persone mai interrogate e con imputazioni lievissime. Era di fronte a noi un oste arrestato da cinque giorni per aver servito da mangiare ad alcuni ebrei; al piano di sopra un ragazzo di 17 anni arrestato in strada per violazione alla norma del coprifuoco.
Mi sono resa conto che invece sfuggirono alla strage tutti quelli imputati di spionaggio, anche se con prove gravissime. Tra questi il Ten. Fabrizio Vassallo, Corrado Vinci, Bruno Ferrari, Salvatore Grasso e Bergamini, i quali furono più tardi giudicati con tale imputazione condannati a morte e fucilati: il 24 maggio. Sfuggirono egualmente alla strage vari condannati a morte: tra cui Arcurio e compagni (mai più fucilati) e Padre Morosini invece fucilato il 10 aprile.



TINA ANSELMI E AUNG SAN SUU KYI

“Le notti della democrazia. Tina Anselmi e Aung San Suu Kyi, due donne per la libertà”. In occasione degli 85 anni di Tina Anselmi e alla vigilia delle elezioni politiche in Birmania, a cui parteciperà anche la Lega nazionale Democratica di Aung San Suu Kyi, verrà presentato il volume a cura di Giuseppe Amari e Anna Vinci, “Le notti della democrazia”, che racconta in parallelo l’esperienza di due grandi donne, Aung San Suu Kyi e Tina Anselmi, che in tempi e circostanze diverse hanno combattuto per l’avanzamento civile e democratico del proprio paese.

La presentazione si svolgerà a Roma, mercoledì 28 marzo, ore 17.00, al Palazzo Valentini, Sala Giuseppe Di Liegro,via IV Novembre 119/A.

Presiede Vincenzo Calò – Vice Presidente ANPI Provinciale di Roma.

Introduce Adolfo Pepe – Fondazione di Vittorio

Intervengono: Susanna Camusso, Albertina Soliani, Giuliano Turone, Beaudee Zawmin.

Proiezione del cortometraggio “Sei minuti” con Tina di Anna Vinci.

Susanna Camusso consegnerà la medaglia d’oro dei Cento anni della CGIL a Beaudee Zawmin che la riceve per conto del Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi.

Saranno presenti i curatori e i rappresentanti di ANPI, ANPPIA, FIAP, ANED, ANEI, ANFI che porteranno il loro saluto

Con il patrocinio della Provincia di Roma.

COMUNICATO SEZ. ISPRA

LETTERA IN RISPOSTA AL COMUNICATO DEL PRESIDENTE SMURAGLIA

Ci sembra doveroso esprimerci riguardo il comunicato Anpi Nazionale del presidente Smuraglia.

Secondo noi infatti la discrepanza tra la sensibilità della base militante dell’A.N.P.I. e il vertice è in quest’ occasione significativa.

L’Anpi non è un partito politico, ma un’associazione di liberi individui che si riconoscono nei valori della Resistenza. La Resistenza, come raccontano i partigiani che l’hanno vissuta e che da anni intervistiamo per la collana di libri “Il fiore meraviglioso”,  non va considerata solo alla stregua di un evento compiuto e finito nell’aprile del 1945, ma anche un modo di sentire umano, sociale,
politico e culturale che riguarda ogni individuo nello svolgimento della sua vita associata.

Come dice don Gallo: “il partigiano è colui che sceglie da che parte stare.”

Mai come oggi, secondo noi, con la crisi che viviamo l’A.N.P.I. deve sostenere la popolazione  ogni qual volta si batta contro gli abusi dei poteri forti. La Tav e la protesta che ha generato da oltre vent’anni, è forse l’unica situazione visibile a livello nazionale in cui una popolazione oppone resitenza a oltranza ad una devastazione ambientale inutile quanto dannosa, che impone un modello di vita e di sviluppo nel quale evidentemente non si riconosce. Il movimento Notav si compone di fasce sociali molto diverse, persone della valle e non, che oppongono solo con i propri corpi e la propria vita una resistenza tenace, rischiando anche limitazioni alla propria libertà personale. La nostra sensazione è che chi si beve i racconti ufficiali dei quotidiani sui cosiddetti “violenti”, con ogni probabilità, in Valsusa a portare solidarietà attiva, non c’è mai andato.

Infatti, quella dello Stato che attacca con la forza e anche con gas lacrimogeni tossici e proibiti da trattati internazionali (CS) la popolazione e i presidi sui terreni legittimamente acquistati  dal movimento notav.Violenza è anche quella di un governo che da oltre vent’anni ignora le motivazioni del movimento, non considerando opportuno nemmeno il “dialogo” con questa parte. Ricordiamoci che l’unico atto di violenza di cui l’informazione scandalistica ha potuto nutrirsi
per alcuni giorni è quello di Luca, che con nobile spirito si sacrificio si è arrampicato sul traliccio dell’alta tensione. Un gesto che non ci sembra certo tradire derive violente, ma simboleggiare come pochi altri il sentimento di una persona che ha deciso di mettersi in gioco per il bene della comunità, senza avere nulla da ricavarne per sé, proprio come la maggior parte dei partigiani. Come individui e come appartenenti all’A.N.P.I. ci sentiamo di appogiare questa forma di resistenza e di condividere i valori di giustizia, di libertà e di autodeterminazione cui si ispira.

“Ora e sempre Resistenza” a nostro avviso non può essere pura demagogia, ma deve avere un significato che si manifesti nell’agire quotidiano; nel resistere allo sfruttamento, nel battersi per i diritti dei migranti e dei più deboli, nella difesa ambientale, nel rivoltarsi alla crisi che ci è stata imposta e che è un diritto non voler pagare, nell’attivismo culturale, nell’antifascismo.

Siamo quindi sempre contenti di trovare in val di Susa bandiere dell’Anpi, e di vedere che tante sezioni, e specialmente come ovvio quelle piemontesi, esprimono questo sentire.

Sezione Anpi di Ispra.

COMO 22 MARZO

COMO, 22 MARZO – ORE 18

LIBRERIA FELTRINELLI

VIA C. CANTU’, 17

presentazione del volume

TEMPI DEL LAVORO

110 ANNI DI IMMAGINI E DI STORIE NEL TERRITORIO COMASCO

con la partecipazione di

ELVIRA CONCA, giornalista

LUCIA RONCHETTI, direttore Archivio di Stato di Como

SAVERIO XERES, storico

intervento musicale

LE BELLE DI NOTE

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