Nato a Bellagio il 7 gennaio 1916, di carattere ardente, generoso e
impetuoso, Teresio Olivelli frequenta le prime classi elementari a
Bellagio e sucessivamente a Zeme (PV), dove la famiglia ritorna nella
casa paterna, ma rimane sempre legato al suo Lario, dove trascorre le
vacanze estive in casa dell’amatissimo zio, parroco di Tremezzo. Dopo il
Ginnasio a Mortara (PV) e il Liceo a Vigevano, si iscrive alla facoltà
di giurisprudenza dell’Università di Pavia, come alunno del prestigioso
collegio Ghislieri.
Laureatosi nel novembre 1938, si trasferisce all’Università di Torino
come assistente della cattedra di diritto amministrativo. Inizia una
stagione di intenso impegno socio-culturale, caratterizzato dallo sforzo
di inserirsi criticamente all’interno del fascismo, con il proposito di
influirne la dottrina e la prassi, mediante la forza delle proprie idee
ispirate alla fede cristiana. Questo tentativo di “plasmare” il
fascismo è finalizzato unicamente ad affrontare un’emergenza: la
costruzione di una società migliore. Vince pure i littoriali del 1939,
sostenendo la tesi che fonda la pari dignità della persona umana, a
prescindere dalla razza.
Chiamato a Roma presso l’Istituto Nazionale di studi e di ricerca,
diviene segretario dell’Istituto di Cultura fascista, dove opera
effettivamente per otto mesi. Due soggiorni in Germania basteranno a far
nascere in lui le prime diffidenze verso il Regime. Nonostante ciò,
allo scoppio della guerra, decide di partire per il servizio militare.
E’ in corso una guerra imposta al Paese, il quale deve subire; Teresio
Olivelli non vuole considerare dall’alto di un ufficio e con distacco la
maturazione degli eventi, ma desidera inserirsi in essi, con eroica
abnegazione. In particolare, è fermamente determinato a stare con i
soldati, la parte più esposta e quindi più debole del popolo italiano in
lotta.
Nel 1940 è nominato ufficiale degli alpini: come sottotenente di
complemento della Divisione “Tridentina”. Olivelli chiede di andare
volontario nella guerra di Russia. È pervaso da un’idea dominante:
essere presente fra quanti si spingono o sono spinti nell’avventura del
dolore e della morte.
Nel vedere gli orrori della ritirata dell’ VIII Armata italiana,
Olivelli si fa sempre più critico nei confronti dell’ideologia
dominante, vedendone le aberrazioni attuate dalla brutale logica di
guerra.
Sopravvissuto alla disastrosa ritirata, mentre tutti fuggono egli si
ferma a soccorrere eroicamente i feriti, con personale gravissimo
rischio. Tanti alpini rientrati in Italia gli devono la vita.
Nella primavera del 1943, abbandona definitivamente la brillante
carriera “romana” e ritorna a dedicarsi all’educazione dei giovani come
rettore del collegio Ghislieri, dove aveva studiato, avendo vinto il
concorso al quale si era presentato prima di partire per il fronte
russo. Ha solo 26 anni, è il più giovane rettore d’Italia.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 Olivelli, che con il 2°
Reggimento Artiglieria alpina si trovava di stanza a Vipiteno, è fatto
prigioniero dai tedeschi. Rifiutatosi di combattere al fianco dei
nazisti, viene arrestato e deportato in Germania. Il 20 ottobre riesce
ad evadere dal campo di Markt Pongau e raggiunge Udine dopo una lunga
fuga solitaria. Ospitato da un famiglia friulana giusto il tempo di
riprendersi, il giovane si inserisce nella Resistenza bresciana.,
collaborando alla costituzione delle “Fiamme Verdi”, formazioni
partigiane di impronta cattolica.
Nel febbraio 1944 fonda il giornale “ Il Ribelle”e, pur nella
clandestinità, elabora programmi di ricostituzione della società, dopo
la tragedia del fascismo e della guerra.
Nelle pagine del “Ribelle” egli esprime il suo concetto di
Resistenza; essa è “rivolta dello spirito” alla tirannide, alla
violenza, all’odio; rivolta morale diretta a suscitare nelle coscienze
il senso della dignità umana, il gusto della libertà.
Scrive la famosa preghiera “Signore facci liberi”, comunemente detta
“Preghiera del ribelle”; in questo testo definisce se stesso e i suoi
compagni “ribelli per amore”
Viene arrestato a Milano il 27 aprile 1944. A San Vittore comincia il
calvario delle torture, che continuano nel campo di Fossoli. L’ 11
luglio 1944 il suo nome viene inserito nella lista di 70 prigionieri che
devono essere fucilati il giorno successivo, ma anche questa volta
Olivelli riesce a fuggire, nascondendosi nei magazzini del campo.
Scoperto, dopo diversi tentativi di fuggire da Fossoli ,viene deportato
nel campo Bolzano-Gries, e quindi in Germania, a Flossenburg e poi a
Hersbruck. Sulla sua casacca viene cucito, insieme al triangolo rosso
dei politici, anche il disco rosso cerchiato di bianco dei prigionieri
che hanno tentato la fuga, e che quindi devono ricevere un trattamento
più duro e spietato, se possibile.
Potrebbe, data la sua conoscenza del tedesco, avere accesso ad un
lavoro meno duro, ma ancora una volta il suo desiderio di stare con gli
ultimi, di aiutare i più disperati, lo spinge a dare tutto sé stesso per
la salvezza degli altri, esercitando il dovere della carità verso il
prossimo fino all’eroismo, intervenendo sempre in difesa dei compagni
percossi, rinunciando alla razione di cibo in favore dei più deboli e
malati.
Resiste coraggiosamente alla repressione nazista, difendendo la
dignità e la libertà. Questo atteggiamento suscita nei suoi confronti
l’odio dei capi baracca, che di conseguenza gli infliggono dure e
continue percosse. Ai primi di gennaio del 1945, intervenuto in difesa
di un giovane prigioniero ucraino brutalmente pestato, viene colpito con
un violento calcio al ventre, in conseguenza del quale muore il 17
gennaio 1945, a soli 29 anni.
Il suo corpo è bruciato nel forno crematorio di Hersbruck.