ASSOCIAZIONE SALADINO

 

Domenica 13 marzo 2011 alle 18

al Teatro Sociale di Como, via Bellini 3

Lella Costa in Ragazze ? Nelle lande scoperchiate del fuori

versione recital di L. Costa, M. Cirri, G. Gallione

regia di Giorgio Gallione

biglietto 30 euro platea e palchi – 20 euro gallerie. 

Prevendite: Frigerio dischi, via Garibaldi, 38 ? Como;

Teatro Sociale, via Bellini 3  Como; tel. 031.270171. 

Associazione Silvano Saladino Onlus, via Recchi 2, 22100 Como tel. 338.6004019  brunosaladino@alice.it; fbsaladino@tiscali.it.

FERMIAMO QUESTE STRAGI

 

 

“Aiutateci a fermare questa strage”

Appello della madre di un caduto sul lavoro

Andrea è morto a 23 anni schiacciato da una macchina difettosa e insicura. Una donna che, da allora (2006) non ha mai mollato. “Ma ho visto tante sconfitte, tanti dolori rimasti solo sulle spalle delle famiglie. E la situazione non migliora”

di GRAZIELLA MAROTA

Andrea aveva 23 anni quando, il 20 giugno 2006, è rimasto con il cranio schiacciato da una macchina tampografica non a norma. Andrea voleva imparare a suonare la tromba, come se la chitarra da sola gli andasse stretta. Perché a quell’età la taglia dei desideri si allarga e non stai più nei tuoi panni dalla voglia di metterti alla prova, conoscere, guardare avanti. Da li a quattro giorni pure la metratura della sua vita sarebbe lievitata di colpo: dalla sua camera da ragazzo, in casa dei genitori, a un mini appartamento, acquistato dai suoi con un mutuo, a metà strada tra Porto Sant’Elpidio e la fabbrica Asoplast di Ortezzano, dove aveva trovato lavoro come precario per 900 euro al mese.

Andrea voleva imparare a suonare la tromba, ma non ha fatto in tempo: una tromba che, rimasta la dov’era in camera sua, suona un silenzio assordante. E neppure l’appartamento è riuscito ad abitare: doveva entrare nella nuova casa sabato 24 giugno 2006, se ne è andato il 20 giugno di 4 anni fa. Oggi Andrea avrebbe 28 anni ma è morto in fabbrica alle sei e dieci dell’ultimo mattino di primavera. E suonerebbe ancora la chitarra con i Nervous Breakdwn e non darebbe il suo nome a una borsa di studio. Sarebbe la gioia di sua mamma Graziella

e non la ragione della sua battaglia da neo cavaliere della Repubblica, per cultura sulla sicurezza. Una battaglia finita con una sconfitta dolorosa: nel nome del figlio e a nome dei tanti caduti sul lavoro, senza giustizia: Umbria-Oli, Molfetta, Thyssenkrupp, Mineo…. Sono solo le stazioni più raccontate di una via Crucis quotidiana, che per un po’ chiama a raccolta l’indignazione italiana, che poi guarda altrove.

Le morti si fanno sentire, ma le sentenze molto meno, quando passano sotto silenzio anche per una sorta di disagio nell’accettarle e comunicarle. I responsabili di questa orrenda morte sono stati condannati a otto mesi di condizionale con la sospensione della pena, anche se il Procuratore generale del tribunale di Fermo aveva parlato “di un chiaro segnale perché questi reati vengano repressi con la massima severità”. Andrea è stato ucciso per la seconda volta. La tragedia è finita nel dimenticatoio, con alcune frasi fatte e disfatte, tipo non deve più accadere, basta con queste stragi, lavoreremo per migliorare la sicurezza. Parole piene di buone intenzioni, che lo spillo della smemoratezza buca in un momento. Parole al vento!

Alla fine anche Andrea si è perso tra i morti da stabilimento e da cantiere: martiri del lavoro che fanno notizia il tempo di commuovere, che non promuovono ronde per la sicurezza, spesso rimossi pure nei processi. Tragedie quotidianamente dimenticate da un Paese ignavo e incurante, La tromba silente di Andrea a suonare la sua ritirata. Questo è quanto accade a tutti i morti sul lavoro; di loro restano solo dolore e angoscia dei familiari ma giustamente questo non fa notizia: una mamma che piange tutti i giorni, che guarda sempre la porta di casa aspettando che il suo Andrea rientri perché spera che tutta la sofferenza che sta vivendo sia solo un brutto sogno….. Ma tutto ciò non importa a nessuno!

Questa è la tragica realtà, di chi rimane e si rende conto di essere emarginato e dimenticato da tutti. Forse ciò che gli altri non conoscono è la realtà del “dopo” di queste tragedie… La vita per i familiari viene stravolta dal dolore e dalla mancanza della persona cara, ti ritrovi a lottare giorno per giorno per sopravvivere e se sei forte riesci in qualche modo a risollevare la testa da quel baratro di depressione in cui sei caduta, altrimenti sprofondi sempre di più! Ti accorgi che sei lasciato solo a te stesso…. manca il sostegno psicologico, sono assenti tutte le istituzioni e nessuno è disposto ad ascoltare il tuo dolore perché il dolore fa paura a tutti! Speri nella giustizia ma questa si prende beffa di te perché otto mesi e sospensione della pena per chi ha ucciso tuo figlio mi sembra una vergogna per un paese che si definisce civile…..

E vogliamo parlare dell’Inail, questo ente che ogni anno incassa milioni di euro? Ebbene la morte di Andrea è stata calcolata 1.600 euro e cioè rimborso spese funerarie, allora mi chiedo ma la vita di mio figlio che è stato ucciso a soli 23 anni, per la società non valeva nulla? Eppure io quel figlio l’ho partorito, l’ho amato , curato e protetto per 23 anni, era il mio orgoglio e la mia felicità e quindi tutto diventa assurdo e inaccettabile. Nemmeno l’assicurazione vuole pagare il risarcimento e a distanza di 4 anni e mezzo dovrò subire ancora violenze psicologiche tornando di nuovo in tribunale e ripercorrere ancora una volta questa tragedia…. descrivere come è morto Andrea, come lo hanno trovato i colleghi di lavoro, come ho vissuto dopo e come continuo a vivere oggi… Credetemi una pressione che non riesco a sopportare più.

Per terminare anche l’amministrazione comunale di Porto Sant’Elpidio si rifiuta di dare una definitiva sepoltura al mio angelo. Allora mi chiedo e lo chiedo a voi: la vita di un operaio vale così poco? E’ un essere umano come tutti e se per i soldati morti in “ missione di pace” si fanno funerali di Stato, per i 1300 operai che muoiono ogni anno per la mancanza di sicurezza, cosa viene fatto? Nulla perché non sappiamo nemmeno nome e cognome… sono solo numeri che fanno parte di una statistica.

Termino questa lettera con un appello disperato: fermiamo questa strage che serve solo a far arricchire gli imprenditori e a distruggere le famiglie. Ogni essere umano ha diritto alla propria vita e non si può perderla per 900 euro al mese.

 

A DONGO 4- 6 FEBBRAIO

Prosegue a Dongo la bellissima mostra già inaugurata a Cima il 21 gennaio scorso.

 

DONGO – ATELIER CASA PERLA

VIALE GARIBALDI, 14

DAL 4 AL 6 FEBBRAIO 2011

 

Venerdì h 17,00 – 19,00      Sabato h 10,30 – 12,0  e  17,00 – 19,00      Ingresso libero

La sede dell’esposizione è vicinissima alla piazza del Municipio di
Dongo, in viale Garibaldi 14, in prossimità di molti parcheggi
gratuiti.
In questa occasione è possibile visionare anche due filmati realizzati
dagli allievi del workshop recentemente condotto dalla medesima
artista presso lo Spazio Giovani Porlezza. L’esposizione è visibile
solo fino a domenica 6 febbraio.

 

Videoinstallazione Lethe di Adelita Husni-Bey

e

Workshop su Oblio, memoria e contemporaneo 

progetto organizzato dall’associazione Cittadini Insieme e curato da Riccardo Lisi 
 

Capii che probabilmente, nel voltare il capo

avevo anche guardato nella direzione esatta

del ragazzo che era stato ucciso lì molti anni prima,

o almeno mi piaceva pensarlo,

mi piaceva pensare di poter condividere con lui

se non il sentimento, almeno quella visione idilliaca.

Adelita Husni-Bey 
 

Mentre il Nord Italia era posto sotto il governo fascista di Salò, ovunque nascevano gruppi che ad esso intendevano ribellarsi, normalmente abbandonando la vita quotidiana in città e raggiungendo le montagne. Uno di questi gruppi partigiani nacque e si appostò nella zona soprastante Cima, paese comasco sul lago di Lugano. Il gruppo era guidato da Giuseppe Selva ed aveva come staffetta e cuciniera Livia Bianchi, detta Franca, una donna giovane di forte carattere, che proveniva dal Polesine. Quando il gruppo fu catturato dalle Brigate nere fasciste, a Lidia fu offerto di salvarsi. Invece scelse di sacrificarsi assieme ai suoi compagni di lotta. Il 21 gennaio 1945, in prossimità del Cimitero di Cima, i sei partigiani furono fucilati e da anni ogni 21 gennaio il loro impegno e sacrificio viene ricordato. Un impulso importante in ciò è dato dall’associazione Cittadini Insieme, basata a Porlezza, che dal 2004 opera in modo da vivificare questo ricordo ed evitare che cada nell’oblio o nella mera celebrazione formale, che altrimenti apparirebbe puro esercizio retorico ed inattuale. 

Quest’anno si è voluta cogliere un’occasione importante: proprio a Cima, come in altri luoghi del Comasco in cui son avvenuti fatti di sangue durante la guerra di liberazione, una giovane e brava artista – l’italo-libica operante a Londra Adelita Husni-Bey – ha realizzato nel corso della scorsa estate uno dei filmati che compongono la videoinstallazione Lethe.

Si tratta di un lavoro di arte contemporanea che verte sul rapporto tra memoria ed oblio, ma anche tra memoria collettiva e realtà individuale. Nei cinque schermi sincronizzati immagini lievemente sgranate, filmate con una tecnologia desueta, in super8, mostrano ciò che giovani morti in modo violento su queste montagne forse hanno visto negli ultimi secondi di vita: panorami montani, che altrimenti potrebbero apparire pittoreschi, e un muro che fece da sfondo ad un’esecuzione.

La memoria, come sovente nell’arte contemporanea – basti pensare ai lavori di Boltanski – emerge qui non da parole, descrizioni verbose e discorsi a tesi, ma solo dalle immagini, anche se rafforzate da una nota tenuta di violoncello. Al pubblico di oggi, costituito soprattutto da giovani, l’artista propone un tentativo d’immedesimazione suggestivo ed assieme ferale, connesso all’ultimo istante di vita. Certamente ciò non è facile, se pensiamo a come possa differire la loro vita da quella dei partigiani di 66 anni fa, ma forse proprio una narrazione metaforica, non verbale ma per immagini, può costituire un’espressione d’arte significativa per un pubblico in buona parte profano di arte contemporanea, e permettere un relativo avvicinamento a tale ambito. Nella provincia italiana, infatti, il pubblico conscio del linguaggio dell’arte contemporanea è limitato, ed anche per questo si è còlta l’occasione di avere in loco un’artista sicuramente interessante, per organizzare un workshop – gratuito e rivolto soprattutto ai giovani – che partendo da una riflessione su cosa sia arte contemporanea e come si rapporti con la nostra vita quotidiana e con le tecnologie ormai pervasive, porti gli allievi a provare di realizzare dei propri filmati video. Ciò confrontandosi con linguaggi e modalità comunicative della videoarte e con il tema proposto: oblio e memoria, soprattutto riferiti al territorio in cui vivono.

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