ALLARME COSTITUZIONE

    Allarme del Giurista Rodotà : Può un Parlamento di non eletti mettere mani
in modo così incisivo sulla Costituzione?
Pubblicato da ImolaOggi In risalto, NEWS, POLITICA giu 23, 2012

di Stefano Rodotà

UNA FASE COSTITUENTE PIU’ DEMOCRATICA

Stiamo vivendo una fase costituente senza averne adeguata consapevolezza,
senza la necessaria discussione pubblica, senza la capacità  di guardare oltre l’
emergenza. è stato modificato l’ articolo 81 della Costituzione, introducendo il
pareggio di bilancio. Un decreto legge dell’agosto dell’ anno scorso e uno del
gennaio di quest’ anno hanno messo tra parentesi l’ articolo 41. E ora il Senato
discute una revisione costituzionale che incide profondamente su Parlamento,
governo, ruolo del Presidente della Repubblica. Non siamo di fronte alla buona
manutenzione della Costituzione, ma a modifiche sostanziali della forma di
Stato e di governo. Le poche voci critiche non sono ascoltate, vengono
sopraffatte da richiami all’ emergenza così perentori che ogni invito alla
riflessione configura il delitto di lesa economia.

In tutto questo non è arbitrario cogliere un altro segno della incapacità
delle forze politiche di intrattenere un giusto rapporto con i cittadini che,
negli ultimi tempi, sono tornati a guardare con fiducia alla Costituzione e non
possono essere messi di fronte a fatti compiuti. Proprio perchè s’invocano
condivisione e coesione, non si può poi procedere come se la revisione
costituzionale fosse affare di pochi, da chiudere negli spazi ristretti d’ una
commissione del Senato, senza che i partiti presenti in Parlamento promuovano
essi stessi quella indispensabile discussione pubblica che, finora, è mancata.

Con una battuta tutt’ altro che banale si è detto che la riforma dell’ articolo
81 ha dichiarato l’ incostituzionalità  di Keynes. L’ orrore del debito è stato
tradotto in una disciplina che irrigidisce la Costituzione, riduce oltre ogni
ragionevolezza i margini di manovra dei governi, impone politiche economiche
restrittive, i cui rischi sono stati segnalati, tra gli altri da cinque premi
Nobel in un documento inviato a Obama. Soprattutto, mette seriamente in dubbio
la possibilità  di politiche sociali, che pure trovano un riferimento obbligato
nei principi costituzionali.

La Costituzione contro se stessa? Per mettere qualche riparo ad una situazione
tanto pregiudicata, uno studioso attento alle dinamiche costituzionali, Gianni
Ferrara, non ha proposto rivolte di piazza, ma l’ uso accorto degli strumenti
della democrazia. Nel momento in cui votavano definitivamente la legge sul
pareggio di bilancio, ai parlamentari era stato chiesto di non farlo con la
maggioranza dei due terzi, lasciando così ai cittadini la possibilità  di
esprimere la loro opinione con un referendum. Il saggio invito non è stato
raccolto, anzi si è fatta una indecente strizzata d’ occhio invitando a
considerare le molte eccezioni che consentiranno di sfuggire al vincolo del
pareggio, così mostrando in quale modo siano considerate oggi le norme
costituzionali.

Privati della possibilità  di usare il referendum, i cittadini, se questa è la
proposta — dovrebbero raccogliere le firme per una legge d’ iniziativa popolare
che preveda l’ obbligo di introdurre nei bilanci di previsione di Stato,
regioni, province e comuni una norma che destini una quota significativa della
spesa proprio alla garanzia dei diritti sociali, dal lavoro all’ istruzione,
alla salute, com’è già  previsto da qualche altra costituzione. Non è una via
facile ma, percorrendola, le lingue tagliate dei cittadini potrebbero almeno
ritrovare la parola.

L’ altro fatto compiuto riguarda la riforma costituzionale strisciante dell’
articolo 41. Nei due decreti citati, il principio costituzionale diviene solo
quello dell’ iniziativa economica privata, ricostruito unicamente intorno alla
concorrenza, degradando a meri limiti quelli che, invece, sono principi davvero
fondativi, che in quell’ articolo si chiamano sicurezza, libertè , dignità  umana.
Un rovesciamento inammissibile, che sovverte la logica costituzionale, incide
direttamente su principi e diritti fondamentali, sì che sorprende che in
Parlamento nessuno si sia preoccupato di chiedere che dai decreti scomparissero
norme così pericolose. è con questi spiriti che si vuol giungere a un
intervento assai drastico, come quello in discussione al Senato. Ne conosciamo
i punti essenziali. Riduzione del numero dei parlamentari, modifiche
riguardanti l’età  per il voto e per l’ elezione al Senato, correttivi al
bicameralismo per quanto riguarda l’ approvazione delle leggi, rafforzamento del
Presidente del Consiglio, poteri del governo nel procedimento legislativo,
introduzione della sfiducia costruttiva. Un pacchetto che desta molte
preoccupazioni politiche e tecniche e che, proprio per questa ragione,
esigerebbe discussione aperta e tempi adeguati. Su questo punto sono tornati a
richiamare l’ attenzione studiosi autorevoli come Valerio Onida, presidente dell’
Associazione dei costituzionalisti, e Gaetano Azzariti, e un documento di
Libertà  e Giustizia, che hanno pure sollevato alcune ineludibili questioni
generali.

Può un Parlamento non di eletti, ma di nominati in base a una legge di cui
tutti a parole dicono di volersi liberare per la distorsione introdotta nel
nostro sistema istituzionale, mettere le mani in modo così incisivo sulla
Costituzione?

Può l’ obiettivo di arrivare alle elezioni con una prova di efficienza essere
affidato a una operazione frettolosa e ambigua? Può essere riproposta la linea
seguita per la modifica dell’ articolo 81, arrivando a una votazione con la
maggioranza dei due terzi che escluderebbe la possibilità  di un intervento dei
cittadini? Quest’ ultima non è una pretesa abusiva o eccessiva. Non
dimentichiamo che la Costituzione è stata salvata dal voto di sedici milioni di
cittadini che, con il referendum del 2006, dissero no alla riforma
berlusconiana. A questi interrogativi non si può sfuggire, anche perchè mettono
in evidenza il rischio grandissimo di appiattire una modifica costituzionale,
che sempre dovrebbe frequentare la dimensione del futuro, su esigenze e
convenienze del brevissimo periodo.

Le riforme costituzionali devono unire e non dividere, esigono legittimazione
forte di chi le fa e consenso diffuso dei cittadini. Considerando più da vicino
il testo in discussione al Senato, si nota subito che esso muove da premesse
assai contestabili, come la debolezza del Presidente del Consiglio. Elude la
questione vera del bicameralismo, concentrandosi su farraginose procedure di
distinzione e condivisione dei poteri delle Camere, invece di differenziare il
ruolo del Senato. Propone un intreccio tra sfiducia costruttiva e potere del
Presidente del Consiglio di chiedere lo scioglimento delle Camere che, da una
parte, attribuisce a quest’ ultimo un improprio strumento di pressione e, dall’
altra, ridimensiona il ruolo del Presidente della Repubblica. Aumenta oltre il
giusto il potere del governo nel procedimento legislativo, ignorando del tutto
l’ ormai ineludibile rafforzamento delle leggi d’ iniziativa popolare. Trascura
la questione capitale dell’ equilibrio tra i poteri.

Tutte questioni di cui bisogna discutere, e che nei contributi degli studiosi
prima ricordati trovano ulteriori approfondimenti. Ricordando, però, anche un
altro problema. Si continua a dire che le riforme attuate o in corso non
toccano la prima parte della Costituzione, quella dei principi. Non è vero. Con
la modifica dell’ articolo 81, con la rilettura dell’ articolo 41, con l’
indebolimento della garanzia della legge derivante dal ridimensionamento del
ruolo del Parlamento, sono proprio quei principi ad essere abbandonati o messi
in discussione.

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