LE VIOLENZE FASCISTE NEGLI ANNI ’20

ANNI 20-21

Violenze fasciste.

Secondo gli storici del fascismo nei primi sei mesi del 1921 furono distrutti 100 circoli di cultura, 53 circoli operai e ricreativi, 59 case del popolo, 17 sedi di giornali e tipografie, 119 camere del lavoro, 107 cooperative. Come annota nel suo diario il capo delle squadre del ferrarese: «Il nostro passaggio era segnato da colonne di fuoco e di fumo. Tutta la pianura di Romagna fino ai colli è stata sottoposta alla esasperata rappresaglia dei fascisti, decisi a finirla per sempre col terrore rosso».

La «spedizione punitiva» non costituì dunque per il movimento fascista soltanto un mezzo di pressione psicologica, ma il più delle volte un mezzo di distruzione anche fisica dell’avversario. Un testimone del tempo, A. Tasca, nel suo documentatissimo Nascita e avvento del fascismo, pubblicato in francese nel 1938, ci dà un resoconto del clima di intimidazione che i fascisti avevano creato in Italia, specialmente nelle campagne

«A partire dall’inizio del 1921 questa forma di azione dilaga nella valle del Po, coi caratteri e coi metodi che finiranno per prevalere nel fascismo e lo accompagneranno fino alla marcia su Roma. Nella valle padana, la città è, in generale, meno «rossa» della campagna, perché in città si trovano i ricchi agrari, gli ufficiali delle guarnigioni, gli studenti delle Università, i funzionari, i redditieri, i membri delle professioni liberali, i commercianti. E’ in queste categorie che si reclutano i fascisti e sono queste che forniscono i quadri delle prime squadre armate. La spedizione punitiva parte infatti quasi sempre da un centro urbano e si irraggia nelle campagne circostanti.

Montate su camion, armate dall’Associazione agraria o dai magazzini dei reggimenti, le «Camicie nere» si dirigono verso il luogo che è l’obiettivo della loro spedizione. Arrivate, cominciano col bastonare tutti coloro che incontrano per le strade, e che non si scoprono al passaggio dei gagliardetti o che portano una cravatta, un fazzoletto, una sciarpa rossi. Se qualcuno si rivolta, se si scorge un minimo gesto di difesa, se un fascista è ferito o un poco malmenato, la «punizione si estende. Ci si precipita alla sede della Camera del lavoro, del sindacato, della cooperativa, alla Casa del popolo, si sfondano le porte, si buttano nella strada i mobili, i libri, le merci, si versano dei bidoni di benzina: qualche minuto dopo, tutto è in preda alle fiamme. Coloro che si trovano nei locali vengono selvaggiamente picchiati o uccisi. Le bandiere son bruciate o portate via come trofei. Più spesso, la spedizione parte con uno scopo preciso, quello di «ripulire» il luogo. I camion si arrestano allora proprio davanti alle sedi delle organizzazioni «rosse» che vengono distrutte. Gruppi di fascisti vanno alla ricerca dei «capi», sindaco e consiglieri comunali, segretario della «lega», presidente della cooperativa: si impone loro di dimettersi, si «bandiscono» per sempre dal paese, sotto pena di morte o di distruzione delle loro case. Se sono riusciti a mettersi in salvo, ci si vendica sulle famiglie. …

Quando il dirigente locale malgrado tutto resiste, lo si sopprime. Si arriva di notte davanti alla sua casa, lo si chiama, con una scusa qualunque, per non urtarsi nella sua diffidenza: appena apre la porta, si scaricano le armi su di lui, lo si abbatte sulla soglia. Spesso egli si lascia prelevare, purché si risparmino i suoi, per evitare loro il tragico spettacolo. I fascisti lo conducono in un campo, dove poi lo si ritrova morto al mattino. A volte si divertono a trasportarlo sul loro camion e lasciarlo nudo, legato a un albero, a qualche centinaio di chilometri di distanza, dopo avergli inflitto le più atroci torture. Il terrore è mantenuto con le minacce e con le intimidazioni che i Fasci spediscono e pubblicano, senza che la minima sanzione intervenga mai da parte della magistratura e del governo. Così il marchese Dino Perrone Compagni può inviare impunemente, nell’aprile del 1921, a un sindaco di un villaggio della Toscana, la seguente lettera:

«Dato che l’Italia deve essere degli italiani e non può, quindi, essere amministrata da individui come voi, facendomi interprete dei vostri amministrati e dei cittadini di qua, vi consiglio a dare, entro domenica, 17 aprile, le dimissioni da Sindaco, assumendovi voi, in caso contrario, ogni responsabilità di cose e persone. E se ricorrete alle autorità per questo mio pio, gentile e umano consiglio, il termine suddetto vi sarà ridotto a mercoledì 13, cifra che porta fortuna.

Firmato: Dino Perrone Compagni- Piazza Ottaviani, 1 – Firenze»

L’autore di questa ingiunzione firma col suo nome, su carta intestata dei Fasci, e aggiunge il suo indirizzo: è sicuro che niente verrà a disturbare lui e i suoi amici, e a impedire la spedizione annunciata.» (ed. Laterza, Bari, 1965)

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi