CI HA LASCIATI TERESA MATTEI

Il cordoglio dell’Anpi per la scomparsa di Teresa Mattei

Anpi in lutto per la morte di Teresa Mattei, partigiana combattente, protagonista della lotta per l’emanicipazione femminile.

“Ci ha lasciato Teresa Mattei, partigiana combattente, Costituente, per anni componente della Presidenza onoraria dell’ANPI. Un lutto gravissimo per tutti i sinceri democratici e antifascisti: Teresa è stata il simbolo di una lotta autentica e appassionata per l’uguaglianza nei diritti di tutti i cittadini, senza alcuna distinzione: proprio l’articolo 3 della Costituzione porta la sua firma“. Questo l’inizio della nota di cordoglio diffusa dalla segreteria nazionale dell’Anpi.

“Una vita di battaglie, la sua, a cominciare dall’esperienza partigiana – fu valorosa  combattente nella formazione garibaldina Fronte della Gioventù con la qualifica di Comandante di Compagnia – fino all’attività nell’Assemblea Costituente, di cui a 25 anni fu la più giovane componente, alle battaglie successive per i diritti delle donne, per non dimenticare il suo impegno nell’educazione dei minori: fu lei a fondare  la Lega per i diritti dei bambini alla comunicazione che promosse in tutto il mondo campagne per la pace e la non violenza, come anche la Cooperativa di Monte Olimpino, la cui attività era tesa a far realizzare – in piena autonomia –  ai bambini delle scuole elementari e degli istituti per handicappati, dei documentari e cortometraggi. Alcuni di questi furono ospitati nel 1969 dalla mostra del Cinema di Venezia.
Il cinema, una passione che l’ha accompagnata per anni. Ma la più grande fu forse quella per i giovani. La trasmissione della memoria alle nuove generazioni è stata un’altra “battaglia” che ha segnato buona parte della sua esistenza. Memoria attiva, che guarda al futuro. Ci piace oggi ricordare e riportare uno dei suoi ultimi messaggi – accorato, pieno di senso di responsabilità e tenacia morale seppure pronunciato con voce ormai flebile –  rivolto ai giovani dell’ARCI di Mesagne (Brindisi): “Siete la nostra speranza, il nostro futuro. Custodite gelosamente la Costituzione. Abbiamo bisogno di voi in modo incredibile. Cercate di fare voi quello che quello che noi non siamo riusciti a fare: un’Italia veramente fondata sulla giustizia e sulla libertà”.
“Porteremo con noi – e non cesseremo mai neanche un giorno di trasmetterla alle ragazze e ai ragazzi – la forza di queste parole, la loro carica di futuro e di limpido e inossidabile amore per il Paese”.

OLGIATE COMASCO – 17 MARZO

OLGIATE COMASCO

DOMENICA 17 MARZO

ORE 21

SHIRTWAIST

spettacolo teatrale

di e con Jane Bowie

ispirato alla storia vera dell’incendio alla Triangle Shirtwaist

ingresso libero

Nel 1911, negli Stati Uniti, le operaie della Triangle Shirtwaist, industria tessile, iniziarono a scioperare per le pessime condizioni contrattuali e lavorative.
Lo sciopero proseguì per diverse giornate ma fu proprio l’ 8 marzo che la proprietà dell’azienda bloccò le uscite della fabbrica, impedendo alle operaie di uscire per scioperare.
Un incendio, probabilmente doloso, forse accidentale, ferì mortalmente 146 operaie, tra cui anche delle italiane, donne, molte madri di famiglia, che cercavano semplicemente di migliorare la propria qualità del lavoro
Già da qualche tempo le femministe, ma anche molti partiti socialisti, in tutto il mondo, rivendicavano il diritto delle donne di poter votare e dopo questo tristissimo evento, a Copenaghen, durante la Conferenza Internazionale delle donne socialiste, la loro rappresentante, Clara Zetkin, propose di celebrare il giorno delle donne proprio l’8 marzo, per ricordare al mondo l’impegno delle donne non solo come mogli e madri, ma anche come lavoratrici e cittadine.
A festeggiare la donna si è quindi arrivati solo dopo molte lotte e scioperi, manifestazioni politiche e combattimenti per ottenere non solo il suffragio universale, ma anche più diritti e più possibilità di scelta, e per ricordare questo, in tutto il mondo si celebrano le lotte per la parità dei diritti delle donne nello stesso giorno.

8 MARZO: LE DONNE NELLA RESISTENZA

RIPORTIAMO UN DISCORSO DELLA PARTIGIANA NORI BRAMBILLA PESCE, TENUTO A MILANO ALLA XII CONFERENZA REGIONALE ANPI DEL 15 E 16 MARZO 2008.

NORI E LA RESISTENZA DELLE DONNE

La guerra di Liberazione ha visto una rivoluzione culturale di non poco conto, quella della donna italiana, che usciva dall’arretratezza nella quale il fascismo l’aveva tenuta.

Mussolini aveva predicato per vent’anni alle donne “la sottomissione e la bellezza” – così diceva lui – di stare a casa a fare la calza. “La donna è la regina del focolare”, diceva la propaganda fascista. Strana regina, di un focolare nel quale, in molti, troppi casi, non si garantiva neppure il pane.

In realtà, si sanciva in ogni legge l’inferiorità della donna! Non ha diritto al voto, sono escluse dall’in- segnamento delle lettere e della filosofia, sono escluse dai posti di responsabilità di dirigenza scola-stica, dall’amministrazione pubblica, dalla magistratura e, a parità di lavoro con gli uomini, hanno salari molto inferiori. Nonostante ciò, durante il ventennio, le donne hanno avuto momenti di ribellione e di lotta. Voglio ricordare soprattutto le mondine dell’Emilia-Romagna e del Novarese che rivendicavano le otto ore di lavoro (ricordiamo la famosa canzone “Se otto ore vi sembran poche”, perché lavoravano anche 10/12 ore al giorno), e alcuni scioperi delle operaie tessili e di altre categorie per migliori condizioni di lavoro e di salario. Anche durante il fascismo quindi, pur sotto un clima di paura, le donne non hanno sempre accettato supinamente la loro condizione di “inferiorità”, poi la guerra, i lutti, il razionamento dei generi alimentari, i bombardamenti che distruggono le case, le fabbriche. La guerra cambia un po’ le cose: gli uomini servono per le guerre. Le donne allora vengono impiegate in loro sostituzione in ogni campo: nelle scuole, nelle fabbriche, nell’amministrazione pubblica, nei servizi civili.

Iniziamo così a vedere per le strade le postine, le tranviere, le ferroviere; nelle campagne assumono la direzione delle aziende agricole. Arriva poi l’8 settembre del ’43. L’esercito è abbandonato a se stesso, i soldati scappano per sottrarsi al rastrellamento dei tedeschi che invadono le nostre città, e sono le donne che, rischiando, li nutrono,li aiutano, li nascondono, forniscono loro i vestiti affinché non si facciano individuare con la divisa che ancora indossano. Io credo che siano state proprio le donne a iniziare la Resistenza, col loro intervento di aiuto ai soldati, che rappresentò anche una reazione naturale, nemmeno forse organizzata, ma che servì senza dubbio a salvare migliaia di persone. Anche se purtroppo sappiamo che altrettante migliaia furono arrestate e mandate ai lavori forzati in Germania.

Seguì la Resistenza vera, la ribellione di massa delle donne, perché di questo si tratta.

Inizia da quel momento il risveglio, la presa di coscienza di un gran numero di donne di ogni strato sociale, di ogni idea politica e religiosa. E alla Resistenza partecipano in tante, numerose, in decine di migliaia, e svolgono tante mansioni.

Sono le cosiddette “staffette”, che contribuiscono in tanti modi. Combattono in montagna e in città, assicurano i collegamenti, il rifornimento di viveri, armi, medicinali, vestiario, la preparazione di documenti falsi, la ricerca di alloggi necessari per chi deve nascondersi, la diffusione della stampa clandestina. Ricordiamoci di un giornale che venne fondato e diffuso allora dalle donne della Resistenza: “Noi Donne” che esiste ancora oggi. Erano le donne che spesso dovevano scriverlo, stamparlo e diffonderlo, ed ebbe una funzione importante di orientamento e mobilitazione per tante altre donne. Le “staffette” si occupano, tra l’altro, della cura dei partigiani feriti, poiché non sempre è possibile ricoverarli in ospedale.

Si occupano dei contatti con le famiglie dei combattenti e dei carcerati. In definitiva le “staffette” hanno svolto varie e molteplici mansioni, che risultarono spesso decisive per la vita delle stesse brigate partigiane.

Mansioni in apparenza semplici, ma che in realtà richiedevano intelligenza, prontezza e attenzione, si correva il rischio dell’arresto, delle torture e della morte.

Alla fine della guerra, dai documenti del Ministero della Difesa, e vorrei citarli perché forse sono poco conosciuti, si hanno queste cifre e questi dati:

2.500 cadute o fucilate;

35.000 riconosciute partigiane combattenti;

20.000 patriote;

512 commissarie di guerra;

2.750 deportate;

2.653 arrestate e torturate;

19 insignite di Medaglia d’Oro al valor militare; numerose di Medaglia d’Argento;

70.000 furono le donne che aderirono e lottarono nei gruppi di Difesa della Donna

un’organizzazione che riuscì a mobilitare migliaia di donne nella Resistenza, per l’assistenza ai “Volontari della Liberta”.

Questa organizzazione unitaria di massa diede un grande aiuto alle brigate partigiane. 

La prima conseguenza di questo grande e indispensabile contributo alla liberazione dal nazifascismo fu la conquista al diritto di voto, deciso dal governo del Comitato di Liberazione Nazionale, quando ancora la guerra non era finita.

Un diritto che non rappresenta un regalo, ma il giusto riconoscimento dell’insostituibile apporto fornito alla lotta di Liberazione. Abbiamo poi il 2 giugno ’46. Per la prima volta nella storia d’ltalia le donne votano, nel referendum “repubblica o monarchia”, e vince la repubblica! Abbiamo ragione di ritenere che siano state tante, soprattutto al nord le donne che hanno scelto la repubblica. Sempre nel 1946 si apre la fase costituente, l’assemblea di coloro che redigeranno la Carta costituzionale. In questa assemblea vengono elette 21 donne. La presenza delle donne nella Costituente, con alle spalle la partecipazione alla lotta di Liberazione e la conoscenza diretta della condizione femminile, è stata senz’altro decisiva nella formulazione degli articoli, nei quali vengono stabilite norme di parità tra uomini e donne. Ne cito solo alcuni, ma sarebbero più numerosi: l’articolo 3, che stabilisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociali; l’articolo 37, sulla parità di salario tra uomo e donna; l’articolo 41, per l’accessibilità delle donne agli uffici pubblici e alle cariche elettive.

Ho citato solo questi tre articoli,ma nel complesso la Costituzione è la più grande conquista democratica e di libertà che gli uomini e le donne che hanno preso parte alla Resistenza hanno ottenuto per tutti gli italiani. E decisiva è risultata la presenza delle donne.

Ricordiamo le conquiste più significative del dopoguerra, in conseguenza della lotta della Resistenza, ottenute mediante lotte incessanti e con manifestazioni popolari unitarie.

Ne cito solo alcune, prima fra tutte, nel 1950, la legge 860 di tutela delle lavoratrici madri. Perché le donne allora, che pure erano “l’angelo del focolare”, non ricevevano alcun aiuto da parte delle organizzazioni del fascismo. Pur avendo dei limiti (escludeva dai benefici le donne contadine), è tuttavia il primo importante passo e fu il risultato di convegni, di lotte e di interesse di centinaia di migliaia di donne.

Poi, nel 1971, questa legge verrà estesa a tutte le categorie di lavoratrici, comprese le lavoranti a domicilio. Tutte queste leggi, non furono un regalo, ma il risultato dell’attività delle donne nel dopoguerra.

Un risultato ottenuto con la raccolta di migliaia di firme in tutta Italia, di manifestazioni, dibattiti, convegni.

Nel 1960 fu approvata la legge per la parità salariale, secondo l’articolo 37 della Costituzione, conquistata con la mobilitazione dei partiti politici di sinistra, del sindacato e dei movimenti femminili che si erano creati nel dopoguerra, come ad esempio l’Unione Donne Italiane, erede dei Gruppi di Difesa della Donna.

Nel 1963 si conquista e viene approvata la legge che vieta il licenziamento “per matrimonio”.

Nel 1971 la legge per gli asili nido e le scuole materne, nel ’74 la legge che consente alle donne l’accesso a tutte le carriere, magistratura inclusa, e finalmente, nel 1975, viene approvato il nuovo diritto di famiglia, che sancisce la parità tra i coniugi e la pari podestà sui figli.

Noi riteniamo che tutte queste leggi siano state anche il risultato della lotta nella Resistenza, perché già allora noi lottavamo per la libertà e la democrazia del nostro Paese, ma rivendicavamo sin da allora, per le donne, un avvenire diverso, una posizione uguale agli uomini, nella famiglia, nella società e in tutte le leggi. Seguì poi l’approvazione di altre leggi, che cito soltanto: sulle pari opportunità; le pensioni alle casalinghe; il divorzio; la tutela della maternità; l’interruzione volontaria della gravidanza, la legge 194 . Concludo il mio intervento dicendo che sappiamo, che in questo momento, sono in atto tentativi revisionisti per cancellare il passato, per rinnegare gli ideali della guerra di Liberazione e della Costituzione, pietre miliari su cui invece si dovrebbe marciare speditamente verso il futuro.

Con questo intendiamo far capire che quanto abbiamo vissuto, sofferto, conquistato, non vada perso, ma diventi patrimonio prezioso per le generazioni future.


Onorina Brambilla Pesce, marzo 2008

Da Patria Indipendente n. 1/2010


10 MARZO: ECCIDIO DI SALUSSOLA

COMMEMORAZIONE DELL’ECCIDIO DI SALUSSOLA:

DOMENICA 10 MARZO

SALUSSOLA ( BL)

ORE   9,00: RITROVO PRESSO IL MUNICIPIO

ORE 10,00: MESSA IN RICORDO DEI CADUTI

ORE 10,45 CORTEO FINO AL LUOGO DEL SACRIFICIO E DEPOSIZIONE DELLE CORONE

DOMENICA 10 MARZO L’ECOMUSEO DI SALUSSOLA RESTERA’ APERTO DALLE ORE 9 ALLE ORE 12 E SARA’ POSSIBILE VISITARE LA SALA DEDICATA ALLA MEMORIA DELL’ECCIDIO.

ECCIDIO DI SALUSSOLA

Il distaccamento ” Benvenuto Zoppis “, appartenente alla 109ª Brigata ” Pietro Tellaroli, Barba “, della 12ª divisione Garibaldi ” Pietro Pajetta, Nedo “, quel giorno era composto di trentatré partigiani; si erano spostati nel Monferrato, e durante il tragitto di ritorno alla base, furono catturati dai fascisti nella pianura Vercellese tra Bianzé e Livorno Ferraris. Portati a Tronzano Vercellese, dove c’era il Comando Nazifascista, furono rinchiusi in una stanza. Il giorno dopo divisi in due gruppi, l’uno di dodici prigionieri fu mandato a Vercelli e l’altro di ventuno rimase per essere interrogato. Venti furono gli uccisi di Salussola nella notte dell’8 e l’alba del 9 marzo 1945; l’unico che si salvò fu Sergio Canuto Rosa, detto ” Pittore.

Ecco la sua testimonianza:

  « … La notte del 9 marzo ci comunicarono che saremmo partiti verso una zona del Biellese dove ci sarebbe stato uno scambio di prigionieri. Il breve tempo trascorso dal nostro arresto ci fece pensare all’impossibilità della cosa, ma ci aggrappammo a quella speranza. Nel cortile dell’edificio ( Tronzano V.se, sede del Comando, n.d.r.) si trovavano dei camion su cui ci fecero salire e quando partimmo il nostro sforzo era di capire, attraverso le fessure, quale fosse la direzione presa, ma nessuno di noi era pratico della zona ed era notte. Nella nostra mente i pensieri si accavallavano ai pensieri mentre il rumore dei motori ci faceva pensare ad una salita. Quando i camion si fermarono, fummo stupiti di trovarci in una piccola piazza circondata da case, più lontano mi parve di intravedere la chiesa di quel piccolo paese immerso nel silenzio. Ci avviarono verso un edificio e, nella camera a pianterreno (l’attuale sacello al piano terreno del Palazzo Municipale, n.d.r.) , cominciarono subito le sevizie; infierirono su di noi con sadica ferocia. Non vedevo più nulla, sentivo i colpi mentre la stanza si riempiva di gemiti e urla che non avevano più niente di umano. E’ impossibile descrivere quello che è successo. Ricevetti un colpo violento sulla fronte e il sangue, che scendeva copioso, mi accecava; caddi supino in un angolo evitando un secondo colpo, altri compagni caddero su di me coprendomi in parte. Sentivo urla e gemiti dei morenti e mi chiedevo quando sarebbe giunta la fine. Ai primi chiarori dell’alba cercai di alzarmi. I nazifascisti mio afferrarono e mi colpirono ancora con i calci del fucile spingendomi verso un muro, mentre alcuni automezzi con i fari accesi illuminavano la piazza.  Avrei voluto pulirmi il sangue che mi colava sugli occhi, ma mi accorsi di avere le mani legate dietro la schiena; altri compagni venivano trascinati per i piedi fuori dall’edificio. Poi accadde un fatto che ha dell’incredibile: un fascista si avvicinò e cercò di strapparmi il giubbotto mentre un altro mi spingeva violentemente; sentii le corde allentarsi e le mani muoversi. Con la forza della disperazione mi buttai contro il mio assalitore che mi afferrò per le braccia, in quel momento la corda scivolò e sentii le mani libere. Mi avvinghiai disperatamente a lui trascinandolo fuori alla luce dei fari. Come una furia sfuggii ad altri fascisti che erano accorsi per immobilizzarmi e mi lanciai verso un vuoto che intravedevo oltre un muro tirandomi dietro uno di loro. L’oscurità e il timore di colpire il compagno impedì loro di spararmi subito e questo mi permise di rotolare verso il fondo della scarpata (il pendio che scende verso l’Elvo, n.d.r.). Quando mi accorsi di essere solo, cominciai a strisciare fra rovi e cespugli: le spine mi entravano nella carne, ma erano la mia salvezza, ostacolavano l’inseguimento e ogni passo in avanti era un passo verso la vita. Riuscii a bere un po’ d’acqua in un torrente (il rio RiFreddo o l’Elvo, n.d.r.), poi ripresi a fuggire cercando di rimanere  dove gli alberi erano più fitti, ormai le gambe mi reggevano a stento. Come in un sogno incontrai i partigiani, ma non chiedetemi come sono arrivato qui, non lo so, non ricordo altro che i miei compagni rimasti là, nella piazza in un paese di cui non conosco il nome »

CITTADINANAZA AI SENEGALESI FERITI

VITTORIA!

Grazie! Abbiamo ottenuto la cittadinanza italiana per i tre senegalesi feriti il 13 dicembre 2011 a Firenze.

Il Consiglio dei Ministri ha conferito la cittadinanza italiana ai sopravvissuti del raid razzista di Gianluca Casseri. “La concessione della cittadinanza – spiega il Consiglio dei Ministri – rappresenta un gesto di doveroso riconoscimento e di concreta solidarieta”.

Abbiamo raggiunto questo incredibile obiettivo anche con la tua firma.

Il 13 dicembre 2011 a Firenze Modou Samb e Mor Diop vennero assassinati e Sougou Mor, Mbengue Cheike e Moustapha Dieng furono gravemente feriti durante l’attacco armato di un fanatico razzista. Moustapha è tetraplegico e non potrà più essere autosufficiente.

Ma per loro si accende ora una speranza e una certezza, quella che nel Paese in cui vivono non tutti sono razzisti.

Grazie ancora a nome di tutti loro.

COMUNITA’ SENEGALESE ITALIANA

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