“Irresponsabile e faziosa la mozione del Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia. Basta con l’uso politico della storia!”

Comunicato della Segreteria nazionale ANPI sulla mozione del Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia di accusa all’ANPI e all’Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea di riduzionismo o addirittura negazionismo sul dramma delle foibe

La mozione del Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia di accusa all’ANPI e all’Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea del Friuli-Venezia Giulia di riduzionismo o addirittura negazionismo sul dramma delle foibe e dell’esodo, rappresenta una inaccettabile censura perché nega libertà e legittimità alla ricerca storica in base ad un pregiudizio di ordine politico e ideologico. È gravemente faziosa perché assume l’opinione degli estensori come inconfutabile verità, mentre in particolare in questa regione occorrerebbe bandire qualsiasi uso politico della storia e approfondire la conoscenza e il confronto su basi scientifiche. È un atto di irresponsabilità, perché, strumentalizzando il terribile dramma delle foibe, fomenta un clima di odio e di rivincita e riapre tensioni del passato con i Paesi confinanti, in particolare Slovenia e Croazia. Distorce e falsifica la legge che punisce “l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. Si permette di delegittimare l’ANPI e l’Istituto regionale per la storia della Resistenza, rivelando così un intollerabile spirito di vendetta non solo verso questi istituti al servizio della Repubblica, ma specialmente verso la Resistenza. L’ANPI non si farà certo intimidire da questi grotteschi tentativi di sanzionare chi da settant’anni custodisce la memoria della Resistenza e difende la Costituzione; nello stesso tempo l’ANPI denuncia il disegno oscurantista e autoritario che sta prendendo piede nel nostro Paese e di cui questa mozione è una prova gravissima e lampante.

LA SEGRETERIA NAZIONALE ANPI

1 aprile 2019

ECONOMIA E COSTITUZIONE – DI LUCA MICHELINI

INTERVENTO DI LUCA MICHELINI AL CONGRESSO PROVINCIALE ANPI DI COMO:

Economia e Costituzione

Congresso ANPI, Como, 19 marzo 2016

di Luca Michelini

 

1. Proviamo a riassumere quanto è avvenuto sul piano economico in Italia, dal 1990 ai nostri giorni.

  • Con Tangentopoli entra in crisi il sistema di potere economico-politico italiano fondato sullo “Stato imprenditore”, nato durante il fascismo come risposta emergenziale alla grande crisi del ’29 e poi riconfermato con la Repubblica e diventato un elemento caratterizzante dell’economia italiana.

    Ebbene questo Stato imprenditore è stato liquidato, con un processo di privatizzazioni immenso e ancora in corso.

     

  • Il crollo del Muro di Berlino ha avuto conseguenze geopolitiche epocali perché ha innescato un processo di globalizzazione dei mercati senza precedenti. Il capitalismo, cioè, ha avuto davanti a sé spazi di conquista quasi sconfinati. I mercati si sono ampliati e si sono liberalizzati.

    Più in particolare sono stati liberalizzati i mercati del lavoro, delle merci e dei capitali. Il tutto favorito da una disgregazione delle statualità uscite dalla II Guerra Mondiale.

 

  • Nasce l’Euro, cioè un unico mercato europeo, privando gli Stati centrali dell’autonomia monetaria, uno strumento fondamentale di politica economica. Mentre nasce la Banca Centrale Europea, non nasce, però, una politica economica europea, cioè un centro di potere politico in grado di governare l’economia europea. Questo governo è lasciato ai rapporti di forza esistenti tra i diversi Stati nazionali.

  • Viene riunificata Germania, che comincia un’espansione economico-egemonica ad Est, nell’ex-impero sovietico, attraverso una politica “neomercantilista” rivolta, però, anche verso l’Italia, cioè volta a rafforzare senza fine le esportazioni tedesche e dunque l’industria tedesca a discapito di altre industrie.

  • Si palesa un declino industriale ed economico italiano sempre più accentuato, che ha come cardine la persistenza di micro-realtà industriali (i distretti industriali), mentre grandi realtà aziendali multinazionali entrano in crisi o addirittura abbandonano l’Italia (vedi il caso Fiat).

  • Si verifica un processo di concentrazione bancaria senza precedenti, che corre di pari passo alla riproposizione di un rapporto tra banca e industria molto stretto. Gli imprenditori italiani lavorano con i soldi degli altri, rivolgendosi alle Banche. E’ il modello che venne travolto dalla crisi del ’29.

  • Nase di un movimento politico “eversivo” (così definito da Norberto Bobbio) delle istituzioni repubblicane fondato da un protagonista indiscusso della vita economica italiana: televisione, carta stampata, finanza, editoria, calcio, pubblicità, edilizia. Mentre questo magnate si presenta come un imprenditore “fattosi da sé”, si tratta, al contrario, di una nuova forma di imprenditore, che deve le sue fortune alle sue capacità politiche.

  • Divampa una crisi economico-finanziaria paragonabile per intensità a quella del 1929 e che, sviluppatasi nel cuore dell’Occidente, in USA, dilaga in tutto il mondo, Europa compresa, colpendo soprattutto le economie più deboli.

  • Il progresso tecnologico aumenta a dismisura la disoccupazione tecnologica, e le leggi del mercato liberalizzato e deregolamentato innescano un processo di redistribuzione della ricchezza tra le classi sociali a netto vantaggio dei ceti più abbienti, con proletarizzazione e sotto-proletarizzazione di larghi ceti di media borghesia e distruzione del potere contrattuale del salariato.

  • Prendono corpo processi di immigrazione quantitativamente e culturalmente molto significativi da paesi extra-europei: nasce una nuova classe operaia, priva di alcun diritto politico ed estranea alla cultura, anche politica, occidentale. Il potere contrattuale di tutti i lavoratori crolla, come il ruolo dei sindacati.

  • Si verifica un progressivo e irripagabile aumento dell’esposizione debitoria sia dei privati (imprese e famiglie verso le banche) sia degli Stati (debito bubblico).

  • Dilaga in modo incontrollato (deregolamentato) la speculazione finanziaria a livello planetario. Abbiamo una Banca centrale europea che letteralmente regala denaro alle banche (tasso zero e negativi), che si guardano bene da immetterlo nel circuito dell’economia reale. E’ stato un liberale, Keynes, a dimostrare che l’unico modo per uscire da questa trappola è “la socializzazione degli investimenti”, cioè un massiccio programma di investimenti pubblici e il controllo da parte dello Stato del processo finanziario (una nazionalizzazione di fatto delle banche) e della produzione di moneta.

  • Dilaga su scala planetaria, ma con epicentro in Medio Oriente, una conflittualità geopolitica per il controllo delle risorse energetiche. Ma dal Medio Oriente alla Russia e alla Cina il passo è breve ed alcuni giustamente hanno parlato di inizio della Terza Guerra Mondiale. Non meno significativa la conflittualità intra-europea: il caso della Libia dimostra una notevole aggressività della Francia nei confronti dell’Italia.

Come vedete da questa rapsodica carrellata, si tratta di un panorama economico semplicemente rivoluzionario.

Vediamo ora quali sono le conseguenze di questi fenomeni economici sul piano sociale.

Il quadro in parte è già composto da quanto esposto prima.

Sintetizzando, questo immenso processo di globalizzazione dei mercati destabilizza completamente, sul piano sociale, le società che vi sono coinvolte. Interi settori produttivi entrano in crisi; scompaiono coorti e coorti di specializzazioni produttive, pubbliche e private. Si verificano immensi trasferimenti di ricchezza tra classi sociali e tra Stati. Il confronto con abitudini e culture di emigranti provenienti da paesi extraerupei sollecita fortemente l’identità sociale dei paesi ospitanti. I rapporti geopolitici vedono un imperioso ritorno all’utilizzo delle armi, se scala sempre più vasta.

Un vero e proprio terremoto.

Vediamo ora quali sono state le conseguenze di questi sommovimenti epocali sul piano politico.

  • Il neo-liberismo angloamericano degli anni ’80 trionfa in tutta Europa e permea anche le culture di governo delle forze di centro-sinistra.

  • L’indebitamento pubbilco è utilizzato in alcuni Paesi, ove più incisive e notevoli erano state le conquiste democratiche e sociali (come in Italia), per smantellare gradualmente ma inesorabilmente lo stato sociale: scuola pubblica, politica industriale, sanità, previdenza ecc.

  • La redistribuzione di ricchezza messa in moto dalle forze spontanee del mercato è amplificata dalla politica economica dei governi, anche di centro-sinistra. Vengono attaccati i diritti dei lavoratori con riforme che sono vere e proprio controriforme. Sul piano dell’occupazione esse sono inutili: esse servono solo a ridurre i lavoratori in semi-schiavitù, come quelli immigrati. Del resto, tutti i lavoratori non trovano più nemmeno una rappresentanza politica nei partiti un tempo di riferimento. Dilaga l’astensione dal voto.

  • La Banca Centrale Europea salva la finanza, ma impedisce agli Stati di salvare la società ed utilizza una parte delle classi dirigenti dei Paesi, che gratifica, per impedire, con le politiche dell’austerità, qualsivoglia cambiamento di paradigma di sviluppo economico. Il “caso Grecia” è emblematico.

Ora è importante fare particolare attenzione al significato dell’articolo 3 della Costituzione:

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

L’articolo 3 ci avverte che le diseguaglianze sociali impediscono il godimento dei diritti fondamentali di uomini e donne. La parte prima della nostra Carta è diventata carta straccia. La democrazia repubblicana italiana ha avuto nel neo-liberismo un avversario mortale.

Cosa ci aspetta nel prossimo futuro?

Centro-destra e del centro-sinistra, entrambi neo-liberisti, coltivano una grande illusione: che questi sconvolgimenti economici e sociali possano essere governati ferendo a morte la democrazia, cioè concependo un meccanismo istituzionale – leggi elettorali e bilanciamento tra i vari poteri – che consente ad una ristretta elité, al limite al solo “capo”, di governare il Paese. La globalizzazione del mercato produce società fortemente disegualitarie, gerarchiche e instabili: ha bisogno di una politica forte e oligarchica che si faccia strumento dei suoi obiettivi.

E tuttavia quella del neo-liberismo di sinistra e di destra è una pura illusione, destinata a forgiare gli strumenti politici per coloro che non si limiteranno affatto a ricostruire una società gerarchica e autoritaria. Si andrà ben oltre, esasperando le conflittualità nazionalistiche tra Stati e proponendo, alla fine, nuovi modelli di autoritarismo totalitario. L’Italia ha già sperimentato questo passaggio, quando nacque il fascimo: che fu dapprima neo-liberista (1922-1925) e poi autarchico, totalitario e bellicista.

Ripetiamo queste cose da anni. Ma ormai ciò che pavantavamo è sotto i nostri occhi: basta guardare la geografia politica dell’Europa, dove la destra estrema avanza, addirittura governa (in Ungheria, in Polonia) e non è lontana dal potere perfino in Francia.

Chiediamoci che cosa caratterizza il progetto sociale della destra estrema.

Ebbene, questa destra estrema chiede, anche se ancora in modo confuso, di limitare la globalizzazione; chiede di porre un limite consistente alla libera circolazione di lavoro, merci e capitali. La fine dell’Euro a questo porterebbe.

Questa limitazione dei mercati poggia su un’ideologia e un progetto sociale ben preciso e di segno reazionario: la libertà deve trovare un limite anche sul piano dei diritti individuali e la comunità a cui si aspira deve essere xenofoba, anti-pluralista, gerarchica, autoritaria, deve controllare anche le coscienze. Si tratterà di nuove forme di totalitarismo, in parte nuove viste le possibilità di controllo sociale che consente il mezzo televisivo.

Vorrei sottolineare con estrema forza che sarebbe un errore molto grave pensare che la limitazione della libertà dei mercati sia una prerogativa della destra estrema.

Come se le conquiste di civiltà compiute in tutto il mondo dai movimenti democratici, e in Italia dalle forze che hanno fatto la Resistenza ed hanno scritto la Costituzione, non fossero il portato di culture politiche che hanno visto con estremo rigore e con lucidità, gli effetti destabilizzanti, eversivi, antiumani del mercato e del capitalismo, a cui pure hanno riconosciuto un notevole spazio di legittimità storica. Col senno di oggi, uno spazio decisamente eccessivo.

Poche riflessioni conclusive.

Non è chi non veda che, di fronte a questi scenari, l’ANPI ha un compito storico molto importante, anche se, probabilmente, di gran lunga superiore alle sue forze. Il patrimonio racchiuso nell’architettura costituzionale nata dalla Resistenza è quanto mai attuale. Oggi il compito è opporsi alle politiche economiche neo-liberiste e ai disegni di destrutturazione istituzionale volti a concentrare nelle mani del capo del governo poteri immensi e a privare delle Camere della legittimazione popolare.  

 

 

 

 

Lo statuto dell’ANPI

A.N.P.I.

ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA

 

(Ente Morale D.L. 5 aprile 1945, n. 224)

 

STATUTO

 

(Testo approvato con Decreto del Presidente della Repubblica n. 713 del 15 settembre 1980)

COSTITUZIONE E FINALITA’

 

Art. 1

 

E’ costituita l’Associazione nazionale fra i partigiani italiani con la denominazione

ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA ” (A.N.P.I.).

 

Art. 2

 

L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ha lo scopo di:

a) riunire in associazione tutti coloro che hanno partecipato con azione personale diretta, alla guerra partigiana contro il nazifascismo, per la liberazione d’Italia, e tutti coloro che, lottando contro i nazifascisti, hanno contribuito a ridare al nostro paese la libertà e a favorire un regime di democrazia, al fine di impedire il ritorno di qualsiasi forma di tirannia e di assolutismo;

b) valorizzare in campo nazionale ed internazionale il contributo effettivo portato alla causa della libertà dall’azione dei partigiani e degli antifascisti, glorificare i Caduti e perpetuarne la memoria;

c) far valere e difendere il diritto acquisito dei partigiani di partecipare allo sviluppo morale e materiale del Paese;

d) tutelare l’onore e il nome partigiano contro ogni forma di vilipendio o di speculazione;

e) mantenere vincoli di fratellanza tra partigiani italiani e partigiani di altri paesi

f) adottare forme di assistenza atte a recare aiuti materiali e morali ai soci, alle famiglie dei Caduti e di coloro che hanno sofferto nella lotta contro il fascismo;

g) promuovere studi intesi a mettere in rilievo l’importanza della guerra partigiana ai fini del riscatto del Paese dalla servitù tedesca e delle riconquiste della libertà;

h) promuovere eventuali iniziative di lavoro, educazione e qualificazione professionale, che si propongano fini di progresso democratico della società;

i) battersi affinché i principi informatori della guerra di liberazione divengano elementi essenziali nella formazione delle giovani generazioni;

l) concorrere alla piena attuazione, nelle leggi e nel costume, della Costituzione Italiana, frutto della Guerra di Liberazione, in assoluta fedeltà allo spirito che ne ha dettato gli articoli;

m) dare aiuto e appoggio a tutti coloro che si battono, singolarmente o in associazioni, per quei valori di libertà e di democrazia che sono stati fondamento della guerra partigiana e in essa hanno trovato la loro più alta espressione.

 

TITOLO II

SEDE, COMITATI PROVINCIALI, SEZIONI

Art. 3

 

L’Associazione ha sede nazionale in Roma.

Nei capoluoghi di provincia, quando vi siano almeno cento iscritti nella provincia, si costituiranno Comitati provinciali.

In ogni Comune, d’intesa col Comitato provinciale, può essere costituita anche più di una Sezione purché ciascuna sezione non abbia meno di venti iscritti.

 

TITOLO III

ORGANI DELL’ASSOCIAZIONE

Art. 4

 

il Congresso nazionale

 

Il Congresso nazionale è composto dai delegati dei Congressi provinciali.

Il Congresso nazionale è convocato dal Comitato nazionale almeno una volta ogni 5 anni con un preavviso non inferiore a mesi tre. E’ inoltre convocato dal Comitato nazionale quando se ne ravvisi la necessità o quando ne è fatta richiesta scritta e motivata da non meno di un quinto dei Comitati provinciali esistenti che rappresentino almeno un terzo di tutti gli iscritti all’Associazione.

Il Congresso nazionale è legalmente costituito in prima convocazione quando i delegati rappresentino almeno il 50% dei soci. In seconda convocazione, da tenersi almeno 6 ore dopo la prima convocazione, il Congresso è valido qualunque sia il numero dei soci rappresentati. Le deliberazioni sono prese a maggioranza di voti rappresentati. Il Congresso nazionale elegge di volta in volta il suo Presidente o la Presidenza. Il Congresso nazionale delibera sulle direttive e sulle questioni di carattere generale, elegge i componenti del Comitato nazionale e degli altri organi nazionali dell’Associazione. Il Congresso nazionale esamina la relazione morale e finanziaria predisposta dal Comitato nazionale.

 

Art. 5

 

Il Comitato nazionale

Il Comitato nazionale è eletto dal Congresso nazionale ed è composto di 27 membri. Esso elegge tra i suoi membri un Presidente nazionale, i vice-presidenti nazionali, la Segreteria nazionale ed un responsabile amministrativo.

I membri del Comitato nazionale durano in carica da un Congresso all’altro. Il Comitato nazionale si riunisce almeno una volta ogni tre mesi e, in via straordinaria, quando il Presidente nazionale, oppure sette membri o i revisori dei conti ne ravvisino la opportunità. La convocazione deve essere fatta con un preavviso di almeno tre giorni. Il Comitato nazionale attua la linea associativa deliberata dal Congresso e provvede:

a) a realizzare gli scopi sociali impartendo le direttive ai Comitati provinciali;

b) a controllare le attività dei Comitati provinciali;

c) a redigere ed approvare annualmente il bilancio preventivo ed il conto consuntivo dell’Associazione,

d) a ratificare annualmente i bilanci preventivi e consuntivi dei Comitati provinciali ed eventualmente a predisporre visite ai Comitati provinciali allo scopo di verificare che l’amministrazione sia tenuta nella piena osservanza delle norme e per i fini statutari;

e) a risolvere eventuali vertenze in seno all’Associazione;

f) ad adottare tutti i provvedimenti necessari per il buon funzionamento dell’Associazione.

 

Art. 6

 

Il Presidente nazionale

 

Il Presidente nazionale ha la rappresentanza legale dell’Associazione, a tutti gli effetti, e provvede alla esecuzione delle deliberazioni del Comitato nazionale. in caso di assenza o di impedimento, è sostituito da uno dei vice presidenti, all’uopo designato dal Comitato.

 

Art. 7

 

Il Congresso nazionale elegge tra i soci:

a) una Presidenza Onoraria

b) un Consiglio nazionale

fissando per entrambi il numero dei componenti i quali saranno consultati dal Comitato nazionale in merito alle più importanti questioni d’interesse generale e associativo.

La convocazione della Presidenza Onoraria e del Consiglio nazionale sarà fatta dal Presidente dell’Associazione con un preavviso non inferiore a cinque giorni e almeno una volta l’anno.

 

Art. 8

 

Collegio dei Revisori dei Conti

 

Il Collegio dei Revisori dei Conti dell’Associazione nazionale è eletto dal Congresso ed è composto di tre revisori effettivi e di due supplenti, scelti tra i soci.

Esso nomina nel suo seno un Presidente e si riunisce per esercitare il controllo sulla gestione contabile ed amministrativa dell’Associazione e redige apposite relazioni sul bilancio di previsione e sul conto consuntivo. Il Collegio dei Revisori dei Conti dura in carica da un Congresso all’altro.

 

Art. 9

 

Comitati regionali

 

In ogni Regione può essere costituito – d’intesa con il Comitato nazionale – un Comitato regionale composto da uno o più rappresentanti designati in egual numero da ciascun Comitato provinciale con il compito di stimolare e coordinare l’azione dei Comitati provinciali e di rappresentare l’Associazione nei rapporti con le istituzioni regionali. Il Comitato regionale, salvo diversa determinazione da approvarsi dal Comitato nazionale, ha sede nella città capoluogo della Regione ed usufruisce della sede e dei servizi del Comitato provinciale in cui ha sede. Il Comitato regionale può eleggere tra i suoi componenti un Presidente e uno o più vice presidenti.

 

Art. 10

 

Il Congresso provinciale

 

In ciascuna provincia il Congresso provinciale è formato dai delegati delle Sezioni.

Il Congresso provinciale è convocato in via ordinaria in preparazione del Congresso nazionale nella località stabilita dal Comitato provinciale in via straordinaria su richiesta del Comitato nazionale o su richiesta scritta e motivata delle sezioni in un numero non inferiore a un quinto delle Sezioni stesse e che rappresentino almeno un terzo dei soci della circoscrizione del Comitato provinciale. La convocazione deve essere fatta con un preavviso non inferiore a trenta giorni.

Per la validità delle deliberazioni del Congresso provinciale valgono le norme stabilite per le deliberazioni del Congresso nazionale.

Il Presidente del Congresso provinciale è eletto di volta in volta.

 

Art. 11

 

Il Congresso provinciale nomina i componenti del Comitato provinciale ed il Collegio dei Revisori dei Conti, e delibera sulle questioni di carattere generale nell’ambito della provincia.

 

Art. 12

 

Il Comitato provinciale è composto da un numero di membri da stabilirsi di volta in volta dal Congresso provinciale in rapporto alle esigenze locali ed al numero degli iscritti.

Il Comitato provinciale sceglie tra i suoi membri un Presidente provinciale, i vice-presidenti, la segreteria provinciale ed un responsabile amministrativo. Il Comitato provinciale dura in carica da un Congresso all’altro.

Il Comitato provinciale si riunisce in via ordinaria almeno ogni tre mesi o quando il Presidente oppure un terzo dei membri del Comitato o i Revisori dei Conti ne ravvisino l’opportunità. La convocazione deve essere fatta con un preavviso non inferiore a tre giorni. Competono ai Comitati provinciali tutte le attribuzioni del Comitato nazionale rispetto ai Comitati di Sezione della provincia, l’esecuzione delle direttive del Comitato nazionale e delle deliberazioni del Congresso provinciale.

Il Comitato provinciale esamina ed approva ogni anno il proprio bilancio preventivo ed il conto consuntivo e può predisporre visite ai Comitati sezionali allo scopo di verificare che la regolare amministrazione sia tenuta nella piena osservanza delle norme e per fini statutari.

 

Art. 13

 

Il Presidente provinciale cura l’esecuzione delle deliberazioni del Comitato provinciale ed è sostituito in caso di assenza o di impedimento da uno dei vice presidenti designato dal Comitato provinciale.

 

Art. 14

 

Il Collegio dei Revisori dei Conti del Comitato provinciale è eletto dal Congresso provinciale ed è composto di tre revisori effettivi e di due supplenti scelti fra i soci.

Esso nomina nel suo seno un Presidente e si riunisce per esercitare il controllo della gestione contabile ed amministrativa del Comitato provinciale e redige apposite relazioni sul bilancio di previsione e sul conto consuntivo.

Il Collegio dei Revisori dei Conti dura in carica da un Congresso provinciale all’altro.

 

Art. 15

 

Il Congresso provinciale può eleggere in analogia ai corrispondenti organi nazionali:

a) una Presidenza Onoraria

b) un Consiglio provinciale fissando per entrambi il numero dei componenti.

 

Art. 16

 

L’Assemblea di sezione

L’Assemblea di sezione è composta dai soci aventi diritto al voto nella Sezione. L’Assemblea è convocata almeno una volta all’anno in via ordinaria dal Comitato di Sezione e in via straordinaria su richiesta del Comitato nazionale o del Comitato provinciale o su domanda motivata di almeno un terzo dei soci. Se necessario l’Assemblea di sezione può provvedere al rinnovo delle cariche sociali.

La convocazione deve essere effettuata con un preavviso non inferiore a giorni cinque.

Per la validità delle deliberazioni dell’Assemblea di sezione valgono le norme stabilite per le deliberazioni del Congresso nazionale. Il Presidente o la Presidenza dell’Assemblea di sezione è eletta di volta in volta.

 

Art. 17

 

L’Assemblea di sezione nomina i componenti del Comitato di sezione ed il Collegio dei Revisori dei Conti esamina ed approva il bilancio preventivo ed il conto consuntivo predisposti annualmente dal Comitato e delibera sulle questioni di carattere generale nell’ambito del territorio di sua competenza in aderenza alle determinazioni del Congresso nazionale e del Congresso provinciale.

 

Art. 18

 

Il Comitato di sezione è eletto dall’Assemblea ed è composto di un numero di membri da stabilirsi di volta in volta dall’Assemblea stessa ed in rapporto alle esigenze locali ed al numero degli iscritti.

Il Comitato di sezione sceglie tra i suoi membri un Presidente, uno o più vice-presidenti, la segreteria o un segretario e il responsabile amministrativo.

Il Comitato di sezione redige annualmente il bilancio preventivo ed il conto consuntivo da sottoporre all’Assemblea, provvede all’esecuzione delle direttive del Comitato nazionale e del Comitato provinciale. Il Comitato di sezione istruisce le domande di iscrizione a socio, secondo le norme stabilite dal presente statuto e le direttive impartite dal Comitato nazionale.

 

Art. 19

 

Il Presidente del Comitato di sezione cura l’esecuzione delle deliberazioni del Comitato ed è sostituito in caso di assenza o di impedimento da uno dei vice-presidenti designati dal Comitato di sezione.

 

Art. 20

 

I Revisori dei Conti della Sezione in numero di tre membri effettivi ed uno supplente sono eletti dall’Assemblea e sono scelti tra i soci.

Essi si riuniscono per esercitare il controllo sulla gestione contabile e amministrativa della Sezione.

 

Art. 21

 

I Comitati provinciali o comunali possono, sotto la loro responsabilità, costituire a latere dei circoli intitolati a Caduti o a episodi della Resistenza cui possono iscriversi persone di provata fede antifascista che si propongano in accordo con gli organi direttivi di portare avanti, con azione non contrastante la linea unitaria e democratica dell’Associazione, gli ideali della Lotta di Liberazione.

 

TITOLO IV

I SOCI

Art. 22

 

 Sono soci d’onore, con tutti i diritti compreso il diritto al voto, i familiari dei Caduti nella Guerra di Liberazione e di coloro che come prigionieri politici o vittime di rappresaglie o come ostaggi o come perseguitati politici furono assassinati dai nazifascisti o comunque siano deceduti successivamente in seguito a ferite o malattie riportate durante la Lotta di Liberazione, purché ne siano personalmente degni.

I familiari di cui al comma precedente sono: il coniuge superstite e i discendenti diretti e, in difetto di questi, gli ascendenti diretti.

 

Art. 23

 

Possono essere ammessi come soci con diritto al voto, qualora ne facciano domanda scritta:

a) coloro che hanno avuto il riconoscimento della qualifica di partigiano o patriota o di benemerito dalle competenti commissioni;

b) coloro che nelle formazioni delle Forze Armate hanno combattuto contro i tedeschi dopo l’armistizio;

c) coloro che, durante la Guerra di Liberazione siano stati incarcerati o deportati per attività politiche o per motivi razziali o perché militari internati e che non abbiano aderito alla Repubblica Sociale Italiana o a formazioni armate tedesche.

 

Art. 24

 

L’ammissione dei soci, compresi i soci d’onore, è deliberata dal Comitato provinciale. La domanda di iscrizione deve essere corredata da documenti attestanti la qualifica.

Quando speciali circostanze lo richiedono, il Comitato nazionale ha diritto di intervenire in merito all’ammissione dei soci, anche dopo che sia già intervenuta la deliberazione del Comitato provinciale.

 

Art. 25

 

Il socio si impegna a corrispondere l’importo della tessera. Ove occorra, per la presenza di minoranze etniche, la tessera sarà stampata bilingue.

 

Art. 26

 

Il socio ha diritto di godere di tutti i servizi assistenziali che l’Associazione organizzi sia direttamente sia a mezzo degli enti creati a tale scopo.

 

Art. 27

 

Il socio che commetta azioni disonorevoli o atti di indisciplina è passibile, a seconda della gravità delle mancanze, di:

a) richiamo

b) sospensione

c) espulsione.

 

Art. 28

 

La qualifica di socio si perde oltre che per espulsione, che ha effetto dalla data di notificazione del relativo provvedimento, anche per dimissioni, con decorrenza dal giorno successivo alla loro accettazione.

 

Art. 29

 

L’organo competente a pronunciarsi in merito ai provvedimenti di cui ai precedenti articoli 27 e 28 è il Comitato nazionale, su proposta del Comitato provinciale.

 

TITOLO V

DISPOSIZIONI VARIE

Art. 30

 

L’Associazione provvede ai suoi scopi con le quote sociali, le entrate patrimoniali e gli eventuali contributi dello Stato, di enti pubblici e di privati. Il Comitato nazionale, i Comitati provinciali ed i Comitati di sezione, dal punto di vista patrimoniale, sono nel senso gestionale entità distinte tra di loro. Ciascun Comitato è quindi responsabile della gestione del proprio patrimonio, che deve essere amministrato in modo regolare e per fini statutari.

 

Art. 31

 

L’importo della tessera sociale è fissato di anno in anno dal Comitato nazionale, che ne determina la ripartizione tra i vari organi periferici e centrali.

 

Art. 32

 

La durata dell’esercizio finanziario corrisponde a quella dell’anno solare. Entro il 31 ottobre ed il 31 marzo i Comitati di sezione, i Comitati provinciali ed il Comitato nazionale compileranno ed approveranno i rispettivi bilanci preventivi e consuntivi sia finanziari che economico / patrimoniali.

 

Art. 33

 

La bandiera dell’Associazione è il tricolore d’Italia con la scritta, nella parte bianca, “ASSOCIAZIONE NAZIONALE PART1GIANI D’ITALIA – COMITATO NAZIONALE O PROVINCIALE O DI SEZIONE”.

I soci potranno fregiarsi di un distintivo secondo il modello autorizzato dal Comitato nazionale.

I FALSI DIARI DEL DUCE

La bocciatura è più che autorevole. Viene da uno dei massimi storici internazionali del fascismo: il professor Emilio Gentile. Docente di Storia contemporanea all’Università La Sapienza di Roma, visiting professor dalla Francia al Connecticut, autore di numerosi saggi sul tema. Per lui, le agende dal 1935 al 1939 proposte all’attenzione pubblica dal senatore Marcello Dell’Utri, sono un bluff. Nel senso che non sarebbero state scritte dal Duce: “Permangono”, scrive in una relazione esclusiva consegnata a ‘L’espresso’ il 30 gennaio 2005, “fondati motivi per dubitare che l’autore delle cinque agende sia stato Benito Mussolini”. Parole che pesano come piombo, perché Gentile ha studiato quei diari per circa due mesi (vedi intervista a pagina 48). A partire dal novembre 2004, quando sono stati offerti al nostro giornale da Maurizio Bianchi, figlio del partigiano Lorenzo della cinquantaduesima brigata Garibaldi, il quale li avrebbe ricevuti il 27 aprile 1945 a Dongo, dopo l’arresto di Mussolini.

‘L’espresso’ ha commissionato una perizia calligrafica e fisico chimica dagli esiti non confortanti (vedi intervista a pagina 51). Poi si è rivolto al professor Gentile. E per rendere possibile il suo lavoro, gli ha consegnato le fotocopie di tutti e cinque i diari. Risultato, la scoperta di strafalcioni tanto clamorosi e diffusi, da dover essere catalogati in quattro categorie: “Nomi errati ed errori grammaticali, discordanze cronologiche, incongruenze e inesattezze”. Con l’aggiunta, se non bastasse, di interi brani molto, ma molto simili alle cronache pubblicate sui quotidiani dell’epoca. “Una prima lettura”, premette nella perizia Gentile, “mi ha dato un’impressione generale di unità e coerenza, sia per lo stile che per il contenuto dei cinque diari, tali da far pensare che siano stati scritti dalla stessa persona, anche se il tono, il contenuto e la lunghezza delle annotazioni variano a seconda degli anni. (…) Non sono tuttavia emersi”, in quel primo approccio, “motivi sufficienti per formulare subito un giudizio sull’autenticità o meno”. Per andare oltre, dunque, Gentile dichiara di avere svolto uno studio “non per campioni o periodi particolari”, ma seguendo meticolosamente “giorno per giorno le annotazioni”. Dapprima, spiega, ha messo a confronto “le note dei diari con il maggior numero possibile di fonti edite (documenti, diari, memorie) e di opere storiografiche sulla vita di Mussolini e sulle vicende del periodo cui si riferiscono i diari”. In un secondo tempo, ha confrontato “quotidianamente, per tutto il periodo compreso fra il 1935 e il 1939, gli avvenimenti pubblici, gli eventi di cronaca, e anche, dove possibile, le condizioni meteorologiche con analoghe notizie della stampa coeva”. Un’impresa portata a termine con la “lettura incrociata di vari giornali e riviste come ‘Il Popolo d’Italia’ e il ‘Corriere della Sera’, il ‘Messaggero’ e la ‘Tribuna’, ‘La Stampa’, e ‘Gerarchia’, fino a ‘La rivista illustrata del Popolo d’Italia’ e gli ‘Annali del fascismo’. Verificando, nei punti ancora ambigui, con la documentazione dell’Archivio centrale dello Stato.

Nessuna novità, nessuna originalità
Un’infinità di lavoro che ha impegnato a tempo pieno il professor Gentile, e che lo ha portato a esprimere giudizi drastici. “Dal punto di vista della novità e dell’originalità”, scrive , “questi diari non presentano un contenuto documentario particolarmente nuovo e originale per la biografia di Mussolini”, né “per la storia del periodo di cui fu protagonista”. Più o meno, insomma, si trovano informazioni già acquisite “da altri diari e memorie di protagonisti del regime fascista, come ad esempio i diari di Galeazzo Ciano, Giuseppe Bottai e altri collaboratori del Duce, sia nella politica interna che nella politica estera”. Inoltre, scrive Gentile, “si è riscontrata in queste agende una singolare mancanza di note su momenti, aspetti e figure che ebbero sicuramente un significato e un ruolo molto importante nella vita politica di Mussolini”. È allibito, il professore, che non vi sia “mai un resoconto dettagliato o citazioni testuali dei numerosi colloqui che Mussolini ebbe con il re, né vi sono altre notizie che permettano di avere una più ampia conoscenza delle relazioni fra la monarchia e il regime fascista, a parte alcune considerazioni sul problema della ‘diarchia’, cioè sui rapporti fra il re e il Duce, che tuttavia nulla aggiungono a quanto già noto da altre fonti, a cominciare da scritti e dichiarazioni dello stesso Mussolini”. Altrettanto singolare, nota Gentile, “è il carattere prevalentemente descrittivo e impressionistico delle annotazioni sullo svolgimento di eventi di grande rilievo della politica di Mussolini, come gli incontri di Stresa e di Monaco, e i viaggi del Duce in Germania e di Hitler in Italia”. E comunque, si legge nella perizia, anche in questi casi non ci sono elementi nuovi, bensì resoconti “spesso di minimo interesse e di scarso significato”.
Tante cronache, tutte copiate
A tutto ciò, prosegue Gentile, va abbinata un’altra caratteristica dei diari, ossia la presenza “di prolissi resoconti dei frequenti viaggi fatti dal Duce in varie regioni d’Italia, annotati fin nei minimi dettagli, con l’elencazione dei singoli paesi, villaggi e borghi incontrati lungo il percorso, e persino con l’indicazione delle svolte, delle salite e delle discese, fino alle soste per la merenda”. Altrettanto stucchevoli, scrive Gentile, “sono le note che descrivono le visite del Duce a stabilimenti, cantieri, fabbriche, opere in costruzioni, delle quali sono citate sempre, con ostentata pignoleria, le dimensioni, le caratteristiche tecniche e le funzioni”. Una dovizia di particolari apparentemente inediti e personali che potrebbe “avvalorare l’ipotesi dell’autenticità”, nota il professore, magari “nel senso di un’autenticità postuma”. Ma viceversa diventa per lui “fonte della maggiore perplessità sull’autenticità dei diari, a causa della frequente concordanza, spesso letterale, fra il testo delle agende e le cronache dei giornali che trattano gli stessi avvenimenti”. Ad esempio, scrive Gentile, lo colpisce una descrizione che nei diari si trova al 20 febbraio 1935: “Esteso l’impianto aerodinamico riunito con un grande fabbricato dove vi sono sei gallerie del vento”, si legge. “Una avente 4 metri di diametro con una potenza soffiante di 13 cavalli e una velocità del vento di 360 km l’ora. 4 gallerie di due mt. di diam. con potenza soffiante di 450 cavalli e una galleria verticale di 3 mt. di diam. con potenza soffiante di 80 cavalli alta circa 30 metri. La galleria verticale (di cui esistono solo 3 esemplari al mondo) permette di studiare il comportamento dell’aereo in perdita di velocità in vite e altre manovre acrobatiche”. Lo stesso 20 febbraio 1935, sottolinea Gentile, la ‘Tribuna’ scrive: “Non meno importante è l’impianto aerodinamico riunito in un grande fabbricato. In complesso ci sono sei gallerie del vento: una avente 4 metri di diametro con potenza soffiante di 1.300 cavalli e velocità massima di 360 chilometri all’ora; quattro di diametro di due mt. con potenza soffiante di 450 cavalli cadauna, e una verticale, di tre metri di diametro con potenza soffiante di 80 cavalli alta circa 30 metri. La galleria verticale di cui esistono al mondo soltanto tre esemplari, permette di osservare e studiare il comportamento dell’aeroplano in ‘perdita di velocità’ in vite e altre manovre acrobatiche”.

Impressionante, la somiglianza. E tutt’altro che isolata. Si legge nel diario del 1936 alla pagina del 27 agosto: “Sul fianco del ripidissimo costone che precipita nella valle si aprono centinaia di abitazioni troglodite. Siamo indietro almeno di diecimila anni! I vecchi governi anche quando ebbero uomini della Lucania non si occuparono di questa regione che è l’immagine della miseria (…) Il ‘sasso’ dovrà sparire e rimanere soltanto un’attrattiva per turisti”. Parole che si trovano pressoché identiche sul ‘Corriere della Sera’ del 29 agosto 1936: “Sui fianchi del ripidissimo costone che precipitano a valle – vera bolgia dantesca – si aprono centinaia di abitazioni trogloditiche”, c’è scritto. “I vecchi Governi, anche quando ebbero a capo uomini della Lucania, evitarono sempre di occuparsi di questa dolorosa bruttura (…) fino a quando l’intero ‘sasso’ sparirà e rimarrà soltanto come una attrattiva per i turisti”.

Nomi sbagliati
grammatica zoppicante
Altri esempi, scrive Gentile nella sua perizia, sono quelli del 15 agosto 1935, del 25 agosto 1936, del 26 agosto 1936, del 27 agosto 1936, del 31 marzo 1939… Per citare solo alcuni dei casi più clamorosi. “Una così frequente concordanza”, dice il professore, “potrebbe esser spiegabile con l’ipotesi della ‘autenticità postuma’, immaginando cioè un Mussolini che scrive o riscrive i suoi diari durante la Seconda guerra mondiale, rinfrescandosi la memoria con la lettura dei giornali o utilizzandoli per ricostruire lo svolgimento dei suoi viaggi e delle sue visite”. In questo caso, “se fosse dimostrata la validità di tale ipotesi, ci troveremmo di fronte alla realtà di un Mussolini il quale, per compilare ‘a posteriori’ le sue note, non solo si sarebbe avvalso ampiamente della stampa dell’epoca, ma avrebbe addirittura commesso veri e propri plagi, copiando o parafrasando le cronache dei giornali. Tuttavia, nota Gentile, anche sposando questa ipotesi, resterebbero comunque “inspiegabili altre numerose anomalie”, delle quali compila uno sterminato elenco. “L’istruttore maggiore Testone”, citato ad esempio il 28 maggio 1935 a proposito del conseguimento del brevetto di pilota del figlio Bruno, in realtà si chiama Angelo: “Nome esatto”, scrive Gentile, “confermato anche dal brano sul fratello Bruno di Vittorio Mussolini, che lo stesso Duce cita nel libro ‘Parlo con Bruno'”. L’Edoardo Ganna nuovo federale per l’Eritrea, citato il 3 dicembre 1935, si chiama Leonardo. Il pilota Mario Stoppani del 3 luglio 1938 si chiama Antonio. L’Hegel che nei diari avrebbe “iniziato il movimento popolare” assieme a “Marx”, è l’altrettanto celebrato Engels. Il Niezsche del 10 ottobre 1939 si scrive ovviamente Nietzsche, la “Meriade di Federico Klopstock” del 24 ottobre 1939 è la Messiade, l'”eccezzione” dell’8 dicembre 1939 si scrive con una sola zeta, come d’altronde “l’eccezzionale” di un foglio sparso del 1939.

Date sbagliate
palesi incongruenze
Peggio ancora, se possibile, va con quelle che il professor Gentile cataloga come “discordanze cronologiche”. Un fiume di inesattezze che inonda tutti e cinque i diari. La visita al Duce della “professoressa Elisabetta Hazelton Haight”, per dire, indicata nelle agende sotto il 6 giugno 1935, avviene il giorno prima (“la nota”, fa tra l’altro osservare Gentile, “riproduce quasi letteralmente il comunicato pubblicato dalla stampa del 6 giugno”). Stesso discorso vale per l’appunto “Vado a Modigliana”, rintracciabile nei diari al 23 luglio 1935, ma in verità riferibile al 22 luglio. La conferenza del Tripartito, che stando all’agenda del 13 agosto 1935 si sarebbe svolta “dopodomani 15 agosto”, risulta essere iniziata alle 10,30 del 16 agosto. Quanto al discorso che il cardinale Schuster avrebbe pronunciato al Castello Sforzesco di Milano, riportato nell’agenda del 25 febbraio 1937, si è svolto addirittura il 26 ottobre seguente, “come risulta dalla cronaca del ‘Corriere della Sera’ e del ‘Popolo d’Italia’”.

Errori veniali? Innocenti distrazioni? Pasticci nella fretta? Il professor Gentile la pensa diversamente. E a supporto del suo scetticismo, inserisce nella perizia fatti che smentiscono l’attendibilità dei diari. Chi li ha scritti, infatti, il 13 febbraio 1935 dice che Mussolini va “in incognito” a uno spettacolo all’Augusteo. Ma sul ‘Messaggero’ del 14 febbraio 1935 si trova tutt’altro: “Al termine dell’inno, coristi e pubblico rivolti verso il palco ove era il Duce, gli hanno tributato una calorosissima manifestazione prolungatasi per vari minuti”. Ancora più eclatante è l’appunto del 16 giugno 1935, dove il presunto Duce scrive che le sue “meditazioni vengono interrotte dalla visita dell’elegante e festaiolo Prezzolini”. Una versione che non sta in piedi, dimostra Gentile: “Prezzolini fu ricevuto il 15 giugno, scrive nella perizia. E sembra assai “strano che apparisse ‘festaiolo’, se in quella stessa occasione, come sappiamo da testimonianza dello stesso Prezzolini, questi diede a Mussolini la notizia della morte del figlio Alessandro”.

Piccolo Duce, falsi diari
“In conclusione, scrive Gentile, “sulla base degli esempi e degli argomenti esposti, e in mancanza di altre inconfutabili o più convincenti prove della effettiva autenticità dei diari, a mio avviso permangono fondati motivi per dubitare che il loro autore sia stato Benito Mussolini”. Non solo per la valanga di strafalcioni e incongruenze che il professore ha trovato, ma per il ritratto del Duce che esce da queste pagine. “Il Mussolini dei diari”, scrive Gentile, “si presenta come un uomo alquanto romantico e sentimentale, quasi crepuscolare, che ama annotare intime impressioni, emozioni stati d’animo, vagheggiamenti e desideri. È un uomo solo, solitario, misantropo, padre e marito affettuoso, che tesse spesso le lodi della moglie per il suo carattere e la sua saggezza, anche se non mancano allusioni o velati accenni ad avventure extraconiugali con altre donne, e che soprattutto predilige la famiglia e la quiete famigliare”. Particolari, secondo Gentile, “del tutto opposti al personaggio storico, che proiettava pubblicamente di sé l’immagine di un uomo che seguiva quotidianamente la massima ‘vivere pericolosamente'”. E che per giunta sono abbinati all’immagine “di un uomo politico che è quasi un Duce riluttante, spesso in contraddizione con il capo politico e il personaggio pubblico quale appare da altri documenti, dai diari e dalle memorie dei suoi più intimi collaboratori”.

Insomma: materiale da prendere con le pinze. L’ennesima verifica che i conti non tornano.

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/La-vera-storia-dei-falsi-diari/1510647&ref=hpstr1

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